Viaggio a Kabul
dal 24 febbraio al 6 marzo 2002

di Evelina Colavita
di OMID Onlus - Solidarietà Ticino Afghanistan

Questa relazione si basa sulle mie impressioni personali e sulle dichiarazioni della dottoressa Sima Samar, ministro per gli affari femminili del governo transitorio afgano.


Grazie ad un gruppo internazionale di clown medici che lavora nei reparti pediatrici degli ospedali, ho avuto la possibilità di volare a Kabul. Si tratta del gruppo ispirato a Patch Adams (medico americano) sponsorizzato dal comune di Roma. Ho volato su Kabul con gli aerei militari italiani.

L’aeroporto di Kabul è suddiviso in due settori, un settore civile da dove parte l’aereo dell’ONU per Islamabad e un settore militare controllato dalle truppe internazionali dell’ISAF. Gli aerei atterrano a Kabul, scaricano e ricaricano e ripartono immediatamente. Ci sono ancora troppi Stinger in città.

Sono arrivata a Kabul nel primo pomeriggio del 26 febbraio 2002 e subito le truppe italiane dell’ISAF hanno fatto l’appello dei passeggeri. In seguito, tutto il gruppo è stato accompagnato da una scorta militare nel quartiere di Wazir Akhbar Khan a Kabul. Siamo passati davanti all’ambasciata americana, nascosta dietro muri di sacchi di sabbia e filo spinato altissimo.

Il ricco quartiere residenziale di Wazir Akhbar Khan ospita gli uffici delle agenzie ONU, delle 250 ONG, le ambasciate e le residenze di ministri e signori della guerra. Questo quartiere non mostra segni di guerra. Ci sono i vetri alle finestre e ad ogni angolo ci sono negozietti che vendono generi alimentari e quant’altro possa servire ad una vita agiata per gli standard di Kabul. Operai stuccano le crepe degli edifici e gli affitti sono alle stelle.

Le strade sono affollate dai Pick up dell’ONU, delle ONG e dei ministeri afgani. Questi ultimi sono stati donati dall’UNDP e sono facilmente distinguibili, visto che non hanno le targhe. In generale le strade di Kabul sono intasate dai taxi gialli e l’aria è irrespirabile a causa dell’inquinamento.

Ovunque a Kabul c’è musica e ci sono immagini. Poche sono le gigantografie di Ahmad Shah Massud rimaste. Erano state stampate e distribuite dall’Iran. La gente lavora, aggiusta le case, posa vetri alle finestre ed è di buon umore.

A Kabul ho vissuto in casa della dottoressa Sima Samar. Due case più in là abita il famoso signore della guerra tadjiko Sayaf con le sue milizie che si sono sistemate sulla strada in una baracca di legno e vietano alle macchine di fermarsi nelle vicinanze della casa del loro padrone.

Non appena si lascia il quartiere di Wazir Akhbar Khan la distruzione salta agli occhi. Ho visitato soprattutto i quartieri Hazara nella parte ovest della città. I quartieri si chiamano Kartesé, Qala i Shahada e Dasht i Barchi. Solo l’ultimo di questi quartieri è abitato esclusivamente dall’etnia Hazara e dista una ventina di minuti di macchina su strada disastrata dal centro della città.

Lungo la strada per Kandahar la distruzione è totale, nessun edificio è stato risparmiato. Lungo la strada giacciono carri armati distrutti e macchine militari e civili bruicate. L’immagine è dominata dai burqa celesti delle donne. Praticamente tutte le donne portano il burqa. Sima dice che questa situazione non cambierà a breve perché le donne non si sentono sicure. In questo contesto, sicurezza significa che non ci saranno più armi in giro a Kabul e che l’atteggiamento degli uomini verso le donne cambi radicalmente. Entrambe le condizioni non saranno soddisfatte facilmente.

Personalmente non portavo il burqa, Sima non me lo avrebbe permesso. Nonostante portassi il velo e la giacca mi copriva fino a metà coscia mi sentivo a disagio e avrei preferito nascondermi sotto il burqa (l’amico delle donne afghane). Soprattutto in luoghi con molti uomini mi sentivo mezza nuda.

