Le
immagini affamate. Donne e cibo nell'arte
di
Bianca Fiore
Il titolo
è parzialmente improprio, perché nei due piani su cui si
articola l'esposizione museale, di disordini alimentari non c'è
quasi traccia, se non nelle opere della più recente modernità,
e la maggior parte dei quadri evoca piuttosto una ricca opulenza naturale.
La mostra è tuttavia allestita con grande cura e competenza di
scelta artistica da Martina Corgnati - figlia della famosa cantante
Milva, ed ha il pregio di uno sguardo femminile acuto e spesso
ironico sulla pittura che ha scelto come tema il cibo.
Dal tardo '500 al primo novecento ( primo piano) fino all'arte contemporanea
( secondo piano).
La parte contemporanea è molto più ricca di presenza femminili,
perché nel '900 il numero di donne artiste aumenta esponenzialmente
e diviene più capace di autorappresentazione.
A partire dal celebre 'Festino di primavera' di Meret Oppenheim:
un corpo di donna a guisa di tavola imbandita da cui spilluzzicare. Peccato
che non vi sia neppure un refolo di erotismo, neppure per sbaglio o per
caso, e l'inquietante fissità del bianco e nero evochi piuttosto
la gelidità di una tavola anatomica.
O dell'installazione in legno a forma di 'blocco cucina', interamente
ricoperta di velluto blu e che occupa tutta intera una parete, dal titolo
'salve o regina' ( Odinea Pamici).
Fino all'ironia un po' gelosa di 'uomo à la coque' un modo davvero
inedito di rappresentare i privilegi maschili, nel senso dell' iperprotezione
da sistema di potere che rende inutile qualsiasi parola, come evoca appunto
l'opera 'cucinare parole': una piastra di metallo a forma di libro che
evoca già un conflitto tra i sessi più esplicito e violento
( di Mirella Bentivoglio).
E se di Lalla Romano si può dire che era forse meglio come
scrittrice che come 'pittora' ( nella mostra sono esposti quattro suoi
quadri), la famosa 'tazza di pelliccia' di Meret Oppenheim fece
scandalo allora come adesso.
E Anna Esposito raffigura, nel 'Concilio' , un intero consesso
di cardinali con semi di zucca al posto delle tiare, mentre 'Lapide alla
natura morta', ancora di Mirella Bentivoglio, esprime meglio di
qualsiasi parola l'essenza della mai sopita misoginia sessuofobica che
abita o ha abitato ogni tempo e ogni luogo.
Diverso è invece il rapporto con il cibo nelle epoche precedenti
- dove, forse per la sua maggiore penuria e centralità quotidiana,
il rapporto con il piacere non manca quasi mai. Ed è un piacere
legato alla sua preparazione, al suo potere di seduzione e alla sua discreta
essenzialità.
Interessante, ma alle prime armi rispetto alle contemporanee, il gruppo
di pittrici di nature morte tra '500 e '600, tese a mostrare al mondo
e a se stesse di non essere inferiori agli uomini nella capacità
di raffigurare oggetti.
Interessanti infine anche molti quadri di autori maschili per il modo
come, nella stessa epoca, osservavano le donne nella consumante fatica
dei gesti del lavoro quotidiano.
La naturalezza dei dipinti riflette forse la semplicità della vita
di allora e una durezza di condizioni che lasciava poco spazio all'organizzazione
di qualcosa di diverso dalla stretta sopravvivenza.
E' strano anche notare che l'800 sembra essere il secolo in cui lo sguardo
maschile verso le donne è diventato più sicuro e allo stesso
tempo più tenero, a dimostrazione che si è trattato di un
periodo di grandi progressi e con un atteggiamento verso la vita nel complesso
più fiducioso di quanto non esprima oggi la contemporaneità.
Vale la pena di andare.
Aosta.
Museo Archeologico.
Le
immagini affamate. Donne e cibo nell'arte. Dalla natura morta ai disordini
alimentari.
Fino al
7 maggio 2006.
Catalogo,
25 euro
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