Margherita Giacobino, Ritratto di famiglia con bambina grassa

Nicoletta Buonapace

 

Il libro più intenso, più coinvolgente, di Margherita Giacobino. Un romanzo di grande maturità, frutto dell’incontro con le protagoniste e i protagonisti d’una storia personale e collettiva insieme, narrazione di un mondo, che attraversa la dimensione interiore e una più sociale interrogandole, mettendone in luce le contraddizioni, i conflitti, mostrandone le ripercussioni sulla vita più intima di coloro che ne sono parte attiva.
Una narrazione che passa attraverso i ricordi e i vissuti d’una generazione di donne delle quali l’autrice è l’ultima discendente e che rivivono attraverso il suo sguardo a comporre un pezzo di storia del nostro paese, dal lavoro e da una cultura contadina, alle vicissitudini della migrazione, alla fabbrica, ai nuovi scenari che questi cambiamenti aprono nelle vite delle protagoniste.
Un affresco che inizia tratteggiando la prima d’una serie di donne, matriarca spietata e dominatrice all’interno d’una famiglia di stampo patriarcale e contadino, all’emancipazione lenta e progressiva di figure femminili che andranno incontro al mondo industriale, fino alla scelta di autonomia dell’ultima delle discendenti, la madre dell’autrice, che avvierà un negozio e manterrà tutta la famiglia assumendo un ruolo diverso da quello tradizionalmente riservato alle donne, in una relazione di autonomia dal marito, “uomo di vento”, inconsistente e inaffidabile, e infine colei che di questa storia è la depositaria, Margherita, che diviene, grazie a questo lungo cammino, colei che inaugura la possibilità e la pienezza d’una nuova libertà, quella dell’essere pienamente se stesse.
Margherita Giacobino ci dice più volte che è grazie all’amore ricevuto per ciò che semplicemente era, che questo è potuto avvenire, grazie alla presenza d’un punto di riferimento materno, profondamente accettante, che ha potuto crescere, sperimentare il mondo, divenire autentica. E possiamo anche noi condividere questo percorso, grazie allo sguardo “sbieco” e illuminante attraverso il quale scrive e che rivolge alla madre, “al di fuori dell’amore, o forse con un amore più adulto, cogliendo quello che rendeva lei più umana, e me più libera.”
Dunque, tutto il libro tratteggia un percorso di autoconsapevolezza, una profonda riflessione sul rapporto madre/figlia, e la conquista d’un’identità in cui vicinanza e separazione si muovono dinamicamente all’interno di una relazione di fiducia e amore, un percorso che riguarda la memoria e la libertà, attraverso uno strumento, quello della scrittura, in cui riecheggia la lingua amata delle origini, il dialetto, e insieme dà voce alla complessità del proprio divenire perché “chi scrive (…) sa bene che “io” sono tante persone, e non necessariamente vanno tutte d’accordo – anzi dai loro conflitti possono nascere nuovi mondi, spesso inesplorati in cui l’universo interiore non smette di espandersi.”

In questo senso il romanzo di Margherita Giacobino fa i conti con una doppia eredità: quella materna, capace di un amore in cui la cura non abdica alla forza e alla saggezza e quella paterna, contrassegnata dal senso dell’avventura, dell’insofferenza alle regole, con tutto il suo contraddittorio fascino, per quanto infantile e inconsistente.
Di nuovo, anche qui, la strada della difficile convivenza di queste apparentemente inconciliabili dimensioni è risolta nella dimensione creativa della scrittura, capace di aprire spazi di fantasia e di riflessione insieme.
L’autrice, in quest’ultimo romanzo, si lascia andare a una libertà espressiva nuova, profonda, meditata e impetuosa nello stesso tempo, a tratti lirica, di grande bellezza, che risuona con particolare intensità quando si sofferma sul legame d’amore, ma subito dopo mettendoci in guardia dalle facili semplificazioni: “Ma esiste, poi, un amore aggettivabile? Filiale, sororale, amicale, coniugale, passionale - ogni aggettivo sembra togliere qualcosa alla misteriosa complessità dell’amore”.

In questo viaggio nel tempo e nell’amore Margherita riconosce le sue radici e ci offre la possibilità di commuoverci, pensare, interrogarci. Ci rivela l’origine dell’ironia che abbiamo conosciuto nei suoi precedenti libri, attraverso le battute fulminanti delle sue prozie, che hanno la forza e l’espressività del dialetto e dell’intelligenza popolare.
Non vuole sedurci, facendoci ridere, piuttosto ci porta per mano in una dimensione in cui il sorriso è la capacità di restituire alla fatica del vivere, una sua sostenibilità oltre a quella leggerezza e libertà di giudizio che viene dal vedere il re nudo.
C’è nostalgia nei ritratti delle figure che animano il suo libro, una nostalgia che le rende presenti, vive, in quel miracolo della scrittura che è il ridare volto, voce, colore di suoni e di gesti a coloro che ci hanno lasciato e ci hanno formato.
“Ritratto di famiglia con bambina grassa”’ è un romanzo necessario, che della necessità ha l’urgenza e la bellezza, scritto con una lucidità che non chiude gli occhi di fronte alle storture e alla violenza della storia, alla disparità del rapporto tra uomini e donne, all’ingiustizia della povertà, ma anche alla possibilità di svincolarsi da tutto questo attraverso il coraggio di scelte di autonomia.
Nulla è idealizzato, ma tutto restituito in un rapporto di verità con le cose e ciò che accade. Alla fine il paesaggio che rimane più impresso è quello di un’umanità, incarnata da donne dotate di un’intelligenza e una forza fuori del comune, che sanno costruire relazioni basate sull’amore e la solidarietà reciproche, l’eredità più preziosa che Margherita può a sua volta portare nel mondo.

“Ci sono in noi gesti atavici, memorie prenatali di età non ancora vissute. Vecchio e giovane, grande e piccolo, non sono solo concetti relativi, ma parti inscindibili del nostro tutto. Anch’io, da bambina, come Manì* da cucciola, leccavo il viso di mia madre, le sue mani. Lo facevo in modo umano, non con la lingua, ma con gli occhi. Ero una mamma di tre anni: si vede in quella foto. Non me ne sto lì placida nel suo abbraccio, puro recipiente delle sue cure: in me vibra una piccola maternità specchiante, un’infinita tenerezza, un trepidante senso di protezione e di orgoglio per il mio tesoro. Già allora mi sento più vecchia della mia età, come poi sempre nella vita. Posso dire, come Violette Leduc, che quelli che ho amato sono stati i miei figli. A cominciare da mia madre.” Così magna Ninin, “una vecchia dai capelli grigi che sembra sorgere dalle lontananze più arcaiche, la guardiana di un confine a cui mi accosto con reverenza e tremore, e Maria, mia madre, con il suo bel viso di donna ancora giovane, i suoi capelli neri, sono diventate icone – o forse, come si direbbe adesso, avatar – della mia psiche. Nella quale abitano, per sempre – il mio modesto “sempre” mortale – una donna giovane e una vecchia, che sono per me le due facce dell’amore.”

*La gatta dell’autrice.


Margherita Giacobino, Ritratto di famiglia con bambina grassa
Mondadori, 2015, pag. 264 € 17,50

 


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