A differenza di Quetta nel 2001, a Kabul non sono gli altoparlanti a chiamare per la preghiera ma un vero e proprio Azan del muezzin che è molto più discreto delle prediche che dall’alba al tramonto mi tramortivano con il loro suono metallico diffuso sopra i tetti da numerosi altoparlanti. Dall’ambasciata italiana e da alcuni giornalisti ho saputo dei combattimenti nel sudovest del paese e anche a 150 km da Kabul. Questo non preoccupa gli afghani, sono abituati alla guerra e notizie di questo genere per loro non sono un argomento. Nemmeno i grandi elicotteri che al calare della notte volano sopra la città fanno alzare il loro sguardo verso il cielo.

Una cosa li preoccupa invece: è la notizia che il signore della guerra pashtoun, Gulbudin Hekmatyar, ha lasciato il suo esilio in Iran, dove si trova e cosa sta tramando, si chiedono gli afghani. Durante il mio soggiorno a Kabul è arrivata in città la nipote del re Zaher Shah. Per la festa di Noruz (21 marzo) è atteso il re in persona.

Ho visitato due scuole per bambine e ragazze Hazara per un totale di quasi 1000 studentesse. Le studentesse e le maestre sono allegre nonostante la precarietà dell’edificio e le classi affollate. Per loro le cose sono veramente cambiate. La situazione nei quartieri Hazara è tranquilla. Qui 60.000 famiglie (più di 600.000 persone) vivono senza elettricità. Alle 22 c’è il coprifuoco in tutta la città. Noi finanziamo una di queste due scuole che ha aperto all’inizio di febbraio 2002.

Alcune domande a Sima Samar.

Sima Samar (a sinistra) con Evelina Colavita

D: Quale è la situazione nel Hazarajat?

R: Ora nel Hazarajat ci sono ca. 30 cm di neve, questo non è certamente abbastanza ma è meglio della totale siccità degli ultimi 3 anni. Non c’è cibo per la popolazione e fra pochi giorni i contadini dovrebbero seminare i campi ma non ci sono sementi. Quindi la situazione non migliorerà nemmeno quest’anno.

Quale è l’influenza del governo transitorio nel paese?

Il paese tuttora è di fatto nelle mani dei signori della guerra e delle loro milizie. Alcuni di loro vivono a Kabul. I ministeri più importanti (interni, esteri e difesa) sono saldamente nelle mani di Jamiat. Con gli altri 4 ministri Hazara ho firmato un accordo. Gli Hazara non imbracceranno più le armi anche se ci sono delle forze che tentano di scatenare una nuova guerra.

Quante persone sono rientrate in Afghanistan?

Nessuno conosce le cifre esatte perché le persone rientrano di propria iniziativa. Soprattutto le persone con una formazione professionale rientrano per un breve periodo per vedere se esiste la possibilità di rifarsi una vita in Afghanistan. Alcuni afgani sono stati portati dalle ONG, lavorano per le ONG e vengono pagati da loro. Questo, secondo me, non è un rientro vero e proprio. Le ONG impiegano quasi tutto il personale specializzato presente in Afghanistan e gli afgani preferiscono lavorare per le agenzie straniere invece che per il loro governo perché gli stranieri pagano di più. Le persone povere e le famiglie non rientrano ora, durante l’inverno, aspetteranno che faccia un po’ più caldo. D’altra parte il paese non ha le risorse per riaccogliere milioni di persone subito. Le risorse che intendo, non è solo il cibo, ma anche gli alloggi che mancano e gli affitti alle stelle.

Quali erano i tuoi sentimenti quando sei rientrata in Afghanistan ?

Da 17 anni non vivevo più a Kabul. Chiaramente ero felice di poter rientrare nel mio paese. Vedere la distruzione delle cose e delle persone e di quello che le persone portano dentro mi ha resa triste.

Cosa mi dici del burqa?

