La fantascienza di Agnese Seranis Daniela Pastor
Rileggere Agnese Seranis per l’incontro di oggi mi ha fatto ripensare alla mia formazione alla Libera università delle donne, al primo corso a cui mi iscrissi, nel’91, quando inizialmente Lea Melandri ci propose testi della rivista Lapis per farci capire che cosa fosse la scrittura d’esperienza, mentre io e l’altra neofita del gruppo, la compianta Maria Attanasio, ci guardavamo intorno un po’ smarrite interrogandoci sul possibile rapporto con la letteratura … E poi irruppe l’orgasmo. Lea ci presentò un frammento dal primo libro di Agnese, Io, la strada e la luce di luna: “ Come i lembi di una ferita ci siamo saldati e attraverso lui ho conosciuto ciò che io non sono. E lui attraverso il suo corpo ha cancellato la mia solitudine anche se per poco. E’come se per un momento ci offrissimo reciprocamente la nostra necessità esistenziale. … Possibilità di uscire da me e di liquefarmi in un altro essere e di sentire nello stesso momento la sua liquefazione il suo condensarsi, il suo ritirarsi dal mondo esterno per gettarsi come un affluente le sue acque nel fiume … in me... totalmente. La sua concentrazione, i suoi sensi, ottusi ad altro perché lascino filtrare le sensazioni che gli vengono da me. In quel momento io sono il mare, io sono l’acqua, io sono la luce … la nostra attrazione reciproca è come l’attrazione fra i corpi celesti e io ruoto intorno a lui e lui ruota intorno a me e senza di me lui si perderebbe e senza di lui io mi perderei.” Mi rivedo ancora davanti a quelle righe, occhi bassi e il cuore in tumulto: quindi un’altra donna mi aveva scoperta, aveva condiviso le mie sensazioni, anche le mie visioni, considerate indicibili, quando, ragazza, avevo concluso per la prima volta, ma solo dentro di me:- Ah, allora è questo il piacere- Da quella sera all’università delle donne, però, non mi risuonarono più oscure le associazioni di Lea fra la scrittura di esperienza e quello che lei chiamava il magma interiore, le zone più remote del nostro sentire, ai confini del corpo, l’impresentabile della storia. Alla lezione dopo scoprii che le mie compagne di corso si erano precipitate nei giorni successivi a comprare il libro di Agnese Seranis. Io no. Sapevo che vi avrei trovato la follia più o meno lucida, le contraddizioni del materno sviscerate fin dalla vita intrauterina, e siccome in quel periodo tutto questo era fin troppo presente nella mia vita, non intendevo portarmelo a casa nella scrittura. L’acquistai anni più tardi, quando ero più tranquilla dentro, diciamo, o tutto si era compiuto, oramai alla Lud facevo parte di un gruppo sulla scrittura d’esperienza che Lea invitò a leggere Clarissa, il terzo libro della Seranis, appena uscito, nel 2005, perché l’autrice fra qualche settimana sarebbe venuta a presentarcelo. Proprio qui, in questa stanza, vidi per la prima volta Agnese, quell’arruffata di ricci neri che non riusciva a tenere composta, lo sguardo acuto, penetrante e birichino: sì, mi sono affezionata a quest’ultimo aggettivo quando penso ai suoi occhi, lo so che non lo si usa più o solo riferito ai bambini, ma è quello che avevo subito associato a lei. Lodai la capacità visionaria della prima parte del libro, da grande autrice di fantascienza, e le augurai che un regista potesse tradurre in film le immagini potenti nelle pagine iniziali, quando in un mattino come gli altri, nel suo solito ufficio, la protagonista si accorge dopo un breve blackout, che sono scomparsi tutti i suoi colleghi di lavoro, le persone in strada, in città ecc, lasciando solo i loro vestiti, e il cielo è di un biancore accecante, irreale, striato di rosso e arancione, eterno tramonto sul quale non scenderà mai la notte. Seguiamo così Alice (che poi darà a se stessa il nome di Clarissa), appena ripresa da uno svenimento…
Altro batticuore, anzi, direi proprio soprassalto sulla poltrona, ho provato quando ho avuto modo di vedere in versione originale il film Left Behind, la profezia, con Nicholas Cage, che uscirà in Italia solo il prossimo mese, con le immagini di una ragazza che stava stringendo il fratellino, e dopo un lampo si ritrova con i suoi abiti e lo zainetto fra le braccia, come sui sedili dell’aereo in cui si svolge quasi tutto il film rimangono all’improvviso solo i vestiti di quasi tutti i passeggeri e solo alla fine il protagonista saprà che sono scomparse milioni di persone in tutto il mondo, mentre guarda lo stesso cielo descritto in Clarissa. Certo, sono suggestioni, direi che sia quasi impossibile