Come stanno le lesbiche? Sprizzano di salute, grazie

di Carla Cotti


Marie Laurencin

Di questi tempi non si vedono in piazza, inabissate (come le femministe) dopo le ultime forti ondate di lotta contro la violenza maschile del 2007-2008. E non si sentono granché, in un paese in cui perfino l'elementare battaglia per i diritti civili del movimento glbt si è arenata miseramente. Si vedono e si confrontano in piccoli gruppi, anche semplicemente di amiche. Ma è difficile vedere il quadro d'insieme.

Insomma, come stanno oggi le lesbiche? Nasce da qui, da questa domanda apparentemente terra-terra, la megainiziativa degli ultimi giorni a Roma, dal 2 al 6 giugno alla Casa internazionale delle donne: "Cinque giornate lesbiche" che hanno intrecciato teoria ed esperienza, arte e politica, nel tentativo di sentire il polso a un soggetto collettivo. Il responso? In una battuta, le lesbiche hanno un sacco di problemi, come tutte e tutti, ma sprizzano di salute.

La prima prova sta nei numeri: 800 presenze solo il primo giorno, almeno 4mila - 4mila 500 partecipanti in totale (tra le altre, fatto inedito, alcune decine di sorde, perfettamente partecipi dell'evento grazie a un team di interpreti della lingua dei segni). Al di là di ogni aspettativa, confessano le organizzatrici. Che sono otto, di provenienza geografica e politica diversa, raggruppatesi per l'occasione a formare il motore operativo di un'impresa che già nella costruzione è un'interessante pagina di politica di movimento.

Almeno 200 donne coinvolte nell'organizzazione in tutta Italia, dalle referenti dei filoni di ricerca (politica, teoria, diritti, relazioni, sessualità, teatro, cinema, arti visive, letteratura, poesia, musica) alle tecniche dei suoni e delle luci, alle volontarie dell'accoglienza e della ristorazione; un anno di consultazioni via web, alcune assemblee preparatorie, gruppi di lavoro; cene, feste e cineforum per garantire l'autofinanziamento (totale, salvo una sponsorizzazione di Birkenstock). La (saggia) decisione di non sprecare energie per tentare di "bucare" i mass media; nessun invito speciale riservato alle donne impegnate nella politica istituzionale (e una certa incredulità nel prendere atto che «nessuna, neanche tra quelle che più si accreditano come interpreti del movimento, abbia sentito la voglia di venire a confrontarsi o ad ascoltare, nemmeno per un'ora»). Un impegno: «Costruire un incontro con contenuti di spessore per capire dove siamo, dare spazio alla teoria e alla politica. Ma anche all'arte, alla festa. Senza escludere niente». Una scelta di orizzontalità massima, che dal mare di proposte ha tirato fuori un programma quasi troppo ricco. Illuminante però, perché ha dato la percezione fisica di un patchwork che si può solo attraversare, e neanche tanto linearmente.

Tre le assemblee politiche, un continuum di ragionamento, spesso intersecato con i workshop più teorici (mediamente parecchio più affollati). Questi (condotti da nomi storici della riflessione "militante", fuori e dentro il mondo accademico - Simonetta Spinelli, Bianca Pomeranzi, Liana Borghi, Ambra Pirri, Nerina Milletti - ma anche da brillanti ricercatrici trentenni, come Francesca Manieri e Elisa Arfini) si sono misurati con le questioni aperte dalla teoria queer: quella che - abbandonato il rassicurante terreno dell'affermazione identitaria, raggiunto nei primissimi anni Ottanta dopo l'aurorale "sessualità diffusa" del primo femminismo - a partire dagli anni Novanta ha spinto a decostruire le definizioni rigide di sesso e genere e tentato di scompaginare gli stessi posizionamenti sessuali eterodossi, per aprire uno spazio di discorso caratterizzato dalla dinamicità del desiderio e dall'attraversamento di tutti gli stereotipi. Tentato, perché poi la piccola, rivoluzionaria lettera "q" che avrebbe dovuto rimescolare, anzi decostruire permanentemente tutte le altre iniziali dell'acronimo della galassia antisessista (lgbt ...q, appunto) spesso si è ridotta a un solitario, insignificante fanalino di coda. E il problema di un'azione politica radicale ed efficace è rimasto aperto.

Di questo hanno dibattuto diffusamente le assemblee, esprimendo sofferenza per la carsicità del movimento, sottolineando il quadro di politiche securitarie post 11 settembre nel quale ci si è mosse, spinte a forza - con gay e trans - nel ruolo di vittime, e denunciando un concetto di cittadinanza sempre più basato sul sangue (ossia sull'ordine patriarcale) che pone il problema dell'antirazzismo non solo in termini di solidarietà.

