Quel patto di mutuo soccorso per la «classe
creativa» è in rete
di Anna Curcio
Ci sono figure del
lavoro che rivelano la portata delle trasformazioni produttive avvenute
nel sistema capitalistico; e ci sono esperienze organizzative che stanno
sfidando le forme tradizionali della rappresentanza. Il variegato universo
del «lavoro autonomo di seconda generazione» - a cui Sergio Bologna ha
dedicato una nuova raccolta di scritti,
Ceti medi senza futuro?, - è appunto tra questi.
O almeno è questa la scommessa di Freelancers
Union, organizzazione no-profit di New York che si è sviluppata
all'interno della costellazione del lavoro «indipendente» statunitense
(oltre il 30% della forza lavoro), offrendo a figure disperse nei mille
rivoli della metropoli risorse organizzative e strumenti rivendicativi. La
Union si batte quindi per garantire le protezioni sociali a un «ceto
medio» precarizzato e impoverito. Allo stesso tempo, fornisce strumenti di
comunicazione e connessione, nonché svolge un ruolo di intermediazione con
lo stato e le imprese. La Freelancer Union è dunque espressione
dell'irreversibile crisi della rappresentanza. Tema che viene spesso
affrontato quando viene svolta una critica agli orientamenti del labor
movement e della sinistra americana.
Il problema, dunque, è interrogare l'esperienza di chi tenta di andare
oltre quella crisi, proponendo forme di autotutela e organizzazione che
con la rappresentanza tradizionale hanno poco a che fare per analizzarne
la ricchezza e le potenzialità, ma anche per segnalarne i limiti.
Ne abbiamo discusso con Sara Horowitz, saggista e avvocata del lavoro,
direttrice della union dei freelancers newyorchesi.
Nei decenni passati
abbiamo assistito a grandi trasformazioni produttive, processi di
individualizzazione e frammentazione della forza lavoro, mentre le
organizzazioni tradizionali del labor movement sono in crisi. Può
spiegarci come, in tale contesto, nasce l'esperienza di «Freelancers
Union?»
Il
modello di business che si è affermato negli Stati Uniti scarica la
maggior parte degli oneri sui lavoratori. L'obiettivo che ci siamo
prefissi è lo sviluppo di tutele per i lavoratori indipendenti e garantire
la loro sicurezza economica.
Per dirla
in altri termini, state sperimentando una forma organizzativa capace di
innovare, o forse superare il sistema della rappresentanza. Quali sono gli
strumenti d cui vi siete dotati?
Il primo passo da fare è la presa di coscienza che i lavoratori
indipendenti sono una forza lavoro che hanno diritti negati. È un
passaggio necessario, visto che la sinistra tradizionale americana
continua a proporre un ritorno al sistema fordista per affrontare le
sempre più pesanti condizioni di vita e lavoro degli «indipendenti» o di
quella forza-lavoro che spesso in Europa chiamate precaria. Il passaggio
successivo sta nel promuovere forme organizzative adeguate a figure
lavorative con caratteristiche molto diverse da quelle che hanno invece
costituito le organizzazioni sindacali tradizionali.
Sono cresciuta in una famiglia di sindacalisti e ho appreso dai miei
genitori la difficoltà e l'importanza di «fare sindacato negli Stati
Uniti». Oggi, tuttavia, le forme classiche dell'organizzazione sindacale
sono superate. Nel vecchio modello produttivo gli uomini e le donne
lavoravano in una spazio fisico - la fabbrica o l'ufficio - ben preciso.
Il sindacato non doveva fare altro che andare lì e provare a organizzare i
lavoratori. Adesso a New York molti lavoratori non vivono questa
condizione. La nuova forza lavoro è atomizzata, individualizzata e
frammentata. Abbiamo così cominciato a parlare tra di noi perché è meglio
ritrovarsi insieme che stare ciascuno per conto proprio. Abbiamo così
scoperto che ciò che accadeva a ognuno di noi non era un problema
individuale ma rispecchiava una condizione generale. Freelancers Union è
quindi da considerare un'associazione di mutuo soccorso, di
cooperazione....
In che
senso....
L'obiettivo è individuare gli strumenti per raggiungere una
condizione di sicurezza e stabilità per i lavoratori. Dopo la fase
iniziale in cui abbiamo creato lo strumento per incontrarci e discutere,
ci stiamo concentrando sull'allargamento della membership e sui nuovi
strumenti di democrazia, orientandoci alla costruzione di uno spazio
economico di cooperazione. Dico questo perché ci siamo accorti che senza
uno spazio economico comune la base politica sarebbe risultata fragile.
Vuoi dire
che Freelancers Union oltre che organizzare i lavoratori è anche una
piccola attività economica che fornisce dei servizi ai lavoratori?
Non proprio. Noi abbiamo lavorato allo sviluppo di un forte network
informale che si avvalga della dimensione virale della comunicazione.
