L’unanimità è una trappola
Alessandra Di Pietro


Carla Badiali


Tra le conseguenze politiche del 13 febbraio e dell’8 marzo c’è l’acquisizione defi nitiva che nel movimento delle donne l’unanimità non è necessaria all’azione. Darsi come obiettivo “essere tutte d’accordo” (su un appello, uno slogan, un flashmob) pretende una continua mediazione (quasi sempre) al ribasso che lima gli eccessi, allinea gli estremismi, ammorbidisce le convinzioni, spegne lo spirito critico, crea insomma una orizzontalità che fa male alla vitalità, al dinamismo e alla creatività.

La ricerca della concordia è spesso una trappola che fa disperdere tempo senza far accrescere partecipazione ed entusiasmo, anzi dividendo e frammentando: dunque esaltare l’esigenza dell’accordo totale senza se e senza ma è utile solo a chi vuole indebolire la forza delle donne. Esserci e dappertutto, da sola o con il proprio gruppo, ognuna con il suo pensiero osservando con sincero interesse e curiosità quel che hanno da dire le altre, è possibile, anzi è da incoraggiare.

Dalla gabbia politica e mediatica della consonanza siamo riuscite a sfuggire in questo otto marzo (con manifestazioni grandi, piccole e talune minuscole, ma presenti) e durante la preparazione della manifestazione di febbraio.

Prima del 13, a molte/i il serrato ragionare su corpi e cervelli in vendita, l’insistenza su chi compra più che su chi vende, i posizionamenti politici pro o contro Berlusconi, indignarsi o mettersi al riparo dal moralismo sotto ombrello rosso, sono parse critiche pretestuose, finezze da intellettuali annoiate, snobismi culturali e invece siccome erano interventi politici appassionati e intelligenti hanno allargato la piazza e permesso che nello stesso momento Giulia Bongiorno intervenisse dal palco mentre avveniva lo straordinario flashmob di 200 donne a Montecitorio.

Questa energia disordinata, confusa, contraddittoria che si riversa per le strade ha spesso una matrice antiberlusconiana, ma non è l’unica. Le manifestanti segnano una presenza sul territorio ciascuna con una propria chiave di originalità nella forma nella sostanza (il precariato, la salute, l’ambiente, la sorellanza con le immigrate, alcune hanno convocato manifestazioni con i bambini altre rifiutano di esaltare la funzione riproduttiva etc…,  c’è musica, teatro, poesia) ed è questo il processo da sostenere: esaltare l’entusiasmo di esserci, crearsi un’anima politica, volere lo scambio, persino lo scontro, inventarsi un pensiero, dargli forma, essere contente che l’altra non la pensi come noi e sperare che ne sappia di più e pure di meglio.

Per andare avanti nella crescita del movimento serve di volersi conoscere perché quel che l’altra vuole dirmi viene da un’esperienza e ha un valore.
Il femminismo è per me innanzitutto una autentica attenzione per le donne, il loro pensiero, le loro azioni e le loro relazioni, non può fermarsi davanti all’etichetta di appartenenza fissata con criteri della politica maschile. In questo senso non intendo promuovere una trasversalità acritica, ma neanche sostenere un pregiudizio.

E’ certo che per mettere in scena azioni (pre)potenti serve mettersi d’accordo su un obiettivo – scendere in piazza per esempio – ma che siano minimi e invece sia massimo lo spazio del confronto e della diversità senza asservimento a partiti, segretari di partito, testate giornalistiche, televisive, partiti, regine della doppia militanza (ancora!).

Credo sia l’unica via possibile per fare crescere e/o dare spazio a un ricchissimo soggetto politico diffuso che coltivi orgoglio della differenza (tra noi donne), autonomia di pensiero e di comunicazione per poter, in caso, contrattare con il sistema tradizionale senza ridursi a truppe ausiliare di una politica stanca e incapace.

 

Pubblicato da Gli altri del 11 marzo 2011

 

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