Un nodo, anche nella fase preparatoria, è stato il tema dell'antifascismo: per alcune presa di posizione assolutamente attuale e necessaria, se - come ha sottolineato la discussione collettiva - il fascismo è inteso come sopraffazione, intimamente legata all'ideologia sessista. Molte però restano perplesse, visto che «la ragnatela delle oppressioni non è riducibile al fascismo». Altro tema cruciale quello della famiglia: luogo violento, oltreché storico baricentro del patriarcato, secondo alcune; per altre luogo degli affetti, anche i nostri - basti pensare alle "famiglie arcobaleno" - ora che il modello unico patriarcale è collassato.

Una divergenza, questa, che rimanda direttamente al fossato esistente tra chi mette al primo posto le battaglie per i diritti (molto seguiti i workshop della sezione, coordinata da Susanna Lollini, dedicati a discriminazioni sul lavoro, matrimonio e filiazione lesbica, separazioni a causa lesbica, contrasto alle discriminazioni) e chi si appassiona a battaglie più radicali. Un conflitto politico che è diventato anche personale. Alle Cinque giornate, donne che non si parlavano più hanno ricominciato a farlo. Non a caso ben due workshop hanno lavorato sul tema, centrale anche nell'assemblea conclusiva, dei conflitti interni ai gruppi e alla politica lesbica.

Fuori strada però cercare di misurare, con un automatismo davvero retrò, l'energia, anche strettamente politica, del lesbismo solo nei classici appuntamenti assembleari o teorici. Per capire davvero, era necessario guardare la ricchezza delle occasioni culturali e artistiche. E anche registrare l'alto tasso di fascino delle partecipanti (perché senza un bel po' di erotismo circolante non decollano né politica né filosofia): un caleidoscopio di età, stili, modi di essere e rappresentarsi che da solo è un manifesto, da solo butta all'aria sia lo stereotipo della lesbica inventato dalla eteronormatività, sia gli stereotipi autoprodotti. Impossibile tacere dell'enorme successo delle feste serali, gremite anche di giovanissime poco presenti ai momenti di riflessione (sintomo di scollamento generazionale, come lamentato da alcune, o delle «diverse modalità di diversi lesbismi», come ipotizzato da altre?).

Un sacco di senso e di forza, poi, è stato sprigionato dalle iniziative più legate all'esperienza, da una parte, o direttamente ai corpi, alla loro "costruzione", alle loro "performance", dall'altra. Tre esempi? La pratica storica dell'autocoscienza, riattualizzata con alcune piccole invenzioni interattive e "riassaggiata" a inizio lavori per iniziativa di sei giovani attiviste, assaggio sufficiente a confermarne tutta la fecondità teorica e potenza di ancoraggio della politica alla vita concreta. L'apertura di dibattito dei drag king (lesbiche che si "trasformano" al maschile), cui le donne in platea non sono riuscite a rispondere a tono - esprimendo poco resistenze, turbamento, attrazione, contrarietà, che pure dovevano esserci - ma che proprio per questo ha rivelato la sua densità (discorso da riprendere in una prossima occasione, magari dandogli più spazio). E per finire lo strepitoso incontro con la filosofa spagnola Beatriz Preciado, che ha raccontato il suo esperimento di autosomministrazione di testosterone nel quadro di una ricerca, in prospettiva postfoucaultiana, sulla "politica degli ormoni" (a partire dalla pillola anticoncezionale) come estrema frontiera del controllo. La sua provocatoria proposta di battaglia a livello europeo per la cancellazione del genere dai documenti di identità come leva sovversiva dell'intero sistema, e tutta la sua ricerca, hanno fatto arrabbiare alcune e affascinato moltissime. Almeno l'ampiezza e la radicalità della sua visione andrebbero colte. Perché - come qualcuna ricordava all'assemblea conclusiva - «una lesbica che non reinventa il mondo è una lesbica in via di estinzione». L'impressione è al contrario che le Cinque giornate abbiano inaugurato un nuovo gradino evolutivo di un soggetto non del tutto afferrabile ma estremamente vitale.

Ora come si va avanti? Restate connesse. Il sito cinquegiornatelesbiche.org non chiude, materiali, idee e nuovi appuntamenti rimbalzeranno lì.

 

da LIBERAZIONE del 09/06/2010

 

 

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