Gli adolescenti

di Lea Melandri




Bastano poche pagine sulla moda degli adolescenti per capire quali sono le maschere ritenute rappresentative di un'età che si vorrebbe sessualmente indefinita: figure androgine, maschi dall'espressione verginale, ragazze con pose virili e sguardi invitanti da maliarde, infantilismo e perversione.


 

Più che di un "terzo" o "quarto sesso", si ha l'impressione di essere di fronte a un sapiente caleidoscopio di figure di genere, sovrapposte e confuse tanto da renderne problematica l'identificazione. Nonostante l'evidente fissità degli stereotipi del maschile e femminile, l'immagine dei giovani che più ricorre, è quella che li vuole incalzati da metamorfosi continue, flessibili ed evanescenti come il mondo virtuale che li circonda.

Un sistema di mercato, che ha bisogno di cambiamenti continui, non potrebbe trovare materia prima più docile e plasmabile di esseri in divenire, a metà strada tra l'infanzia e l'età adulta, istinti e ragione. La postmodernità sembra confermare l'intuizione della psicanalisi che ha visto nel bambino il futuro dell'uomo. Ma, mentre Freud rintracciava nei primi rapporti le linee fondamentali dell'organizzazione psichica di ogni individuo, la cultura di oggi tenta di spostare ogni volta le sue frenetiche innovazioni su quel terreno apparentemente vergine che sono le donne e i giovani. La longevità, che potrebbe essere considerata una sedimentazione preziosa di esperienze, si svuota di contenuti propri per tentare un'illusoria rinascita attraverso modelli giovanili.

Non è un caso che, per le attempate signore che sono comparse sugli schermi televisivi a esibire movenze di ballo da "veline", non si sia trovato altro nome che quello, affettuosamente e malignamente storpiato, di "velone". La differenza di età, prestanza e autonomia fisica, si immagina riducibile a piacere, secondo una linea che avvicina figli e genitori, crescita e invecchiamento, come se si trattasse di temporalità convergenti destinate ad annularsi. Elemento mobilissimo, a cui si può sempre far aderire nuove maschere e, nel medesimo tempo, figura già nota dell'immaginario collettivo, l'adolescente, vestito dalla moda, cresciuto dalla pubblicità, addestrato dallo spettacolo, si presenta come un ibrido.

La Jeune-Fille, di cui si parla nel libretto omonimo scritto da un gruppo di giovani parigini, Tikkun, (Bollati Boringhieri 2003), si applica "tanto al bullo di discoteca quanto alla ragazzina araba conciata come una pornostar". Figura dell'erotismo infantile, che l'uomo aveva creduto di seppellire nella sua preistoria, essa riemerge come "lo schiavo che, in quanto tale, torna a tiranneggiare il padrone di ieri". Proprio perché simboli di ciò che la vita pubblica si è lasciata a lato, i giovani e le donne diventano la "merce-faro" che serve a vendere tutte le altre, la chiave che apre al mercato l'esistenza in tutti i suoi aspetti.

Nella bellezza irreale della "cosa vivente", la Jeune-Fille richiamerebbe, per Tikkun, il sex-appeal dell'inorganico. Dietro i fuochi di artificio delle metamorfosi tecnologiche ricompare una coppia antica quanto l'umanità: eros e morte.

L'articolo è stato pubblicato su Carnet- dicembre 2003