Il burqa è solo un segno, un segno di oppressione. Nel momento in cui le donne si sentiranno al sicuro e avranno fiducia nella situazione si toglieranno il burqa.

Hai paura per il futuro del tuo paese?

Sì ho paura per il futuro dell’Afghanistan. Se la comunità internazionale non ci aiuta a costituire un esercito e una forza di polizia nazionale, le milizie dei signori della guerra e i fondamentalisti si impadroniranno nuovamente del paese. L’ISAF dovrebbe assolutamente rimanere fino a quando saranno costituite le forze nazionali. Spero che il mondo non si dimentichi nuovamente dell’Afghanistan.
Abbiamo bisogno di un leader forte che rispetti le diverse etnie e i sessi.
La strada per le donne afgane è lunga e in salita e spero di poter contare sull’aiuto delle donne occidentali.

Raccontami del tuo ministero e delle organizzazioni femminili.

Ogni fazione, ogni signore della guerra, ogni personaggio in vista come per esempio Rabbani hanno fondato e finanziano una propria organizzazione femminile secondo il motto "divide et impera". Ho il sospetto che alcune organizzazioni femminili siano sponsorizzate da altre nazioni come per esempio l’Iran.

Per quanto riguarda il mio ministero le notizie non sono buone. Ora sono riuscita ad ottenere un edificio ma è in uno stato pietoso e solamente nel mio ufficio ci sono dei mobili, quelli regalati dal governo danese. Vorrei organizzare qui al ministero dei corsi, delle attività e dei ritrovi per le donne ma mi mancano i fondi. Per l’8 marzo ho ricevuto 12.000 USD da Unifem e con questi soldi ho organizzato una manifestazione per 800 persone. Non ho altri fondi a disposizione, nessuno dei paesi che ha promesso di aiutarmi ha mantenuto la promessa. Anche se i soldi dovessero arrivare in Afghanistan, ciò non significa ancora che arriveranno fino al ministero per gli affari femminili.


Valuta:

L’afghani viene stampato in Russia. In circolazione sono quasi esclusivamente banconote da 10.000 afghani. 1 USD = 34.000 – 37.000 afghani.

I progetti finanziati o supportati da OMID Onlus

Ho visitato la scuola femminile di Dasht i Barchi frequentata attualmente da 327 bambine.

La scuola si trova ai margini della città in un quartiere abitato esclusivamente dall’etnia Hazara. C’è grande povertà e la scuola ha aperto all’inizio di febbraio 2002. L’edificio che ospita la scuola è piccolo, troppo piccolo per tutte queste classi. La scuola funziona a due turni, uno di mattina e uno di pomeriggio e offre corsi dalla prima alla quarta classe. Non ci sono lezioni per classi superiori alla quarta classe visto che negli ultimi 6 anni nessuna bambina andava a scuola bisogna ricominciare da zero o quasi. Alcune delle ragazze che frequentano la prima classe hanno 13 o 14 anni. Una delle classi conta 60 studentesse, non va bene, ma è meglio di niente.
Ogni giorno di scuola è una conquista. Stiamo cercando un edificio più adatto ma non è facile trovare edifici nella Kabul distrutta.


Agli uffici di Shuhada (l’ONG di Sima) ho incontrato tre infermiere che hanno lavorato anche durante il regime dei taleban. Due di loro hanno lavorato all’ospedale della Croce rossa e una all’ospedale di Emergency. In strada portano il burqa. Ora insegnano ai corsi di controllo delle nascite e di igiene che allo stesso tempo sono corsi di alfabetizzazione per le donne adulte. Tutte e tre sono donne in gamba. Lo si vede a prima vista.

Negli uffici di Shuhada c’è anche un corso di inglese e computer per 40 giovani donne che con entusiasmo si preparano per il loro futuro.


Ho parlato con il medico dell’ospedale Shuhada a Behsood nel Hazarjat. Sarà lui ad implementare il corso di ostetriche finanziato dall’Università delle donne di Milano. E’ entusiasta del progetto e non vede l’ora di iniziare.