Nel Frattempo – Storie di un altro mondo in questo mondo

Laura Caruso

Sull'ultimo numero di Leggere Donna una bella recensione al mio ultimo libro di Laura Caruso. Grazie Laura, grazie Luciana.

Barbara Mapelli

 

Leggere “Nel Frattempo – Storie di un altro mondo in questo mondo” di Barbara Mapelli è un’esperienza complessa. C’è differenza tra “complessa” e “complicata”: la complessità di questo testo è legata all’imprescindibile articolazione che riguarda il maneggiare argomenti vasti con molti piani che si intersecano. Senza questa complessità ci troveremmo di fronte a un pensiero che semplifica, sì, ma banalizza.

I libri di Barbara Mapelli sono spesso così: questo nuovo lavoro si pone in continuità con il precedente “Nuove intimità – Strategia affettive e comunitarie nel pluralismo contemporaneo”, del 2018 e con “Sentire e pensare – L’amore tra distanze e vicinanze, differenze e persistenze” del 2017.

Sono testi ricchi di storie, che l’autrice raccoglie con pazienza, attenzione e cura, e poi riunisce formando di ogni singola storia la tessera di un mosaico che, a guardarlo, restituisce un senso complessivo ampio seppur rispettoso di ogni parte che lo compone.

Ho la fortuna di sapere come nascono i libri di Barbara Mapelli, in ciascuno di questi suoi ultimi tre lavori ci sono parti di me e, in quest’ultimo, una breve parte da autrice che riguarda l’esperienza dell’auto mutuo aiuto per le persone transgender. So come Barbara Mapelli organizza nei dettagli ogni parte del suo lavoro, come si siede di fronte a te, registra il tuo contributo di esperienza, lo trascrive e lo incastona in tutto quell’insieme che diventa un libro. Ho anche la fortuna di frequentare Barbara Mapelli lavorando insieme a lei per il Gruppo di Ricerca Interuniversitario “Nuove Soggettività Adulte” che coordina insieme a Micaela Castiglioni.

Mi trovo quindi in una posizione che sta ai confini tra l’affetto, la riconoscenza e il conflitto di interessi, ma ho desiderato comunque raccontare che cosa ha mosso dentro di me la lettura di questo libro.

Il lavoro è suddiviso in tre parti, che accolgono molte voci differenti, separate ma anche, per apparente paradosso, unite da “intermezzi”. Il libro, dichiaratamente eterogeneo, cerca – riuscendoci – di mettere a fattor comune persone, comunità, esperienze, parole, luoghi e relazioni che sono accomunate solo dall’appartenenza a “un altro mondo”.

Questo libro racconta un sacco di cose. Racconta di associazioni, di diritti, di nuovi linguaggi e di nuove forme di famiglia.

Barbara Mapelli si avvicina all’altro mondo costituito dalla varietà delle nostre identità, affettività e sessualità che sono certamente un mondo a parte, quello della comunità LGTB+, ma che al tempo stesso (“nel frattempo”, appunto) fanno parte di questo mondo.

Lo fa, com’è sua cifra, in quel modo molto personale che svela alla fine del suo lavoro, nelle osservazioni conclusive.

Andando oltre ciò che il libro non può compiutamente rivelarci, il lavoro editoriale rappresenta solo una fase di finitura, di “confezionamento” per rendere fruibile a chi è distante (sul concetto di distanza ci sono spunti molto interessanti proprio nelle conclusioni) la vista organica di un’esperienza che è prima di tutto personale e umana. Si pensa che la genesi di un libro sia da qualche parte in una stanza con un foglio, una penna o un computer, ma in realtà i lavori di Barbara Mapelli nascono nei seminari che organizza alla Libera Università delle Donne, che da anni ospita ricchissimi incontri, oppure alle presentazioni di un libro, o ancora negli incontri con le persone o in un seminario coi giovani studenti universitari.

E il modo in cui l’autrice si avvicina a “un altro mondo in questo mondo” è svelato proprio al termine del libro. Leggendo le conclusioni ho avuto la sensazione di trovare le parole migliori che cerco da anni per definire “il modo di Barbara”: si avvicina, ma non troppo da diventare invadente, e credo che questo sia ciò che le ha fatto conquistare la fiducia di molte persone appartenenti alla comunità LGBT+ che come me scrivono, si espongono, raccontano, lottano.

Noi siamo un po’ diffidenti. Perché questo nostro “altro mondo” è spesso sotto i riflettori e succedono due cose antipatiche: la prima è che si ha la sensazione che il “nostro mondo” sia uno strumento per recuperare audience. La seconda è che spesso chi si avvicina a noi non si accontenta di ascoltare, ma pretende anche di prendere parola per conto nostro, di dire che cosa si deve o non si deve fare, e poco importa che i contenuti siano di supporto: si tratta proprio di una prospettiva irrispettosa.

Barbara Mapelli, invece, scrive: «sono vicina a coloro che qui racconto e si raccontano, ma non posso avvicinarmi più di tanto, non posso pronunciare un noi. La mia storia è diversa. Ma ho imparato a riconoscere questa distanza come una lontananza approssimante».

Questo suo sapersi “parte terza” ma solidale è un po’ il segreto dei suoi lavori, ma direi della sua persona, tanto che a volte mi dimentico della sua storia e la considero parte della comunità LGBT+, probabilmente “a sua insaputa”.

Se questa è la potenza dell’approssimarsi nella distanza che pratica, direi che il risultato è pienamente raggiunto.

 

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