Sulla nascita e lo sviluppo del patriarcato

di Heide Goettner Abendroth

 

 

 

Critica delle teorie sulla nascita del patriarcato

 

Per capire come è nato e si è sviluppato il patriarcato, è innanzitutto necessario conoscere le società non-patriarcali o matriarcali dalle quali ha tratto le sue origini. Il secondo punto cruciale consiste nell’evitare spiegazioni che prendano in considerazione una sola causa, cioè non cercare un’unica ragione di questa trasformazione che ha agito a livello mondiale e che è avvenuta in un lasso di tempo lunghissimo. Si potrà rispondere alla domanda: “Come è nato il patriarcato?”, solo se si prenderanno in considerazione tutti i passaggi delle molteplici cause che hanno contribuito al suo sviluppo. Durante il lungo periodo di transizione al patriarcato, in tempi diversi su continenti diversi, cause sempre nuove e diverse hanno generato molteplici cambiamenti.

 

I patriarcati sono società di dominio, ed è un mito che siano universali. Si tratta solamente di un caposaldo dell’ideologia patriarcale. Spiegare la nascita del patriarcato significa spiegare la nascita del dominio, e questo non è affatto un compito facile. Anzi, dato che i modelli di dominio dipendono da così tante condizioni correlate, dovettero passare lunghi periodi di tempo prima che questi sistemi di organizzazione sociale fossero inventati e perfezionati.

 

Prendiamo in esame alcune teorie sulla nascita del patriarcato e valutiamole: le principali sono la scoperta della paternità biologica, l’innovazione tecnologica; la pastorizia; la differenziazione sociale basata sulla divisione del lavoro e, ultima ma non meno rilevante, i difetti della personalità maschile.

 

1.         Ci sarebbe molto da confutare nelle teorie che indicano la scoperta della paternità biologica quale causa del passaggio dal matriarcato al patriarcato. Affinché fosse riconosciuta la paternità e la genealogia patrilineare si sono dovute isolare le donne, metterle sotto chiave e obbligarle alla monogamia. Da un punto di vista storico, è successo abbastanza recentemente e solo sotto la pressione del dominio. Per affermare un sistema di riconoscimento della paternità si deve organizzare un gruppo coercitivo in grado di sopprimere e soggiogare la maggioranza delle persone. Tale processo comporta l’usurpazione della cultura preesistente e la reinterpretazione dei concetti religiosi in modo da permettere a chi governa di produrre ideologia; si tratta di complesse strategie sociali indirizzate contro le donne. Quindi, perché ci fosse il riconoscimento della paternità, si è dovuto prima affermare il dominio.

Inoltre, alcuni matriarcati concepiscono la paternità biologica, ma questa non è di alcuna rilevanza perché è eclissata dalla “paternità sociale”. Nelle società matriarcali, il fratello della madre, lo zio materno, è il “padre sociale” dei suoi e delle sue nipoti, che condividono il suo nome del clan. In aggiunta, il patriarcato non si può essere sviluppato solo perché alcuni individui sono diventati consapevoli della loro paternità biologica, dato che, affinché diventi rilevante la paternità biologica, devono aver preso piede alcune pre-condizioni sociali della paternità patriarcale, come sottrarre le donne ai loro clan materni, confinarle con un solo marito e proibire loro di avere amanti.

 

2.         Un argomento altrettanto debole è che l’introduzione di una sola innovazione tecnica come l’aratro, che richiede la forza fisica dell’uomo, abbia condotto alla nascita del patriarcato. Le prove antropologiche mettono in evidenza che le donne nelle società matriarcali non sono affatto il “sesso debole” creato artificialmente dalla cultura. Oltretutto, in molte società matriarcali, gli uomini arano e fanno lavori pesanti senza per questo propendere per la scelta del patriarcato. Non è assolutamente plausibile che una struttura sociale complessa come il matriarcato si sia potuta trasformare in un’altrettanto complessa struttura sociale come il patriarcato semplicemente per l’introduzione di una nuova tecnica lavorativa.