che il regista Vic Amstrong abbia letto Clarissa, e probabilmente invece si è fondato sulla serie di romanzi dallo stesso titolo del film (in italiano Gli esclusi, di Tim la Haye e Jerry Jenkins,), però mi emoziona vedere quelle immagini, come se si realizzasse un sogno.. Dopo Clarissa acquistai finalmente il primo libro di Agnese, che intanto aveva cambiato il titolo in Smarrirsi in pensieri lunari, e prima di leggere Joelle, uscito postumo, ero riuscita a trovare una copia de Il filo del discorso. Non aver seguito l’ordine cronologico dell’itinerario narrativo di Agnese Seranis mi è parso, però, più funzionale al titolo di questo seminario, Agnese Seranis scienziata, e la chiave di lettura che vi suggerisco nasce dall’ultimo ricordo : poco tempo dopo la sua scomparsa, nella sala dell’Unione femminile ci radunammo per parlare di lei, anche con le amiche di Torino, e mi colpì l’osservazione di una di esse, pure lei laureata in fisica, che quella che aveva sempre ammirato in Agnese, da quando erano giovani, la facilità con cui affrontava i passaggi matematici difficili , “le veniva naturale la risoluzione di problemi”. Quello che affascina nel complesso delle sue narrativa è questa naturalezza di passaggio dalla autocoscienza, alla scienza, alla fantascienza, e mi chiedo se l’ occuparsi nella sua professione di conduttori , di fibre ottiche, di impostare progetti, non le abbia reso più agevole cogliere i nessi fra corpo e mente, l’io e il sogno, la visceralità e la galassia, la memoria e il futuro. Aveva capito la grande opportunità che il genere della fantascienza offre alle donne perché nel saggio su Lapis del’94 , Noi abitanti di improbabili futuri, scriveva :
E l’Alice che si smarrisce in pensieri lunari, e l’Alice-Clarissa del futuro vicino alla fine non sono infatti così lontane, aliene a se stesse, tanto da non riconoscersi allo specchio, e al mondo che le circonda (che non è certo delle meraviglie) che provano a destrutturare, mettendo in dubbio la scienza dell’uomo, i nomi delle cose, il loro stesso nome; quando si accorgono che il mondo è l’alieno, perché si allontana dalla Natura, entrambe sentono il bisogno di cambiarlo per trovare una propria strada, ma prima devono guardarsi dentro senza pudore.. Se Clarissa è il ponte con il futuro, Alice de Il filo del discorso e soprattutto Joelle lo sono con il passato; la prima fa proprio un salto nel tempo evocando un dialogo con le grandi scienziate che l’hanno preceduta. Joelle, l’interlocutrice della protagonista che racconta, non è lontana nel tempo, ma nello spazio, è una mano tesa di Agnese verso chi viene dall’Africa, dalle origini, dal luogo dove la razza umana ha avuto inizio, e non è un caso, perché è proprio della bambina, della propria origine che lei vuole trattare. Se vi suggerivo di accostare Il Filo del discorso e Joelle, è perché vi accorgerete che i ricordi dell’infanzia si muovono nello stesso paese di montagna, nello stesso ambiente, comuni alcune vicende esistenziali, ma nel libro postumo sembra esserci l’ultimo svelamento, si toglie anche quel traccia di idealizzazione del ricordo …io l’avevo chiamata l’ultima missione. Nei libri, nei film di fantascienza , o di fantasy, infatti, giunti ormai ai confini dell’universo o alla fine del mondo così come lo conosciamo, l’ultima missione, la più difficile, in cui pochi osano cimentarsi è il ritorno alle origini. Nella navicella di 2001 Odissea dello spazio, alla deriva, oltre l’infinito, l’astronauta non vede forse la propria morte ma anche la propria nascita? o l’ultimo saga di Star trek non porta i protagonisti a ripercorrere la propria storia? E nel fantasy, quando si stringe l’ultimo anello, o la spada magica, non si deve essere pronti a guardare senza veli dentro di sé e nel proprio passato? Nella Seranis l’ultima missione è quella di raccontare la vita della bambina e dell’adolescente in stile classico, con la precisione della punteggiatura, come una melodia che per cantarla non sia sufficiente essere intonati (come aveva scritto nella prefazione di Smarrirsi in pensieri lunari per spiegare la quasi assenza di segni d’interpunzione) ma che debba rispettare fedelmente la partitura dell’autrice.
Leggendo queste parole, stavo per dire versi,viene da chiederci se questo smarrirsi in pensieri lunari sia poi così diverso dal naufragare m’è dolce in questo mare di Leopardi, e lo sguardo di una scienziata non coincida spesso con quello del poeta… credo che in Agnese, almeno quando guardava il cielo, fosse proprio così.
.
|