Manuela Pennasilico

ci ha lasciato il 26 Febbraio 2021

dopo anni di una malattia tumorale affrontata con coraggio, determinazione e lucidità estrema


Con la figlia Leila

I suoi scritti ci accompagnano insieme al ricordo e ai frutti del suo impegno che ha lasciato un segno importante nel movimento delle donne di Milano

Ne proponiamo alcuni pubblicati da gruppi di lettura e scrittura della Lud a cui ha partecipato

 

Un gruppo tutto per noi

tratto da Pensare la cura, curare il pensiero, Lud, 2011

 

‘Un gruppo tutto per noi’. Voglio partire da qui, dal mio incontro con il gruppo di scrittura d’esperienza e indicarlo come il luogo in cui mi prendo cura di me, della mia afasia, della mia noncuranza. La prima cura tre anni fa è stata esorcizzare la mia inadeguatezza al mondo, inteso come luogo in cui potessi muovermi dando significato al mio agire, a scuola e nel sociale. Con mia grande sorpresa, attraverso la mediazione di altre esperienze femminili, vissuti reali di qualità profonda, il mio punto di vista sul mondo si è ‘formato’. Ha preso corpo l’interazione tra il vissuto e il suo significato sessuato.

Si è creato attraverso la mediazione del femminismo, un dialogo tra me-mente e me–corpo. Nel mio lavoro ho semplicemente iniziato a dire perché insegnavo certe filosofe e perché facevo certi percorsi storici e qualcosa (non sto raccontando questo) anche a scuola è cambiato. Con il lavoro su La perdita, scritto a due voci da Rossanda e Melandri, ho esorcizzato la mia paura della morte. Insieme al progressivo fugare fantasmi, si è aggiunto il piacere della lettura della post-fazione di Lea Melandri, più vicina alle nostre scritture d’esperienza. Ho con voi l’occasione di leggere i suoi articoli: per me indica cosa significa essere intellettualmente in movimento e aderenti alla vita. Lea, attraverso le sue domande incalzanti sulla politica sessuata, sposta sempre in avanti, attraverso l’elaborazione femminista, il crinale delle risposte attraverso una ricerca mai pacificata.

Ed ora, l’impresa per me più dura da affrontare: la mia incuranza. Cura di sé, relazione di cura, e cura della relazione. 100 Empatizzo, assorbo incantata i racconti del declinarsi del tema in modo da nutrire quella parte di me che possa riassorbire la cifra del mio procedere non-curante. Nel passato per moltissimo tempo ho fatto affidamento prevalentemente sul mio corpo: la sua flessibilità, agilità, resistenza in un’estetica bohémienne che non aveva bisogno di specchi né rivestimenti. C’era sempre qualcuno che mi rimandava un’immagine femminile abbastanza adeguata al genere. Il corpo e la mente (fare l’insegnante di liceo) possono viaggiare separati, avere sofferenze diverse, il procedere le allontana.

Poi mi sono trovata a essere, a quarant’anni, madre e moglie insieme e a dovere interpretare come soggetto un quadro di genere che aveva un vuoto di preparazione profondo, ma ‘un simbolico patriarcale’ ben presente in tutta la mia numerosa e ahimè! anziana famiglia. C’è voluto tempo per capire l’irrequietezza, la crisi profonda in cui ero caduta rimanendo incurante. Ora ho l’occasione di comprendere sotto una luce nuova i miei conflitti.

Penso che questo della LUD sia uno spazio pubblico il cui fine sia dare risposta politica alla domanda di qualità della nostra vita, e dei figli e figlie; e provare a pensare in modo nuovo ai conflitti dell'odierno modo di produzione immateriale, ai quali si sommano le tensioni private della riproduzione sociale, la cui responsabilità è ancora e tutta delle donne soltanto.

Gennaio 2011

 


Foto di Valeria Fieramonte


Una nuova e vera eroina

Questo brano e i seguenti sono tratti da La Clitoride negata. Riflessioni del gruppo di lettura sugli scritti di Carla Lonzi, Lud, 2018

 

Carla Lonzi scrive sul rapporto uomo–donna “… la donna rimuove dall’inconscio la prima preda e sblocca i nodi originari della patologia possessiva

Chissà perché mi sono assegnata una riflessione su questo tema!
Lo so, masochismo. La patologia possessiva che ha risucchiato tutte le mie energie in amori mitizzati, può e deve essere estirpata da nuova e vera eroina capace di non essere preda.
Non Calamity Jane il mio modello nel gioco di ruolo dai 9 agli 11 anni, emula di Buffalo Bill, migliore di lui nella velocità del galoppo e negli agguati, conducente di diligenze, giocatrice d’azzardo, avventuriera; nei fumetti l’alter ego di Pecos Bill.

