A casa di Ilaria, in cerca di futuro
di Manuela Cartosio



Due stanze, bagno e cucina. E' la casa di Ilaria, quella vera, in zona Lambrate. Quella telematica - acasadilaria@yahoo.it - funziona da un paio di settimane come contatto tra giovani&precarie. Tra tante signore di una certa età, saranno la new entry alla manifestazione nazionale di sabato a Milano in difesa della legge 194 e per la libertà femminile.

Sul grande tavolo, tra bucce profumate di mandaranci e gusci di spagnolette (che non viaggiano ancora in rete), c'è il volantino «Donne in saldo», da distribuire lungo il corteo. Oltre alla padrona di casa, ci sono Fiorella, Ada, Emanuela, Iolanda, Flavia, Gloria, Selva (e pazienza se l'allegra confusione ci farà attribuire a una quel che ha detto un'altra). La più giovane ha 22 anni, la più «vecchia» 28, tanti come la legge sull'aborto.

Sono lavoratrici-studentesse o studentesse-lavoratrici variamente atipiche: cococo, cocopro, partite Iva, assunte a tempo determinato in archivi, biblioteche, enti locali. Guadagnano tra i 500 e i 1.000 euro al mese, pagate «a 90 giorni», ma anche dopo un anno. Selva, che insegna musica, è pagata a ore. Gloria è l'unica con un «lavoro vero», retribuito decentemente: fa la fisioterapista in un centro di riabilitazione. Un «lusso» attenuato dal contratto a termine. Non abitano più con mamma e papà. Qualcuna, rimasta a secco, ha dovuto tornare sotto il tetto familiare. «Metter su casa è una faccenda più complicata di come la racconta la pubblicità dell'Ikea», dice Flavia. Chi si avvicina a un mutuo si ferma ai preliminari. «Lei cosa possiede?», chiede la banca. «La vespa», ha risposto una della brigata.

Soldi a parte, «per affittarti un appartamento ti vogliono sposata, per darti un lavoro ti vogliono single». E, rigorosamente, senza il ghiribizzo di fare un figlio. Persino per fare la commessa interinale alla Rinascente, «vogliono sapere che progetti familiari hai per il futuro». In molte aziende, «prima di assumerti, ti fanno firmare l'impegno che non resterai incinta. Se succede, il licenziamento è automatico».

Le nostre precarie sono delle grandi esperte in colloqui per essere assunte. «Devi risultare né troppo leader, né troppo passiva. Così vai bene allo psicologo aziendale che ti fa il test. Sei affidabile, non romperai le scatole. Ovviamente, devi dire che il lavoro viene prima di tutto». Bisogna mentire, mimetizzarsi, come si faceva alle visite di leva. La differenza è che lì si raccontavano palle per essere riformati, «noi dobbiamo mentire per ottenere un lavoro». Non mancano i colloqui new age. A Flavia hanno chiesto segno zodiacale e ascendente.

L'impossibilità di programmare il proprio futuro grava sui precari ambosessi. A fare la grossa differenza è la maternità. «Per noi donne a 40 anni suona l'orologio biologico», riassume Fiorella. La prospettiva di arrivarci passando da un lavoretto all'altro è deprimente. E la scelta di fare prima o poi un figlio si paga con la perdita del lavoro e di quel minimo di reddito che permette di sopravvivere. Di qui lo slogan «la precarietà è il contraccettivo del futuro» che il gruppo «A casa di Ilaria» porterà alla manifestazione di sabato.

Difendere la legge 194 e lo spazio pubblico dei consultori dalle invasione barbariche preme anche a loro. Per questo, senza conoscere nessuna della vecchia guardia femminista, sono andate alle gremite assemblee di «Usciamo dal silenzio». Lì hanno ascoltato cose che, pur dette con un linguaggio diverso dal loro, le toccano e le coinvolgono. Nello stesso tempo, hanno percepito una «mancanza»: la precarietà, e le sue conseguenze materiali sul vivere quotidiano, non era messa a tema in quelle assemblee. «Ci siamo riconosciute, ci siamo fatte avanti, abbiamo dato il nostro contributo». Accolto a braccia aperte dalle femministe degli anni Settanta, felici di trovare non delle eredi (non è scattato alcun riflesso di maternage e tutoraggio), ma delle interlocutrici autonome e adulte.

Le riunione a casa di Ilaria sono solo tra donne. Per il resto, niente separatismo. Morosi e conviventi contribuiscono cucinando, mettendo su un blog, tutti parteciperanno alla manifestazione. «Siamo sulla stessa barca precaria, neppure ai maschi si schiudono rosee carriere». E però la differenza di genere continua a pesare anche nell'incerto mondo del precariato. «All'università le borse di studio, i posti per i dottorati si tende a darli ai maschi». A proposito di università, Emanuela - due lavoretti malpagati per poter fare la pubblicista gratis - racconta un illuminante episodio. Ha fatto una tesi su due riviste femministe messicane. Il giorno della laurea la sua relatrice l'ha «consigliata» di focalizzare il discorso sul tema del lavoro, non dell'aborto. «Non che lei sia contro l'aborto. L'ha fatto per cautela, per non irritare i prof maschi. Preoccupante».

Sondiamo il rapporto tra queste giovani donne e la politica. Iolanda, consigliera comunale a Samarate, eletta in una lista di sinistra, è l'unica «dentro le istituzioni». Un'esperienza che nessun'altra sembra intenzionata a fare. Nessuna passione per le quote rosa, qualcuna è astensionista, chi alle urne ci va vota a sinistra. Sanno tutto della legge 30, ma non dimenticano che lo smottamento è cominciato con il pacchetto Treu. Per «colpa» del centro sinistra. Una, ferratissima, si ricorda che l'attacco all'articolo 18 è partito con D'Alema presidente del consiglio.

Il centro sinistra non passa l'esame neppure sulla legge 194: la sua è una difesa troppo tiepida e paurosa, sempre in cerca di mediazioni al suo interno, sempre per conquistare il «famoso centro». Sull'aborto «tutti corrono dietro al Vaticano», dice Fiorella, e sul mercato del lavoro anche il centro sinistra concede parecchio al liberismo. La parola «sindacato» suscita sbuffi di impazienza e di scarsa considerazione.

Dopo la manifestazione di sabato, cosa succederà del gruppo che si ritrova a casa di Ilaria? «Non ci siamo promesse niente». Una risposta in linea con la precarietà. Una volta tanto, nessuno si impanca a sostenere che «è nato un nuovo movimento». Magari porta bene.

questo articolo è apparso su il manifesto del 12  gennaio 2006