La vita nasce solo attraverso la libera accettazione di una donna

di Laura Colombo e Sara Gandini



Milano, 14 gennaio 2006

Oggi saremo in piazza a Milano, nella nostra città, per affermare la necessaria libertà del nostro corpo e della nostra parola, per contribuire a far circolare nuova energia fra le persone, stando attente all’imprevisto che potrebbe accadere. E se anche fosse solo un po’ di gioia non sarebbe comunque poco.

Quando pensiamo a tutto quello che si riferisce alla vita, alla riproduzione, siamo convinte che vi siano prerogative femminili inalienabili. La vita umana, infatti, nasce solo attraverso la libera accettazione di una donna, attraverso la sua accoglienza e la sua cura.

Sappiamo che la competenza femminile sulla maternità e la necessità del suo assenso sono alla base della riproduzione, ma sappiamo anche che questo crea uno squilibrio, genera una disparità fra i sessi che può fare paura. La paura si può leggere seguendo quello che è stato detto e si continua a dire fra chi è contrario alla 194, fra chi ha organizzato la propria opposizione puntando sull’erosione del consenso della legge. Ci siamo chieste perché.

Pensiamo che la legge possa mettere in discussione sentimenti profondi e stratificati come quelli derivanti dal valore simbolico che si attribuisce alla sessualità e alla riproduzione, alla struttura della famiglia e alle relazioni che intercorrono al suo interno.

Porre in primo piano l’autodeterminazione della donna rispetto alla propria sessualità e alla propria capacità riproduttiva ha suscitato spesso un desiderio di controllo e di dominio sulle donne, ha risvegliato il fantasma della potenza femminile che può decidere se dare o no la vita. Gli uomini hanno accettato, intellettualmente, questo squilibrio, riconosciuto anche dalla legge, ma spesso fanno fatica a misurarsi con l’esclusione rispetto alla decisione di dare la vita.

Per essere padre l’uomo deve ascoltare e confrontarsi con la propria compagna, accettare quindi i limiti della paternità senza nascondersi dietro un presunto potere decisionale datogli dalla legge (anche se fermarsi alla 194 e non arrivare alla semplice depenalizzazione ha voluto dire che consentivamo allo stato e agli uomini di mantenere un certo controllo sulla riproduzione).

E deve fare i conti anche con le proprie contraddizioni: come si può affermare che la vita è sacra e poi sostenere la cultura della guerra? Dagli anni Settanta, le cose sono cambiate all’interno della coppia dando spazio e agio a nuove contrattualità e aprendo la possibilità di un confronto non solo con una forma della sessualità ma con due.

Questo di più di libertà potrebbe avvantaggiare entrambi. E’ per questo che auspichiamo una nuova responsabilità maschile, una responsabilità relazionale che non deleghi alla legge decisioni così importanti. Proprio sulle pagine di questo giornale alcuni uomini, interpellati direttamente, hanno tentato di mettersi in discussione: li abbiamo apprezzati, pensiamo sia questa la strada che può portare a un vero cambiamento.  

Gli uomini di oggi sono cambiati, perché le donne sono cambiate con il femminismo. Grazie al femminismo, più precisamente alla scelta della separazione degli anni ‘70, abbiamo conquistato una libertà che ha permesso una consapevolezza e una contrattualità all’interno della coppia che rende sempre più esplicita e di valore la disparità fra i sessi.

La rottura relazionale è stata necessaria per iniziare un percorso di autonomia dal giudizio dell’uomo, per far nascere libertà femminile nelle relazioni tra donne. A partire da questa mossa si sono create le condizioni per un possibile rapporto contrattuale e libero con l’altro.

Proprio per questo oggi non possiamo più dire che la contraccezione o il sesso vaginale - come si diceva negli anni ‘70 - sono qualcosa che non ci tocca, che riguarda solo gli uomini. O ancora, non possiamo ritenere gli uomini i soli responsabili del “problema aborto” in quanto portatori di una sessualità che riproduce il dominio sessista. Il concepimento più che mai chiama in causa la responsabilità di entrambi.

Oggi è necessario scambiare con gli uomini quella parola libera che abbiamo conquistato, per non limitarci a difendere diritti e proporre invece come posta in gioco un cambiamento nel sentire comune e la creazione di una nuova cultura, di una nuova civiltà Noi vorremmo lottare per una civiltà in cui la donna non sia colpevolizzata per le sue scelte e l’uomo accetti profondamente - e non solo intellettualmente - lo squilibrio in gioco quando c’è in ballo il suo desiderio di paternità, quando si appella al principio morale legato alla vita che deve nascere.  

Un inquadramento storico e altre riflessioni si possono trovare nel sito della Libreria delle donne di Milano www.libreriadelledonne.it/news/194.htm
 

 questo articolo è apparso su Liberazione del 14 gennaio 2006