Si, sarà una eroina che si riconoscerà e verrà riconosciuta come un essere umano completo, capace di non misurarsi sul metro della cultura maschile, sia che vesta il ruolo del cowboy o della madre.
Una donna capace di sottrarsi alle proiezioni maschili, a quella naturale passività (a-priori) che le attribuisce Hegel, il filosofo che dobbiamo espellere dal nostro pensiero e corpo.

Con sottigliezza Lonzi individua un’incongruenza nel trattare il femminile da parte del filosofo.
Raffinato osservatore del concretizzarsi delle idee nella realtà e come essa ne è condizionata, assegna alla donna la figura di una soggettività in difesa delle leggi divine. (Dico quelle che assegnano alla donna il rispetto degli antenati, preghiere e sacrifici, verginità e maternità, se insieme è meglio).

Per Hegel la donna, eterna Antigone, custode della famiglia è inadatta ad un ingresso nella comunità.
Non può però non individuarne il ruolo” di eterna ironia della comunità “ … istanza feminista di tutti i tempi”
Hegel riconosce il sottile disprezzo di questa posizione, e la bizzarra propensione della donna per il giovane e vede l’alleanza donna- giovane come causa di attivata virilità verso l’esterno, cioè la guerra.

In realtà noi attraverso gesto della donna, vediamo in trasparenza il potere del patriarca su di lei e sul giovane … La guerra appare come l’inconscio espediente per ucciderlo.“

La lotta per il potere, la sopraffazione e la sottomissione del vinto che non si è messo in gioco rischiando la vita, sono considerate naturali.

E’ però evidente che l’esclusione della donna ha ingigantito i comportamenti aberranti dell’uomo. L’inconscio maschile è un ricettacolo di sangue e paura, abbandoniamolo perché tocchi il fondo della sua solitudine.
Taccia il tumulto delle obiezioni è forse qui che il rimosso può essere sbloccato?
La donna rinuncia alla complementarietà nella coppia, alla complicità.

Nella sua solitudine l’uomo può, se vuole sentire l’ambivalenza del rimorso che nasce dal non riconoscere la colpa originaria: l’asservimento della donna prima preda.
L’oggetto sessuale che egli avvolge con i ricci spinosi dalla legge, ha sofferto e soffre per questa particolare alienazione di ogni uomo. “La donna è oppressa in quanto donna, a tutti i livelli sociali: non al livello di classe, ma di sesso”

Parliamo di sesso? Già, ogni uomo mitizza la sua sessualità. Il piacere della donna dipende dalle performances della sua virilità: Zeus è nube, toro, pioggia dorata, cigno. La donna ci crede? Si, è spinta da ogni sapere a ignorare la sua sessualità ” si approfitta del sua segretezza fisiologica per tacerne l’esistenza: Il rapporto tra maschio e femmina non è dunque un rapporto tra due sessi, ma tra un sesso e la sua privazione.”

Ne discende il nucleo essenziale della soggezione: l’insignificanza della donna come essere umano che ha una sua sessualità autonoma e non piegata alla procreazione.
La strumentalizzazione della donna alla procreazione reitera l’automatismo maschile che la vede come archetipo della proprietà e pesa sull’ambivalenza emotiva di questo infelice.

E’ l’ istituzione famiglia che norma la sessualità ”è il centro in cui si ripete la struttura umana, incompatibile con qualsiasi mutamento sostanziale dei valori”
E’ qui che dovrebbe attuarsi da parte dell’uomo il salto simbolico a favore dell’abbandono del ruolo virile ? Un percorso di ricerca a partire da sé ha la forte tradizione femminista.

L’associazione “Maschile Plurale” propone gruppi di autocoscienza di uomini che smantellino l’imbroglio del machismo, che mettano in parole la diversità, i desideri autentici, le vere necessità. Uomini capaci di prendere coscienza della loro parzialità. Il blog dell’associazione dà conto di molte difficoltà dei partecipanti schiacciati come sono da una costruzione storica dell’Uomo che ha saputo consolidare una convenzione sociale intorno alla sua natura umana.

