L´ABORTO
DEI MASCHI
Una discussione con Giuliano Ferrara
di ADRIANO SOFRI
Artemisia
Gentileschi
Ferrara
teme un farmaco troppo facil e indolore anche l´aids fu visto come
un castigo per il sesso
Le donne non sono assassine e noi uomini troppo spesso siamo degli ipocriti
L´interruzione di gravidanza grazie alla pillola non si può
paragonare alla Shoah
Tanti anni fa qualche cartello referendario formulava la domanda retorica:
"E se gli uomini restassero incinti?" Retorica, ma non abbastanza
da impedire a qualche uomo di chiedersi fra sé e sé, fra
me e me: e se davvero
? Non a lungo, si capisce: certe domande sono
così assurde che si può sbarazzarsene senza troppi riguardi.
Poi magari tornano. Ieri, per la prima volta dopo qualche decennio, mi
sono chiesto: "Mi piacerebbe essere donna?"
Parlerò di certe divergenze fra Giuliano Ferrara e me, a proposito
della pillola RU486, perché penso che non riguardino solo noi due.
Ho detto a proposito della RU486, ma devo correggermi: di questo farmaco
io non so niente, e dunque ne tacerò, o mi affiderò a competenze
altrui. So qualcosa della questione implicata, che avevo riassunto in
una riga polemica sul Foglio «Abortirai con dolore»
- cui sono state mosse obiezioni ingenti. In un appassionato editoriale,
Ferrara ha fatto suo, rincarandolo, l´accostamento fra la Shoah
e l´aborto: pazzia, forse donchisciottesca, ma pazzia. Mi importa
piuttosto rispondere a due sue convinzioni, espresse con veemenza in una
puntata di "Otto e mezzo" se non le ho fraintese. La
pillola abortiva, dice Ferrara con qualche ragionevolezza, banalizza il
ricorso all´aborto, persuade di una sua facilità e leggerezza,
dunque moltiplica la tragedia delle vite già formate e spezzate.
(Lui li chiama senz´altro omicidii, fin dalla formazione dell´embrione:
ma così chiama omicide le donne che abbiano dovuto o voluto interrompere
una gravidanza).
Sul Foglio e altrove si sostiene che in realtà la RU486 sia tutt´altro
che indolore e immune da possibili complicazioni: ma questo argomento
è o accessorio o contraddittorio con la tesi di fondo. Secondo
la quale, quando un farmaco abortivo fosse sicuro e facile, "come
un´aspirina", le cose diventerebbero ancora più gravi.
E che la soglia di dolore e di dissuasione, di paura, essa stessa già
troppo anestetizzata, segnata dall´aborto chirurgico, è un
argine minimo per dissuadere dall´aborto, per rafforzare nella donna
la riflessione sulla gravità della sua scelta, per non esonerare
i medici e gli altri addetti dalla responsabilità di partecipare
a quella riflessione, dalla parte dell´accoglienza a ogni vita nuova.
Spero di aver riassunto lealmente. Ebbene, io tiro le somme di questa
posizione nella sentenza: "Abortirai con dolore". E non perché
il calco voglia eguagliare il parto all´aborto: è il dolore
il termine comune. E neanche il dolore inevitabile in quello che ha di
nobile, l´ispirazione a una meno futile comprensione del senso della
vita, e specialmente alla condivisione della sofferenza d´altri:
ma un dolore moderatamente punitivo e intimidatorio.
Ammettiamo che esista davvero, quella pillola "come un´aspirina":
Ferrara le preferirebbe l´intervento chirurgico? Anche se fosse
donna?
Giuliano risponderebbe, temo, di sì, perché è uomo
d´oltranza, e non si ferma davanti al paradosso della ragione e
neanche del sentimento, della "pancia" gravida e solitaria in
cui si compie, per lui funestamente, l´opera della RU486. Eppure
dovrebbe fermarsi, e cercare un altro bandolo, perché le cose hanno
più di una faccia, e anche l´amore per la vita. Conosce l´allarme
sulla spensieratezza e sventatezza con la quale tanti ragazzi (e non solo
loro) tornano a rapporti sessuali non protetti, per l´idea che i
nuovi farmaci contro l´infezione da Hiv l´abbiano resa ormai
curabile. C´è, cioè, una "banalizzazione"
del rischio di contrarre l´infezione, suscitata dal progresso, effettivamente
prezioso (benché troppo poco), delle nuove terapie. Potrebbe mai
diventare questa una ragione per diffidare delle terapie più efficaci,
o addirittura opporsi a esse? E quando l´Aids si curasse con una
pillola "come l´aspirina", non se ne dovrebbe ringraziare
il cielo? Calma: so immaginare da me le proteste. L´aborto non è
una malattia, l´Aids non è una scelta. E´ vero, benché
non del tutto vero. In cambio si ricordi un´affinità forte
e torbida fra tutte le relazioni che toccano la sessualità, e che
indussero tanti a dichiarare l´Aids un castigo di Dio contro i disordini
sessuali, e a chiedere, per penitenza e terapia, l´astinenza. Ferrara
sarà l´ultimo a voler prendersela coi paradossi e le argomentazioni
spinte al colmo, tant´è vero che cede alla tentazione di
ripetere, magari passandola per ovvietà piuttosto che per moralismo,
che l´astinenza è anche la sola prevenzione contro le gravidanze
non volute. Gli aborti ci sono sempre stati e sempre ci saranno: sempre
meno, ci si augura. Oltre ad augurarlo, lo si constata decisamente, in
Italia, e grazie soprattutto alla legge 194.