E la stessa obiezione può essere fatta riguardo al fatto che l’uso del cavallo e dell’allevamento intensivo, arrivati con le belligeranti culture pastorizie, possano aver condotto alla nascita del patriarcato. Sebbene queste tesi abbiano incontrato il favore di molti studiosi, sono contraddette da una grande quantità di prove storiche e antropologiche. La società nomade basata sulla pastorizia deriva dalle società agricole matriarcali, che già da molto prima allevavano gli animali domestici. Si sviluppò in regioni troppo aride per permettere la coltivazione, ma ne rimase pesantemente dipendente, perché gli uomini hanno bisogno di cibarsi di verdure. In effetti, la stessa società nomade una volta aveva una struttura matriarcale che in alcuni casi è durata fino ai nostri giorni, come per esempio i Tuareg del Sahara centrale, che sono rimasti fino a poco tempo fa una società nomade basata sulla pastorizia. Aggredivano le tribù confinanti cavalcando cammelli e cavalli. Tuttavia, hanno preservato fino ai giorni nostri i modelli sociali del matriarcato dell’età dell’oro. Modelli simili sono ancora validi presso le popolazioni pastorizie della Siberia e della Mongolia. Nel caso del Tibet, la società nomade pastorizia ha vissuto al margine della società agricola matriarcale delle valli dei fiumi da cui dipendeva. Quindi né l’allevamento intensivo né l’uso del cavallo possono essere i motivi che hanno determinato la nascita del patriarcato, dato che non spiegano la nascita del dominio maschile.

 

3.         C’è anche la tesi secondo cui la proprietà di grandi mandrie di bestiame abbia fornito la base al potere dei primi patriarcati. Ma nelle società egualitarie – da cui si sono sviluppati i patriarcati – non è possibile che si sia determinata un’iniziale accumulazione di proprietà nelle mani di pochi senza che vi fosse una strenua resistenza da parte degli altri membri. Prima devono essere stabiliti i modelli di dominio e aboliti i principi economici dell’egualitarismo; in seguito, ma solo dopo, diventa possibile per qualcuno accumulare possedimenti privati su larga scala contro la volontà della maggioranza.

 

4.         Improponibile è la tesi che, nel corso della storia, la divisione strutturata del lavoro e la differenziazione sociale che ne consegue abbiano potuto condurre al patriarcato. Ciò presuppone che le società matriarcali dovessero essere più “primitive”, solo perché precedettero quelle patriarcali. La teoria dell’evoluzione lineare dello sviluppo della storia della cultura umana è una pura finzione. Se fosse vera, oggi ci sarebbe la società più perfetta in assoluto! Da questo punto di vista, lo sviluppo della storia è distorto. Vengono omesse molte forme diverse di società, incluse quelle che, pur avendo generato varie competenze specializzate, si sono estinte. Inoltre, le società matriarcali del neolitico annoveravano i primi centri urbani caratterizzati da un alto livello di divisione del lavoro e differenziazione sociale. Non è stato trovato un così alto grado di cultura tra le orde patriarcali che le conquistarono.

 

5.         A questo punto seguono poche ultime tesi discutibili. Una di queste è che gli uomini sono per natura “aggressivi e cattivi”, dimostrato dal fatto che sono stati loro a creare la società patriarcale della guerra e del dominio. Una tesi simile ipotizza che il matriarcato abbia messo a disagio gli uomini emarginandoli. Quindi si suppone che si siano rivoltati abbattendo il matriarcato e creando il patriarcato. Questa tesi presuppone che il sentire degli uomini matriarcali fosse lo stesso degli uomini patriarcali delle civiltà contemporanee. Nella nostra società, gli uomini sono propensi a pensare di essere marginali a meno che non siano al centro delle cure della madre, e che non costituiscano il senso della vita delle donne e, in generale, il fulcro della società. Ma i sentimenti degli uomini matriarcali sono diversi, perché i modelli delle società matriarcali sono diversi. Non ci sono né prove storiche né etnologiche a sostegno di queste argomentazioni biologiche o psicologiche.

 

Ci sono altri temi ben più rilevanti che ci indirizzano verso la soluzione del problema. L’archeologa Marija Gimbutas ha recuperato molte testimonianze presenti nell’area culturale dell’Asia e dell’Europa occidentali in un periodo che va dal 4500 al 2500 a.C.; due millenni caratterizzati da tre ondate migratorie di popoli indoeuropei, che avanzarono dalle steppe della Russia meridionale verso le culture matriarcali dell’Europa dell’est e, in seguito, fino alle zone centrali e occidentali dell’Europa. Ne ha descritto le conseguenze per le civiltà matriarcali dell’Antica Europa, che furono completamente distrutte.