L’uomo vitruviano, l’uomo dell’Umanesimo “misura di tutte le cose”, è il marchio della specie: eterosessuale, razionale, bianco, europeo, bello, normodotato. Soggetto che definisce la perfettibilità in termini di autonomia e autodeterminazione dovrebbe, anzi DEVE, rendere conto delle azioni concrete di sessualizzazione, razzializzazione, naturalizzazione, colonialismo, etnocentrismo. E’ il modello di identità grazie al quale tutti gli altri possono essere valutati, normati, assegnati ad una definitiva posizione sociale: gialli, donne neri, animali. Deve cambiare!!!

La riduzione allo stato sub-umano degli altri non occidentali bianchi (Hegel li fa cadere fuori dalla storia, muti, e come la donna li considera non dialettizzabili perché non riconducibili al Medesimo) è l’origine dell’ignoranza perdurante, della cattiva coscienza del soggetto dominante che è responsabile della loro disumanizzazione.

Ma NOI OCCIDENTALI abbiamo inventato la democrazia!

Un ordine democratico superficiale e illuminista omologa le differenze in nome dell’eguaglianza, laddove una democrazia densa poggia sulla premessa che le voci differenti sono parte integrante della vitalità di una società democratica.
La ricordo perché Lonzi attribuisce, secondo me, alla donna l’agire politico arendtiano: mancanza di necessità ideologica, dimensione esistenziale cioè energia, pensiero, coraggio, attenzione, capacità di smentire una valutazione dei fatti costruita in base al potere.

Le esigenze che essa va chiarendo non implicano un’antitesi, ma un muoversi su un altro piano: il separatismo, la pratica dell’autocoscienza e le relazioni tra donne.
La “patologia possessiva” necessariamente deve confrontarsi con la sfida femminista che ormai è posta.
Se la causa della donna si pone, è una causa vinta”

 


Foto di Liliana Barchiesi

 


Voltare pagina

Sulla tovaglia bianca allineo palline di mollica. Di fronte a me lui parla e io mi annoio. Ora lo so, sta monologando, una riflessione ad alta voce che non si rivolge veramente all’altro: l’altro è testimone di quello che ti succede. Non c’è un confronto reciproco sui desideri non c’è verità.

In Vai pure Carla Lonzi ingaggia una lotta durissima con Pietro Consagra sul suo diverso modo di voler essere riconosciuto. Pietro è felice che la sua autobiografia sia considerata un buon libro. L’opera è lì da divulgare, ma la relazione con Carla, il processo di formazione che l’ha nutrito nell’autobiografia non c’è.
Carla non vuole che i suoi libri siano considerati letteratura ma che rivoluzionino il modo di essere e pensare di coloro che li leggono. Nascono dai rapporti con le persone e ne esplicitano il processo di crescita della consapevolezza e dell’interdipendenza, vogliono mettere in movimento.
Dice Pietro per giustificarsi “Tu hai messo della carne da bruciare continuamente nelle tue pagine. Io questo non l’ho fatto, non ho bruciato niente”.

L’incandescenza delle parole di Carla mi modifica, dunque il suo desiderio si è realizzato.
La distanza tra la sua consapevolezza e la mia complicità con il maschile (la prospettiva di risoluzione accanto all’uomo è così ben articolata che alla fine la donna ci va, mi appare enorme, ma ne posso misurare l’ampiezza e la profondità.

Le palline di mollica sulla tovaglia di lino formavano il disegno di un airone. Mi annoiavo, mio padre guardava la televisione e contemporaneamente ascoltava mia madre che parlava di noi ragazzi. Volitiva, impositiva, narcisista, ciò che diceva era risolutivo ma non aveva nulla a che fare con la mia realtà.

La donna lasciata sulla porta di casa non sa niente dei sentimenti e delle relazione dentro la casa. E’ solo con il fuori che può confrontare la ricchezza e la varietà delle esperienza della vita. Capire e vive devono andare insieme.

Lo so ora, ma alla bambina che ero, restava solo il sogno d’amore come fuga dal troppo ristretto spazio del vivere e il troppo astratto capire libresco. Il fatto che tutte le eroine innamorate dei romanzi muoiano dovrebbe avvertirla dell’inutilità del suo desiderio di questo tipo di libertà originato da oscura insofferenza.
E dovrebbe metterla sull’avviso che è quest’amore dell’uomo? Non è niente ….. Per la donna l’amore è un fine per l’uomo un mezzo per trarre appoggio, consenso, energia.

