Una "questione maschile"

di Stefano Ciccone - MaschilePlurale -


Vanessa Beecroft


Il 24 novembre si svolgerà a Roma una manifestazione nazionale contro la violenza e si terranno centinaia di incontri in tutta Italia.

Il segno di un nuovo protagonismo femminile che offre a noi uomini l’opportunità per una riflessione. La violenza maschile contro le donne diviene oggetto di una iniziativa politica che ne denuncia esplicitamente il carattere sessuato e il nesso con un modello dominante che segna la vita di donne e uomini. Senza questa capacità di vederne le radici la lotta contro la violenza rischia di farsi generica e ambigua.

Chi, infatti, non è contro? La giornata contro la violenza rischia di ridursi ad assomigliare a quella in cui si compra una pianta di stelle di Natale contro il cancro per mettere a posto la propria coscienza.

Così la realtà della violenza maschile contro le donne rischia di essere stravolta e strumentalizzata: per alimentare politiche repressive e campagne xenofobe, per rimuovere il nodo vero che riguarda il carattere sessuato di questa violenza. Il fatto che nasce in un universo culturale e in un modello di relazioni tra i sessi condiviso e diffuso.

La volontà dell’assemblea nazionale di Roma delle donne di costruire una manifestazione di sole donne credo intenda rompere questa ipocrisia esplicitando la necessità di un gesto linearmente conflittuale con la cultura e il senso comune in cui nasce la violenza e per rendere fisicamente visibile che si tratta di violenza di uomini contro le donne.

Al tempo stesso credo sarebbe un arretramento assecondare l’idea che la violenza sessuale, gli abusi in famiglia siano “affare di donne” questioni cui la politica con la P maiuscola o la società in generale non debbano offrire specifica attenzione se non come questione di ordine pubblico. Non credo si tratti della riproposizione di una questione femminile ma al contrario dell’emergere di una “questione maschile” come nodo problematico che chiede una politica capace di trasformare le relazioni e la cultura diffusa. E chiede una presa di parola maschile.

Da alcuni anni la lotta contro la violenza sessuata nel nostro paese non è oggetto solo di iniziativa e riflessione delle donne. La prima occasione di un incontro tra uomini, a Roma, circa 20 anni fa nacque proprio dall’invito indirizzato dalle studentesse romane a noi maschi loro compagni a non aggregarci in modo un po’ conformista e un po’ superficiale al corteo dell’otto marzo ma a costruire un nostro spazio di riflessione e iniziativa.

Da allora è cresciuta una pratica maschile, ancora limitata e poco visibile, che fa del contrasto alla violenza sessuata il punto di partenza per una riflessione sulla costruzione sociale della mascolinità e per costruire spazi di libertà anche per gli uomini da un “destino” schiacciato sugli stereotipi della virilità e sul dominio. Un anno fa con l’appello “la violenza contro le donne ci riguarda, prendiamo la parola come uomini” questo impegno ha assunto una nuova visibilità ed ha coinvolto singoli e associazioni. Oggi la rete di gruppi di riflessione e iniziativa maschile rilancia questa iniziativa riaffermando che non è possibile contrastare la violenza  senza aprire un conflitto con la cultura che la genera.

Un conflitto che, crediamo, vada agito anche da uomini che riconoscono nelle forme delle relazioni tra donne e uomini dominanti e nei modelli di vita assegnati ai due sessi come destini ineluttabili, la fonte di una oppressione che immiserisce anche le proprie vite.

Assumere invece la corrispondenza tra un ordine simbolico, un sistema di gerarchie e poteri e l’esperienza umana dei singoli uomini, porta ad affermare che la crisi di quell’ordine rappresenti una minaccia per ogni uomo, che il cambiamento delle relazioni tra i sessi, la crescita della libertà delle donne sia fonte di sofferenza e disagio per ogni singola vita maschile. Ma il percorso di riflessione e di critica sviluppato da gruppi maschili afferma che il vuoto che si apre nei modelli consolidati rappresenta al contrario un’opportunità.

Sappiamo che è necessario aprire su questo un confronto ed anche un conflitto tra uomini, che, oltre semplici e ipocrite denunce della violenza, ascolti le domande che attraversano le nostre vite e costruisca risposte diverse da quelle della reazione revanchista e della nostalgia identitaria.

Ma le forme tradizionali di conflitto tra uomini, ci appaiono inservibili e ambigue: i figli che detronizzano i padri aspirando a occuparne lo spazio, la competizione tra maschi, la denuncia da parte degli uomini, civili, rispettosi ed evoluti delle violenze di “culture” oppressive di cui celiamo il volto maschile.

