La battaglia di Pavia: come mai tante donne negli arazzi-capolavoro che ne narrano la storia?

Valeria Fieramonte



Nello splendido Castello Visconteo di Pavia, si potrà vedere, fino al 15 novembre 2015, la mostra 'Pavia, la Battaglia, il Futuro' che raffigura in sette arazzi di meravigliosa fattura una battaglia considerata di grande importanza storica per i destini dell'Europa del tempo.

Il 24 febbraio del 1525, infatti, avvenne un combattimento decisivo tra l'esercito francese, guidato dal Re Francesco 1° e l'armata imperiale, guidata da Francesco D'Avalos e Carlo di Borbone.

Vinsero gli Spagnoli e nulla fu più come prima: l'epoca rinascimentale si chiuse definitivamente e, per l'Italia, iniziò un periodo di colonizzazione della durata di secoli.

Ogni arazzo racconta una fase della battaglia: sei degli arazzi sono in 3D (gli originali sono conservati nel museo di Capodimonte a Napoli), cosa che permette di vedere con estrema precisione i mille particolari della vicenda bellica.

Il settimo arazzo – dal vivo – un capolavoro dell'artigianato fiammingo commissionato dai vincitori per celebrare le loro gesta, lungo otto metri e largo cinque, intessuto anche con fili d'oro e d'argento è esposto poi nella torre sud-ovest del castello presa come sala conclusiva dell'esposizione.

All'epoca gli eserciti si tiravano dietro anche molti civili: fabbri, falegnami, cuochi, e tantissime donne.

“Non erano 'contate nei ruolini', cioè non erano arruolate”, precisa Luigi Casali, esperto di storia militare: questo significa che se morivano non erano neanche registrate come 'perdite' negli appositi registri (peraltro quasi sempre gonfiati, sia come morti che come vivi, per ottenere più denaro).

Si dividevano in tre categorie: le prostitute, le puttane e le cortigiane. Qual era la differenza?

Le prostitute occupavano il gradino più basso ed erano a disposizione di tutti. Le puttane no: erano assoldate da singoli militari per i quali svolgevano ogni genere di mansione di servizio. Di fatto erano delle specie di mogli di guerra a pagamento e questo spiega perché negli arazzi siano numerose le donne raffigurate in fuga o in mezzo agli eserciti in combattimento. E che ci sia persino qualche famigliola con bambini, vestiti come i padri da piccoli guerrieri.

In uno degli arazzi c'è anche una giovane, bella, elegantissima cortigiana a cavallo, con tanto di servitori e dama di compagnia, che era al seguito di qualche capo militare. Non si sa bene di chi (all'epoca su queste cose c'era una maggiore riservatezza e le tecniche di spionaggio erano meno efficienti mentre i depistaggi su questo genere di questioni riuscivano quasi sempre).
Ma i più ipotizzano che fosse la cortigiana del Re di Francia, il perdente, e la misoginia militare ipotizza anche dunque nella sconfitta una specie di 'cherchez la femme'.
Le cortigiane erano considerate 'puttane d'alto bordo' ovvero al soldo di un solo (o pochi) padroni, ma ricchi. Il concetto di amante era di là da venire e comunque la casta militare non sembra ancora averlo acquisito.
Ci vorrà la letteratura di fine '800 con figure come Anna Karenina e madame Bovary a cambiare un po' la visione delle cose.

“In realtà Francesco 1° fece degli errori tattico strategici madornali – dice il Casali - fu mal consigliato dal suo migliore amico, che peraltro morì in battaglia come larga parte dello stato maggiore francese”.

Disarcionato da cavallo con la sua pesante armatura e preso prigioniero, fu lui a scrivere alla madre, Luisa di Savoia la famosa frase “tutto è perduto fuorché l'onore”.
Quasi ottomila suoi soldati più i civili, donne e bambini compresi, furono massacrati senza pietà.

La battaglia di Pavia segnò anche la fine della cavalleria medioevale: i cavalieri coperti da armature, quasi tutti appartenenti alla ricca nobiltà erano infatti facilmente impallinati dagli archibugieri, che avevano sì fucili rudimentali, ma dotati di palle di metallo di 25- 30 grammi che foravano facilmente anche le armature.

Era finita l'epoca del coraggio individuale nei combattimenti: i cavalieri disprezzavano gli archibugieri, perché ritenevano le armi da fuoco 'vili e insidiose', ma furono proprio queste ultime a spazzarli via.

Fu uno degli eredi dei vincitori di allora a donare gli arazzi originali al Museo di Capodimonte, alla fine dell'800.

La virtualità in 3D potenzia la perfezione dei dettagli e la descrizione dei costumi e dei luoghi.

I costumi in particolare sono stranamente eleganti e raffinati per militari che oggi supponiamo rudi e anche abbastanza ignoranti: quasi che all'epoca la guerra fosse ancora percepita più come una tenzone di gala che come un combattimento moderno.

Cappelli con le piume, tessuti ricamati, colori vivaci e molto riconoscibili, stoffe che sembrano pregiate, giubbe ben ordinate, una cura dell'abbigliamento che si direbbe persino avere qualche elemento di vanità. Sugli abiti di questi militari del '500 sono poi state disegnate anche le divise delle guardie svizzere papali.

Fu a partire da questo periodo che i capi militari non hanno più combattuto con le proprie truppe condividendone i rischi ma si sono limitati a dirigerle da lontano.


Un'ultima nota sulla zuppa alla pavese, o soupe pavoise, un piatto che la tradizione collega a questa battaglia: fu una contadina a inventarla.

Spaurita e spaventata di fronte al Re di Francia preso prigioniero, quando le fu ordinato di portargli qualcosa da mangiare si arrangiò con quello che aveva: fece abbrustolire del pane raffermo, ci versò sopra un uovo avendo cura di non rompere il tuorlo e vi versò ancora sopra del brodo bollente.

Tutto qui, sembra che il Re apprezzasse moltissimo e da allora la zuppa entrò negli annali della storia. Oggi vengono aggiunte anche foglioline di crescione, ma è difficile trovarla proposta nei ristoranti pavesi...


17-06-2015

 

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