            Ma quando ebbe inizio tutto questo? Quali sono state le ragioni che hanno spinto i popoli indigeni dell’Asia centrale e occidentale ad abbandonare le loro società agricole organizzate in matriarcati per sopravvivere come pastori e allevatori di cavalli? E che cosa li ha indotti in seguito ad abbandonare le steppe della Russia meridionale per una catastrofica migrazione a lungo termine verso ovest?

            Secondo Marija Gimbutas, i popoli indoeuropei catturavano i cavalli e li addomesticavano, e fu così che trovarono una nuova fonte di cibo e quella mobilità che offrì loro l’opportunità di accrescere le migrazioni. Tuttavia, nonostante le descrizioni molto ben documentate, basate sui ritrovamenti archeologici e la ricerca linguistica, Gimbutas non ci convince fino in fondo su come questa cultura nomade, guerrafondaia e organizzata in patriarcati si sviluppò veramente. La sua teoria principale recita: “Il cavallo ha cambiato il corso della preistoria europea.” (p. 354 in “The Civilisation of the Goddess.”). Ma non ci spiega come è nato il patriarcato. Purtroppo Gimbutas abbraccia in maniera acritica la teoria di Engels che sostiene che la ricchezza proveniente dal bestiame avrebbe inevitabilmente portato con sé il patriarcato.

 

            Rimane ancora da indagare che cosa abbia indotto alcune popolazioni indigene dell’Asia centrale e occidentale ad abbandonare la loro società d’origine, agricola e matriarcale, (comprovato da ritrovamenti archeologici che risalgono fino al 7000 a.C.) e trasformarsi in cacciatori e pastori nomadi che si basavano sull’uso del cavallo. Dobbiamo indagare a fondo per rispondere.

            A questo punto, permettetemi di distinguere tra “migrazione regolata” e “migrazione catastrofica”: le “migrazioni regolate” sono, ad esempio, quelle intraprese dalle popolazioni neolitiche che seguirono i percorsi migratori degli animali che cacciavano. Altro esempio di “migrazioni regolate” sono state quelle dei popoli agricoli che nel neolitico si muovevano alla ricerca di un nuovo insediamento ogni qualvolta un villaggio o una città diventavano troppo grandi per il territorio coltivato che li circondava. Al contrario, le “migrazioni catastrofiche” sono causate da catastrofi naturali a largo raggio che non si manifestano necessariamente tutto d’un colpo, ma che si trascinano lentamente con effetti devastanti. Tali catastrofi naturali sono la siccità, le inondazioni o le glaciazioni di immense aree territoriali – probabilmente causate dallo slittamento dei poli magnetici della terra.

 

            Il geografo James DeMeo lo ha dimostrato con i suoi studi. A suo parere, i radicali cambiamenti climatici avvenuti nell’Asia centrale e occidentale, e la conseguente migrazione per fame, determinarono un’accelerazione della violenza sociale, delle guerre e lo sviluppo del patriarcato (vedi il libro “Saharasia”). Questa teoria è molto interessante, in quando non si basa su speculazioni, ma su prove geografiche.

            Farei comunque una critica al modo troppo generalizzato con cui DeMeo applica la sua tesi. Il genere di patriarcalizzazione che si verificò nell’Asia e nell’Europa centrali fu sconosciuto all’America del Sud e del Nord, e non si ebbe nemmeno nell’area del Pacifico. Ci sono state propulsioni diverse allo sviluppo del patriarcato, e sono processi su cui bisogna ancora indagare.          

            Bisognerebbe anche spiegare perché, se veramente dipendono da cambiamenti catastrofici, l’invenzione della violenza, della guerra e il patriarcato non si siano sviluppati prima. Nella lunga storia dell’umanità (circa 6 milioni di anni) si sono verificate ripetutamente catastrofi su larga scala, per esempio nell’era glaciale. Interi popoli e culture sono stati costretti da cataclismi a migrare di continuo o in alternativa, a morire. Ma tali sconvolgimenti non determinarono allora lo sviluppo del patriarcato.