Ma le madri non educano ad un rapporto uomo–donna egualitario, sono donne che capiscono e cedono perché il bisogno di amore è più forte del bisogno di autonomia. Si sono illanguidite sull’amore passionale hanno tracciato la via della resa che ho inconsapevolmente percorso pensando di essere originale.

La mia iniziazione al patriarcato è stata condizionata da una cultura meridionale proterva fondata sulla convinzione dell’inettitudine della donna ad essere autonoma e rinforzata dall’umiliazione di una educazione autoritaria e dall’esclusione di relazioni esterne alla famiglia e politiche. La perdita di voce e di memoria e l’incapacità di raccontare accuratamente la mia storia sono segni rivelatori della mia acquiescente adesione.

Mi alzo per sparecchiare e con lui parliamo di scelte economiche. Si puntella sotto il mio peso.
Più sei nei ruoli tradizionali, più devi dimostrare di essere all’altezza del suo; meno sei nei ruoli e più la tua personalità lo inquieta. Un equilibrio non c’è mai. In questa oscillazione inconsapevole consumo energie in rappresentazioni femminili fittizie che smarginano la mia identità. Mi sono persa aderendo così bene al desiderio dell’altro di essere sostenuto, approvato che ho assorbito il sogno dell’altro e i miei bisogni non ci sono più. Si vive il presente, si consuma il futuro perché è nell’altro.

Per ora il mio desiderio è essere come Ulisse, legata al palo della consapevolezza che è Carla Lonzi e ascoltare le sirene della cultura del potere senza correre metaforicamente tra le sue braccia.

 


Sorprese

La donna clitoridea e la donna vaginale, scritto nel 1971 da Carla Lonzi, è il libro proposto nel 2017 da Laura Lepetit al gruppo di lettura che conduce alla LUD.

Nonostante i risolini tra noi “Ma il sesso alla nostra età non è un lontano ricordo?” il libro è stato per me una rivelazione e mi domando “Se l’avessi letto quando è stato pubblicato mi avrebbe salvato dalla mitizzazione del mondo maschile? ”

Carla Lonzi in questo piccolo libro sdrammatizza il contenuto di sofferenza e sdegno per una sessualità femminile inespressa riversando la sua esperienza e citando come contraltare i testi classici del tempo sulla sessualità: W. Reich, W.H. Master e V.E.Johnson, W.Wincker.

In semplici e lapidarie frasi bolla l’orgasmo vaginale come colonizzazione dell’immaginario umano fonte per il maschio di potere e piacere.

Il sesso femminile è la clitoride, il sesso maschile è il pene. La vagina è quella cavità del corpo femminile in cui contemporaneamente all’orgasmo dell’uomo, inizia il processo di fecondazione. Nella donna meccanismo del piacere e meccanismo della riproduzione sono comunicanti ma non coincidono. La coincidenza che non esisteva di fatto nella sua fisiologia è stata posta con un gesto di violenza culturale che non ha riscontro in nessun altro tipo di colonizzazione.

Come si accondiscende? Perché è così facile?

C’è un attimo della vita della ragazza, che passa come una meteora. E’ quando essa si sgancia dalla casa paterna e sola percepisce confusamente tutte le potenzialità del suo essere. Ci si può chiedere come mai questo periodo di autonomia è così breve, come mai l’avvicinamento del ragazzo è la capitolazione così immediata.

Nella mia mente c’è un’immagine di ragazza nella prestigiosa Aula Magna dell’Università Cattolica. E’ seduta in terra le braccia incrociate intorno alle ginocchia, calze trasparenti, scarpe con tacco alto, gonna dritta e golfino azzurro scollato e traforato in pieno inverno, grandi occhi blu truccati con sapienza, capelli a caschetto. L’incompetenza assoluta in tutti i campi si sposa alla consapevolezza di essere parte della rottura della tradizione e all’euforia dell’esistenza piena di promesse: è il 1968. Però c’è altro, la sensazione di stare vivendo il momento più esaltante della vita, l’attesa dell’ignoto, dell’atto misterioso che conduce all’essenziale sul quale pesano divieti: sta aspettando di vivere una storia d’amore.