L´impegno che Ferrara propugna per quella che chiama giustamente
ed efficacemente "la libertà di non abortire" merita
ogni solidarietà e intelligenza: purché non si appigli a
una dose modica di paura e di dolore e di ospedale per le donne che debbano
e vogliano abortire. Così penso a proposito dell´"argomento
dell´aspirina". E non sono affatto indifferente alla "banalizzazione":
non solo di una prova angosciosa come l´aborto, ma di ogni cimento
delle nostre esistenze private e pubbliche. Del sesso in particolare.
Un secolo fa un´intelligente femminista commetteva la sciocchezza
di collegare la liberazione della donna con l´abitudine imminente
a fare l´amore "come bere un bicchier d´acqua".
Un po´ è successo, e non è granché: sicché
potrà succedere, in risarcimento di quello che andiamo perdendo,
di riscoprire che piacere, che grazia sia bere un bicchiere d´acqua.
Ora il punto più importante. Ferrara ha protestato il proprio fastidio
per i discorsi dal tono troppo personale. Sbaglia. Non che non ci sia
un narcisismo che piega gli argomenti alla propria esibizione, piuttosto
che fare della propria esperienza un leale biglietto da visita e una verifica
alle opinioni che si sostengono. Ma in questo campo! Come posso parlare
dell´aborto, e addirittura della scelta fra un metodo e un altro,
un prezzemolo o un bisturi, un aspiratore o un farmaco, senza ricordarmi
che non posso abortire, ma che in cambio posso spingere apertamente una
donna ad abortire, o vietarle furiosamente di farlo, o lavarmene vilmente
le mani, o fare una faccia compunta e partecipe e scongiurare dentro di
me che abortisca, e chiederle se vuole che l´accompagni dalla donnetta
d´emergenza o dal bravo e triste dottore fiorentino o a Londra o
chissà, oppure se preferisce andarci da sola
E sono, nel
loro "seno", nel loro "grembo" - nel loro utero -
figli nostri.
Cose che abbiamo fatto, più o meno, tanti di noi. Io le ho fatte,
più o meno, più o meno ipocritamente, più o meno
lealmente. E quando ripetiamo, perché ce l´hanno insegnato
a pugni e schiaffi morali, che per ogni donna l´aborto è
un tormento e un rimpianto, vogliamo soprattutto dire che per noi non
lo è stato affatto, e che quella domanda là, "se gli
uomini restassero incinti", non ce la siamo fatta davvero, e ci siamo
accontentati di scherzarci nei cortei, "Se Fanfani fosse incinto
".
E intendiamoci: l´esibizione pubblica del record personale di ciascuno
di noi sarebbe incresciosa, e oltretutto aggiungerebbe un´indiscrezione
tardiva all´invadenza con la quale a suo tempo trattammo le "nostre"
donne. Però, fra noi e noi, dovremmo cercare di rendere compatibili
le cose che sosteniamo in pubblico sia col nostro passato che col nostro
presente.
Dunque, ieri sono tornato a chiedermelo. Credo che non mi piacerebbe essere
donna. Mi sembra di intuire una differenza cruciale nel modo in cui noi
uomini vogliamo possedere i corpi delle donne e quelli degli uomini. A
questo la galera mi serve, mi servì la politica. Riconosco la differenza,
più che nello scambio amoroso o erotico, in quel paradigma della
violenza sessuale che è la tortura o, un gradino più sotto,
il maltrattamento degradante del corpo altrui. Salve eccezioni rarissime,
le donne che torturano sono, come ad Abu Ghraib, sventate complici o emule
dei loro colleghi e compagni maschi. Si vuole abbassare fino all´umiliazione
totale il corpo maschile, ridurlo alla propria mercé, schiacciarlo
sotto il proprio tallone, cancellarne la virilità per esaltare
la propria. Col corpo femminile è un´altra cosa. Nella sessualità
femminile c´è qualcosa di incomprensibile e di irriducibile,
e la nostra violenza è l´intenzione sempre frustrata di venirne
a capo, dalla mutilazione fisica delle bambine allo stupro, dal disprezzo
o il furore contro la donna "puttana" alle tecniche per padroneggiarne
la capacità, meravigliosa e minacciosa, di mettere al mondo nuove
vite. Nuove vite che abbiamo sempre, per povera e roboante rivalsa, dichiarato
"nostre", solo provvisoriamente prestate a quel grembo. Niente
è così difficile da accettare davvero come la trasformazione
di un corpo di donna nella gravidanza, niente così insopportabile
come la responsabilità di ogni donna sul proprio corpo, anche quando
vi cresca dentro una vita altra e destinata a separarsene. Paternità
desiderata (anche "capricciosamente", perché no) e paternità
fuggita ci hanno sempre riportati davanti a quel luogo inaccessibile e
vulnerabile. Non è continuando a mettere le mani sul corpo delle
donne, e su quel luogo, "l´origine del mondo", anche se
previa anestesia, anche solo per argomentare se sia migliore l´aspirazione
chirurgica o la pillola RU468, il ricovero ospedaliero o la nottata domestica,
che ci libereremo di noi, e renderemo bello e forte l´augurio alle
nuove vite che vengano al mondo, anche, e anzi specialmente, quando non
siano state programmate. Voglia il mio caro Giuliano Ferrara consentire
almeno un poco con me.
da
La Repubblica del 30 settembre 2005
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