 
Elaborazione di una serie di spiegazioni

 

            Possiamo procedere basandoci sui percorsi teoretici tracciati da Gimbutas e DeMeo, che sono di inestimabile valore per le ricerche su questo tema. Facendo riferimento alla mia ricerca interdisciplinare, espongo ora passo per passo lo scenario che potrebbe essersi verificato:

 

Primo stadio:

            Ricerche geografiche come quelle di DeMeo dimostrano che intorno al 5000-4000 a.C., o anche prima, l’Asia centrale e occidentale fu soggetta a un cambiamento climatico, che trasformò vaste aree in steppe aride e deserti. Le catene montuose dell’Asia centrale un tempo avevano molta più acqua e terre fertili che non oggi. Le pianure una volta erano ricche regioni agricole ed esistevano fiorenti città agricole in quello che oggi è l’arido deserto di Gobi. Ma circa sei o settemila anni fa, la fonte del nutrimento, la terra, si seccò letteralmente sotto i piedi delle popolazioni che vivevano lì: furono obbligate a migrare per sopravvivere.

            Tali migrazioni, sebbene “catastrofiche” avvennero molto lentamente. E’ molto probabile che in ogni spostamento intrapreso verso terre arabili abbiano cercato di coltivare ogni nuova terra raggiunta, nel tentativo di far nascere un nuovo insediamento. Ma l’espandersi delle steppe li raggiungeva di continuo. La lotta per la sopravvivenza in una terra che diventava sempre più inospitale, deve essere durata per generazioni e per secoli. Ma era senza speranza e alla lunga deve aver portato alla completa distruzione dell’agricoltura matriarcale.

 Secondo stadio:

In tempi difficili, gli esseri umani mostrano la tendenza a retrocedere da forme più avanzate a modalità più obsolete ma anche più semplici, e nella fattispecie in questo caso potrebbe essere successo proprio così. Quando non c’era più terra da coltivare, questi popoli si videro costretti a ritornare a pratiche paleolitiche e divennero cacciatori-raccoglitori delle steppe. Se in un dato gruppo gli uomini, in qualità di “cacciatori accidentali” (dato che la caccia prima non c’era nella loro cultura), riuscirono a nutrire tutta la popolazione grazie alla loro abilità venatoria, allora il ruolo di questi uomini sarebbe diventato importante. Questo tuttavia non aggiunge nulla sui modelli di dominio e sul patriarcato.

            In termini di sviluppo della storia, è molto più probabile che gli uomini non siano riusciti a nutrire tutti i membri dei loro clan. Quindi si sarebbero separati dalle donne, dai bambini e dai vecchi che rimasero indietro cercando di sopravvivere con le tecniche ereditate dall’agricoltura e che probabilmente perirono. Le grandi strutture dei clan, tipiche dei matriarcati, non potevano essere mantenute in tali condizioni, e le strutture sociali si frantumarono.

            Gli uomini migrarono in caotiche orde di cacciatori verso est e verso sud. Interi popoli potrebbero essere migrati con le loro greggi, in groppa ai cavalli o su carri di buoi, per trovare la terra, la cosiddetta “Terra Promessa”, fertile e libera, dove, se fossero riusciti ad arrivarci, avrebbero potuto riorganizzare le loro culture tradizionali.

            Sicuramente domare il cavallo e usarlo come mezzo di trasporto giocò un ruolo importante in questo processo migratorio, ma non fu la sua causa scatenante. E, come per la caccia, per quanto il ruolo degli uomini divenisse sempre più importante in questo processo migratorio, solo con questo non si spiega lo sviluppo delle strutture patriarcali.

 

Terzo stadio:

            Anche dopo che si sviluppò una cultura pastorale nelle steppe del sud della Russia, i popoli indoeuropei continuarono a spostarsi a ovest. La sola spiegazione possibile è che nemmeno le steppe della Russia meridionale alla fine si rivelarono essere la “Terra Promessa”, visto che inaridivano anch’esse. Così le popolazioni furono obbligate a continuare nel loro migrare catastrofico, con o senza il bestiame. Fu così che raggiunsero le culture urbane altamente evolute del Mar Nero, nell’Europa dell’Est e nell’Asia settentrionale.