Per questo motivo i gruppi di riflessione maschile hanno preferito dedicarsi a percorsi di condivisione e consapevolezza, spesso vedendo nella presa di parola e nell’azione politica pubblica il rischio continuo dell’inautenticità, della riproduzione di operazioni in cui il parlare del mondo diventa un modo per non parlare di sé. Per questo abbiamo in passato guardato con sospetto alla stessa gratificazione che può derivare dal partecipare ad una manifestazione contro la violenza degli altri uomini sapendo che può rappresentare l’occasione per la rimozione pacificata della necessità di una riflessione su se stessi.

La partecipazione di uomini al corteo del 24 è però divenuta occasione e indicatore di un conflitto tra donne, tra differenti modi di pensare la costruzione di un movimento contro la violenza. Non credo che si possa attribuire ad una di queste posizioni una maggiore o minore radicalità o autonomia. So per certo che sarebbe un grave errore far diventare questo elemento il dato centrale che paradossalmente occulta le ragioni di questa giornata. Incontrando in diverse città italiane esperienze di donne impegnate contro la violenza registro molti dissensi rispetto a questa scelta e molti inviti a partecipare alla manifestazione del 24. Altre donne con cui ho un rapporto politico altrettanto forte e fertile mi esprimono la necessità di un passo indietro per non offuscare un protagonismo delle donne. Non potendo partecipare a questo dibattito posso solo scegliere di non imporre una presenza maschile al corteo se questo nodo non è risolto dalle donne. La mia idea di politica non comincia e non finisce nel partecipare a un corteo e dunque proseguirà anche dopo il 24 in dialogo con le donne. Questo dialogo deve però avvenire in reciproca autonomia e in reciproco riconoscimento. La presenza degli uomini non può essere l’elemento ricercato per stimolare qualche riflessione tematica ma percepito come ingombrante nei momenti che contano. Ne’, credo che la scelta della separatezza nella giornata del 24  possa prescindere da una riflessione sulle pratiche nei  luoghi misti nei movimenti e nei partiti in cui troppo spesso si conferma la centralità degli uomini di potere e in cui, uomini e donne, facciamo difficoltà mantenere una radicalità di critica verso forme gerarchiche di delega e di appartenenza.

La pratica e l’iniziativa che abbiamo costruito come maschileplurale e come gruppi di uomini impegnati da anni sulla critica del maschile, per quanto limitata, chiede di essere riconosciuta per la sua realtà. Se affermiamo che esiste un’articolazione tra uomini non lo facciamo per “porci fuori” da una responsabilità collettiva e da una storia di cui siamo parte. Proprio l’attraversamento di questa storia e il rifiuto di ogni facile estraneità alla violenza e alle istituzioni di potere maschile hanno da sempre caratterizzato il nostro percorso. Chiediamo però un’interlocuzione politica non semplificata sulle rappresentanze di genere. Ci interessa marcare lo spazio e la distanza tra la storia di ogni singolo uomo e le rappresentazioni di genere, le istituzioni e le strategie di potere maschili perché senza vedere questo spazio e questa non corrispondenza non è possibile nessun cambiamento, nessuna rottura di complicità. Al tempo stesso non mi convince la riproduzione di forme politiche che propongono un’idea del conflitto contro qualcosa di astratto ed estraneo ma sento necessaria la capacità di riconoscere che da questi conflitti siamo attraversati e attraversate.

Con il movimento politico delle donne vogliamo costruire forme e luoghi di relazione che non si fermino alla denuncia dell’arretratezza delle “culture politiche” o della difesa del potere da parte delle istituzioni maschili, ma producano luoghi e linguaggi in cui la relazione e il conflitto tra donne e uomini faccia parlare le concrete vite e soggettività. Questa scelta richiede il coraggio di riconoscere questa relazione come potenzialmente trasformatrice da chi la pratica e non mero confronto tra soggettività “risolte” e ordini simbolici e sistemi astratti di potere.

Se il conflitto è con un Maschile a tutto tondo, i possibili posizionamenti per me uomo sono o l’ipocrita solidarietà, o la superficiale dichiarazione di estraneità o la reazione revanchista o depressa ad esso. Io sento invece che questo conflitto che le donne hanno reso visibile nella società è in parte un conflitto che anche io posso agire, dal mio punto di vista e dalla mia collocazione, per la mia  libertà.

La giornata del 24 novembre può essere l’occasione per fare un passo avanti nella relazione politica tra donne e uomini e per produrre quel conflitto necessario nella nostra società che contrasti la violenza e apra nuovi spazi di libertà per tutti e tutte.

 

 26/11/2007

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