Questo è stato possibile attraverso il web e i blog. Inoltre a New York -
dove si trova la maggior parte dei nostri membri - abbiamo iniziato una
campagna di promozione nella metropolitana che, agendo sui flussi di
attraversamento della metropoli, ci ha permesso di raggiungere ogni giorno
migliaia di viaggiatori. È però ovvio che se un lavoratore chiede un
servizio noi lo forniamo.
Ha
descritto alcuni dei punti di discontinuità rispetto al modello
organizzativo del labor movement. Ma come si pone «Freelancers Union»
rispetto agli strumenti di mobilitazione classici come lo sciopero,
utilizzati anche dagli autori dei programmi televisivi?
I lavoratori indipendenti lavorano in differenti company e
l'idea di uno sciopero in una sola azienda in cui lavori per sei ore un
giorno a settimana non è una delle nostre principali strategie. Ma la
questione non è stabilire come un a priori se lo sciopero in quanto
strumento di lotta vada bene o meno. Lo sciopero va bene se è efficace,
perché lo sciopero è infatti uno strumento, non l'obiettivo di una lotta.
È a partire dalla nostra membership che dobbiamo costruire strumenti di
lotta e rivendicazioni.
Chi
compone la «membership» di Freelancers Union?
Abbiamo cinquantaseimila iscritti nella città di New York e la fascia
di redditi più ampia è quella tra i 25 e i 40.000 dollari all'anno.
Lavoriamo in settori produttivi tra loro eterogenei: dall'arte ai media,
alla finanza, le tecnologie, il no-profit, la salute ed il lavoro
domestico. L'ambito del lavoro creativo è quello più consistente. Benché
la composizione sia eterogenea, ciascuno ricava benefici dall'essere parte
del gruppo perché c'è l'opportunità di condividere e mettere in
comunicazione le esperienze, le informazioni su questa o quell'impresa, su
come evolve il mercato del lavoro in un settore. Tra gli iscritti c'è un
numero uguale di donne e di uomini, mentre quella della race non è una
problema rilevante nella nostra organizzazione. A chi si iscrive alla
Freelancers Union non chiediamo il colore della pelle.
Su quale
terreno si concentrano le rivendicazioni della union?
Con regolarità emerge il tema della proprietà
intellettuale. Il rispetto del diritto d'autore o i limiti delle attuali
leggi sono spesso argomento che discutiamo, ma il problema più scottante è
senza dubbio quello della disoccupazione. Il nostro obiettivo è
individuare un processo di tutele e garanzie per i freelancers. Bisogna
aggiornare le protezioni sociali degli anni '30: se in passato erano
legate al lavoro, oggi le cose sono cambiate, non possiamo delegare la
risposta allo Stato. Il governo dovrebbe soltanto aiutare a costruire
organizzazioni come la nostra.
Negli Stati Uniti ci si focalizza soprattutto sul ruolo dello Stato come
garante o meno dei servizi sociali, mentre credo che si dovrebbe puntare a
strategie che contrastino anche il modello del business corporation.
Guardiamo, ad esempio, con molto interesse all'esperienza delle
cooperative di lavoro e di consumo italiane.
Crede
cioè che il sistema delle cooperative sia la soluzione? In Italia le
cooperative sono state indicate come un espediente per per rendere meno
tutelato il lavoro...
Sono stata in estate in Emilia Romagna e ho apprezzato come vengono
affrontati alcuni dei problemi che hanno i lavoratori indipendenti negli
Stati Uniti. Mi riferisco al pagamento delle tasse, ai contributi
pensionistici. È un modello di gestione del «capitale» a cui guardiamo con
interesse perché qui da noi esiste solo venture capital o charity capital.
Per me, la coalizione tra diverse figure lavorative è indispensabile per
rafforzare le diverse figure lavorative della coalizione in relazione ai
continui mutamenti del sistema economico.
Negli
Stati Uniti c'è un ampio dibattito sul concetto di «creative class»
proposto dallo studioso Richard Florida. In Italia abbiamo invece
assistito al rischio di scivolamento del lavoro creativo verso un agire di
lobby...
L'aspetto più rilevante nelle tesi di Florida è laddove scrive
del ruolo economico del lavoro creativo, un aspetto tradizionalmente
sottovalutato dal labour movement. Negli Usa, gli artisti non sono
considerati granché, mentre il discorso di Florida permette di far
comprendere ai policymakers quanto questi siano un gruppo economico
importante. A noi, tuttavia, non interessa separare la forza lavoro in
differenti gruppi. Semmai il nodo da sciogliere è come usare la creatività
per costruire un'organizzazione dei lavoratori indipendenti o precari. Può
sembrare paradossale, ma è importante sottolineare il fatto che la forza
lavoro in generale ha cominciato ad avere sempre più cose in comune con
gli artisti, almeno nelle forme e nelle condizioni del lavoro: non avere
l'assistenza sanitaria, avere dei redditi intermittenti e che non
consentono di programmare la tua vita; non poter godere di nessuna delle
protezioni create dal governo negli anni '30. Questo per noi è l'argomento
potente del discorso sulla creative class.
il manifesto
del 14 Novembre 2007
30/11/2007
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