            Potrebbero aver guardato estasiati l’abbondanza e la ricchezza di quei posti. Questa era davvero la “Terra Promessa” che avevano sempre desiderato. Ma naturalmente non era libera!

            Ora entra in gioco un’altra causa determinante. Fino a quando erano esistite terre libere a sufficienza per assorbire le migrazioni catastrofiche della storia umana, la situazione non aveva richiesto drastici cambiamenti. Ad esempio, nel corso dell’Era Glaciale, i popoli migrarono a sud e continuarono a praticare le loro colture tradizionali. Ma la storia cambiava per le popolazioni migratorie che ora non riuscivano a trovare abbastanza terra fertile libera che potesse assorbire il loro stanziamento. Perché proprio in questo periodo cruciale, circa nel 5000 a.C., l’accresciuta densità di popolazione sulla terra aveva raggiunto livelli critici. Non c’erano più terre fertili libere in cui potessero stanziarsi gli emigranti incalzati dall’avanzare della desertificazione.

 Quarto stadio:

Data la situazione, cosa dovevano fare i popoli migratori? Dovevano tornare indietro nelle steppe e nel deserto, prede della fame e della morte, o dovevano armarsi – e questa volta contro gli umani invece che contro gli animali – e prendere possesso di queste verdi terre già occupate? Nella lotta per la sopravvivenza, in questo difficile periodo, fu scelta la seconda possibilità: per la prima volta nella storia, spinti dall’istinto di sopravvivenza, gli uomini fecero la guerra contro gli uomini. Quindi non è una forma specifica di cultura, come quella pastorizia del cavallo, che necessariamente propende per la brutalità e porta avanti la guerra, ma è piuttosto la necessità di sopravvivenza che determina un agire simile.

Le pacifiche culture urbane non erano preparate a simili attacchi e così si ritrovarono a essere vittime inermi. Naturalmente è possibile che si sia verificato anche un certo livello di immigrazione pacifica e una specie di coesistenza. Ma con ondate successive di popoli sradicati che arrivavano e si stanziavano nelle regioni fertili, c’era ben poca speranza di arrivare a una soluzione in cui ci fosse abbastanza per tutti e la possibilità della pace.

Fu inventata la guerra.

 

Quinto stadio:

In molti casi i villaggi e le città invasi furono semplicemente saccheggiati e bruciati. Ma questa non è la soluzione ideale perché ci si lascia dietro solo terra desolata. Una soluzione molto più strategica era conquistare la regione, e così si sviluppò una nuova struttura: l’invenzione delle classi. Il piccolo gruppo di governanti che apparteneva a un popolo straniero divenne la classe dominante con l’esercizio della pura violenza e il grande gruppo di gente indigena vinta, costretto ora a lavorare per i capi, costituì il ceto basso. A questo punto, e solo allora, iniziò il patriarcato, dato che era stata inventata la prima struttura di dominio. Contemporaneamente ebbe origine la coscienza patriarcale, che celebrò la violenza e il dominio. Si basa su due assiomi: “Ogni potere deriva dalle armi” e “La guerra è il padre di tutte le cose”.

 Sesto stadio:

Ma gli indigeni, in numero più alto e in relazione gli uni con gli altri, non avrebbero tollerato a lungo un simile giogo se il gruppo dominante di re-guerrieri non avesse sviluppato ulteriori tecniche di dominio. Inoltre, gli usurpatori avanzavano diritti sullo sviluppo della cultura che avevano assoggettato, affermando che prima del loro arrivo non era esistita nessuna cultura e insistendo sul fatto che erano stati loro a condurre il popolo da uno stato di bruta ottusità a una cultura illuminata. Questa è la base dell’ideologia patriarcale.

 

E’ chiaro che solo re-guerrieri con la capacità di sviluppare simili tecniche di dominio avrebbero potuto mantenere il comando. Gli altri sarebbero stati assimilati o espulsi. Punto centrale dello sviluppo del dominio fu la discriminazione verso le donne. Nei matriarcati, le donne erano sempre state i capisaldi della cultura. Ora che i loro clan matriarcali erano stati distrutti, furono stuprate e relegate, in quanto individui deboli, nei clan patriarcali, isolate dalla vita sociale e private dei loro bambini già grandi, fino a che diventarono meri animali da riproduzione da tenere in cattività. Ecco cosa è stata l’invenzione della paternità e della genealogia patriarcale: il consolidamento della vittoria sulle donne e sulla società matriarcale.

