Donne nella Prima guerra mondiale

Liliana Moro

La Prima Guerra Mondiale fu davvero un evento che cambiò profondamente la vita delle donne europee e degli uomini, che le sopravvissero : chiuse un'epoca di fioritura culturale in tutti i campi e anche pose fine al primo femminismo, il movimento per il voto alle donne, il suffragismo.

Le donne durante questa guerra, come in genere durante le guerre del '900, ebbero più spazi di lavoro, sostituendo gli uomini arruolati nell'esercito, in attività prima loro precluse; ma fu apertura di breve durata poiché alla fine del conflitto armato vennero ricacciate tra le mura domestiche.

Propongo due esempi concreti di figure femminili nella Prima Guerra Mondiale: Marie Curie e Clara Immerwahr

Marie Curie (1867-1934) e sua figlia Irene (1897-1956) usarono i raggi X appena scoperti per migliorare la cura dei feriti, girando il fronte dal 1915, a un anno dallo scoppio del conflitto armato, con auto attrezzate da loro stesse, che venivano chiamate Petites Curies. L'uso di radiografie permetteva di individuare proiettili e schegge di granate all'interno dei corpi dei soldati, evitando ulteriori devastazioni.

Ma questa attività, oltre ai disagi della mobilità continua nelle immediate retrovie del fronte, dovette superare l'opposizione dei medici degli ospedali militari, che non comprendevano l'attività di questa scienziata eccentrica, che veniva a scompaginare la loro consolidata procedura. La Curie dovette occuparsi anche di addestrare infermiere e operatrici alle apparecchiature: Ebbe un valido sostegno nella figlia Irene, allora diciottenne, che seguiva già le orme dei genitori nell'interesse per la scienza e per la pace. La sua attività fu tale che ottenne il riconoscimento di un premio Nobel per la Chimica nel 1935 insieme al marito Frédéric Joliot. Ma l'esposizione precoce alle radiazioni, di cui non si conosceva la pericolosità, ebbe conseguenze sulla sua salute.

 

Clara Immerwahr (1870-1915)

Clara, tedesca, laureata in chimica, sposò Fritz Haber (1868-1934), anch'egli chimico, di famiglia ebraica, che mise le sue conoscenze al servizio dell'industria bellica e inventò i gas asfissianti. Clara morì suicida dopo la battagia di Ypres quando vi fu il primo uso in guerra del gas inventato dal marito, l'iprite, appunto. Scrisse molte lettere per spiegare il suo gesto che non vennero poi trovate. Haber ebbe il Nobel nel 1918, ufficialmente non per l'iprite, ma per aver scoperto le proprietà detonanti dell'ammoniaca. Più tardi sviluppò il gas Zyklon, usato nei lager. Fu comunque espulso come ebreo dalla Germania e morì a Basilea, sulla strada dell'esilio verso Israele.

Queste due figure storiche rappresentano bene i rapporti tra donne e guerra: da una parte l'andare in aiuto, soccorrere i feriti, limitare i danni umani, dall'altro eliminarsi, azzerarsi per non partecipare al gioco tragico, che non si è potuto fermare.

L'iconografia maschile rappresenta la donna in guerra come una furia, come lo spigionarsi di forze incontrollabili. Proprio perché si parte dal principio della opposizione radicale tra donne e guerra che ha il corrispettivo nella “naturale” predisposizione maschile alla guerra. Le donne sono estranee perchè la guerra è una cosa da uomini. Giovanni Papini scriveva nel 1914

"Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne... Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La guerra è spaventosa - e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi".

Tuttavia le donne incitano alla battaglia, che non possono combattere. Così Delacroix costruisce un'icona di grande fortuna rappresentando alla guida di giovani armati proprio una donna discinta, immagine di forza primordiale.


Delacroix, La libertà che guida il popolo, 1830

Oggi lo stereotipo della totale estraneità delle donne dalla guerra è superato dai fatti. Ma mi sembra un tema poco indagato perchè se forse nessuno ha più l'ingenuità incosciente di Papini, a un secolo di distanza, permane il dualismo non interrogato: uomo/guerriero vs donna/pacifica. Una donna può imbracciare le armi assimilandosi ad un uomo: molte lo fanno, ormai. Un uomo può rifiutare di combattere, ma nei suoi confronti permane un'aura come di codardia. Perchè dalla parte della guerra si pongono ancora qualità ritenute tipicamente maschili come la decisione, il coraggio che sarebbero necessari per distruggere. (Ricordo che appunto nella Prima Guerra mondiale i disertori -termine dal connotato negativo!- furono moltissimi, si fecero oltre 160.000 processi per diserzione e comminate più di 4.000 condanne a morte)

Bisogna invece riconoscere che nell'uomo, nel senso della componente maschile dell'umanità, sono presenti sia gli istinti distruttivi sia quelli di cura, tenerezza, sostegno e compassione. Così come nella componente femminile, allo stesso modo. Nella “pancia” c'è anche la pietà, non solo l'aggressività. La specie umana è sopravvissuta grazie alla cooperazione, alla solidarietà non certo seguendo pulsioni di morte.

Dico tutto questo non per giustificare le donne in armi ma per permettere alle donne di gestire la loro aggressività, riconoscerla e per togliere le armi di mano agli uomini e a tutti. Perché è decisivo per la nostra sopravvivenza separare il conflitto, ogni tipo di conflitto, dall'uso delle armi.

Dobbiamo superare l'idea che il pacifismo sia disarmato, imbelle. Ormai il pacifismo deve essere combattivo per fermare il clima di guerra civile in cui ci stanno portando. E' una via senza uscita.

“Non possiamo essere naif: alla guerra si risponde combattendo, ma con i valori della laicità e della tolleranza."
Elisabeth Roudinesco, La stampa, 16 novembre 2015


9-12-2015

 

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