La seconda immagine invece è una piccola fotografia in bianco e nero: ha come sfondo un pittoresco abbaino in corso Magenta. La ragazza ritratta ha un tailleur leggero dai colori chiari, capelli freschi di parrucchiere, non è truccata, seduta in terra le gambe raccolte fra le braccia ride, la testa appoggiata alle ginocchia il viso rivolto verso di lui, vive la leggerezza di essere svincolata dallo sguardo adulto è animata dalla volontà di darsi, di rompere il tabù dell’inutile verginità.

Quello che accade non è quello che si aspettava. E’ soggiogata dal desiderio di lui, non può sottrarsi allo stato che lei gli provoca, è priva di volontà, si affida all’esperienza dell’altro.

E’ già l’oggetto di desiderio, la preda affascinata dell’alone taumaturgico del modello sessuale maschile che rafforza il mito della bontà della coppia.

L’attesa dell’incontro con l’uomo che è base della preparazione alla vita ha creato in lei una disposizione che scatta prima che essa possa prenderne coscienza. Niente di ciò che era suo, nemmeno il piacere provato nell’autoerotismo, mantiene consistenza di fronte allo sconvolgimento che le procura il contatto con il mondo maschile.

Potrebbe con orgoglio pensare: “ E’ a me che sta succedendo!” Ma un io non c’è più. C’è la volontà di dare piacere che è già diventata l’abitudine a obbedire.

Il condizionamento culturale , la religione conducono a soddisfare la propria sessualità attraverso l’unione, la fusione, l’aspettativa della fine dell’incompletezza nella penetrazione procreativa

Il piacere vaginale è il piacere ufficiale, raggiungerlo per la donna significa sentirsi realizzata nell’unico modello gratificante per lei quello che appaga le aspettative dell’uomo. Peccato che bisogni forgiare un’immagine dell’Altro che sia migliore dell’immagine che si ha di sé.

Tirarsi fuori dal modello sessuale oppressivo dice Lonzi non è un’impresa che la singola può iniziare:le parole autentiche sulla propria sessualità si fanno strada dolorosamente nel confronto tra donne.

Il femminismo afferma che la donna vaginale è quella che in cattività, è stata portata a misura consenziente per il godimento del patriarca mentre la clitoridea è una donna che non ha accondisceso alle suggestioni emotive di integrazione con l’altro che sono quelle che hanno presa sulla donna passiva, e si è espressa in una sessualità non coincidente col coito.

Molte pagine sono dedicate alla sua esperienza di donna clitoridea, sulla baldanza di questa posizione e l’energia creativa che prorompe quando non aspetta dagli uomini stimoli o suggerimenti, ritira il transfert e guadagna la partecipazione attiva al suo piacere e l’autonomia mentale che permette la conoscenza di sé.

La donna clitoridea non soffre della dualità e non vuole diventare uno. Non aspira al matriarcato che è una mitica epoca di donne vaginali glorificate. La donna non è la grande madre, la vagina del mondo ma la piccola clitoride per la sua liberazione.

Carla Lonzi ha fronteggiato l’invadenza del mito culturale dell’universalità di fini e valori (costruiti dagli uomini per se stessi) non rimanendone presa, resistendo con la pratica dell’autocoscienza alla femminilità imposta e alimentata dall’uomo che fa di ogni donna la custode involontaria della priorità maschile nella vita e nel mondo.

Freschezza e presenza di sé: il messaggio del secolo scorso arriva dopo quasi due lustri a interrogarci di nuovo.

Non si tratta di soddisfare il nostro sesso ma di affermarlo.


di Chiara Corio

 

Un vento di primavera
addolcisce l'addio
lungo margini fioriti

Un orizzonte di nuvole
qui e un sole fiammeggiante
incendia la pianura

Tutta la vita mi sembra
passo sospeso
una pausa tra due note

Non ricordo più cosa pensavo
né quale sogno
avessi nel sangue

Era spostarsi
nell'infinito essere
un ultimo sguardo

Mentre tutto continuava
senza me
accanto a me

Risognavo l'incantamento
di un amore
la carezza delle mani

Vita così fragile
sorso di pena
grano di riso

Fiammeggiante segreto
sotto il cielo
distesa nel sogno
nell'aperta meraviglia
...

Nicoletta Buonapace

 

 

28-02-2021

Homedossier