 

 

Note sullo sviluppo del patriarcato

 

            Vorrei ora affrontare un’ultima questione:

l’espansione mondiale del patriarcato, durata quasi per seimila anni della storia umana, ha creato ripetutamente caos e guerre, conquiste, oppressioni e conflitti civili orchestrati ad arte da chi governava al momento. Nella sua storia relativamente breve, il patriarcato ha dimostrato di essere estremamente turbolento e instabile, come mostra il repentino succedersi di “imperi mondiali” con la loro elevata distruzione di vite umane. Perché una così violenta e distruttiva forma di società ha avuto tanto successo nel propagarsi per tutto il mondo?

La risposta è:

Laddove si sono affermate strutture patriarcali, i popoli con la loro rigida organizzazione militare fecero pressione sui loro vicini, minacciando di dominarli. L’iniziale e occasionale pressione dell’ambiente naturale che un tempo spinse i popoli a migrare divenne ora una pressione costante esercitata dall’entourage umano sui popoli non patriarcali. Il corso che la storia ha seguito in tutto il mondo lo dimostra chiaramente: le società patriarcali basate sull’elaborazione di strategie e sull’organizzazione militare hanno minacciato senza sosta di conquistare i loro vicini, e nei fatti li hanno conquistati distruggendo così il loro ordine sociale.

Altri popoli, caduti sotto la pressione dei vicini patriarcali, li hanno combattuti. Comunque, la necessità di difendersi li ha obbligati ad adottare le tecniche strategiche e militari dei patriarcati confinanti. Le strutture di resistenza, che talvolta sono scaturite in guerre di resistenza, hanno cambiato dall’interno le società matriarcali. Più forte è la pressione su una società, più i suoi capi e i suoi guerrieri diventano importanti, perché sono loro che devono esercitare la lotta per l’autonomia. Così la vecchia struttura della società, basata sull’equità e la pace, cessa di esistere, mentre i modelli patriarcali latenti si sviluppano lentamente in un patriarcato completo. Sono queste le ragioni per cui, una volta stabilite, le strutture patriarcali sono diventate un’epidemia di dimensione mondiale.

 

            Guardando da questa prospettiva, sembra che dovremo affrontare un futuro estremamente difficile. Oggi il sovrappopolamento della terra ha raggiunto un livello ancora più critico, con le nazioni industrializzate sovrappopolate al pari di quelle del cosiddetto “Terzo Mondo”. Contemporaneamente si stanno preparando catastrofi climatiche su larga scala. Né la natura né le strutture internazionali della società umana sono in equilibrio. Che cosa possiamo fare per questi problemi? Come possiamo affrontare la superstruttura patriarcale, oggi chiamata “globalizzazione”, in un mondo pieno zeppo di armamenti?

            Risposte a simili domande sono rare. E tuttavia la sola cosa assennata che potrebbe essere fatta è di distruggere la pericolosa superstruttura del patriarcato industriale che oggi governa il mondo, e creare coalizioni umane piccole. Potrebbero far dissolvere dal basso le superstrutture. In un modello di vita materialmente più semplice vi è la possibilità di un’auto educazione e di un’educazione degli altri verso una nuova cultura: “cultura” intesa nel senso di una vita umana all’interno di piccole comunità, di mutua attenzione e assistenza, e con un forte senso etico dell’interazione e della relazione con la natura.

            Le culture matriarcali ci offrono il migliore degli esempi e una vasta gamma di suggerimenti per questo futuro. Ci mostrano il tipo di intelligenza sociale e culturale che è la sola cosa degna di essere sviluppata, e forse potrà aprire la strada verso nuove possibilità. In questo senso ritengo che educare a un nuovo matriarcato sia urgentemente necessario per staccarci il più drasticamente e velocemente possibile dal contesto della barbarie patriarcale che ci circonda.

(traduzione di Anonima Network)
 

Intervento presentato al II Congresso Mondiale degli Studi sul Matriarcato, 2005, San Marcos, USA; sarà pubblicato con gli atti del convegno.


di Heide Goettner Abendroth vedi anche: La società matriarcale: definizione e teoria