DA CIRCE A MORGANA. UN COMMENTO

di Valeria Aliberti

 

In “Da Circe a Morgana” Momolina Marconi ci conduce nell’immaginario di due culture distanti tra loro a livello geografico, storico, antropologico e mitologico quali l’antica area mediterranea e quella celtico-britannica, con particolare riferimento, per quest’ultima,  alle celebri saghe arturiane.
Questi due mondi che potrebbero tra loro apparire estranei si avvicinano profondamente, nell’analisi della Marconi, grazie alle figure femminili libere e potenti delle grandi Maghe. Sono queste Morgana e Viviana, paragonate ed imparentate con Medea e Circe, a loro volta discendenti della Grande Dea Mediterranea pre-greca, la Potnia, Signora della natura, degli animali e delle piante.

Queste maghe, così come le Dee antiche, sono donne che conoscono le virtù di piante e fiori, che coltivano nei loro giardini accanto a laghi, fiumi, sorgenti o corsi d’acqua, e che utilizzano per preparare i loro filtri magici e curativi, poiché esse conoscono tanti filtri quanti ne produce la terra feconda.

Prerogativa delle Dee e delle donne è infatti questa arte erboristica, padroneggiata da loro fin da tempi remoti.
Il mondo vegetale non ha segreti per la Potnia, né per le grandi Maghe.
Maghe che sono esse stesse Dee. “Maghe in quanto Dee e Dee in quanto maghe” perché, come la Marconi ci mostra, l’antica Potnia è la maga per eccellenza, e queste magiche donne sono le sue dirette discendenti.
Ci vengono quindi presentati, di volta in volta, i ritratti di queste superbe figure, che svelano, tramite la penna dell’autrice, la loro divina essenza, nascosta sovente dal mito; ed esse, grazie alla scrittura fluida ed appassionata della Marconi, non faticano a palesarsi ai nostri occhi.

Vediamo così Circe, maga mediterranea per eccellenza, Signora di Aiaia, una magica terra lambita dalle onde, nella quale ella dimora sola o con le sue ancelle, accogliendo (o attirando a sé)  i marinai che ivi giungono per poi  trasformarli, coi suoi filtri e la sua portentosa rhabdos, in animali, avvicinandoli così al mondo naturale riportando in loro l’istinto perduto in una sorta di iniziazione magica.
Celebre è l’episodio che vede come protagonisti Ulisse ed i suoi uomini, mutati in porci. Ma ancora più fondamentale è la vicenda del Re italico Picus.
Circe, Signora della Charis (parola in italiano intraducibile, che contiene in sé i concetti di grazia, ardore, femminilità e incanto) conquista il cuore del bel Re che però ha già una moglie.
Per renderlo definitivamente suo, quindi, Circe lo trasforma in un uccello: il Picchio.
E non a caso la maga compie tale trasformazione poiché il picchio conosce, lui solo, il luogo di crescita di una prodigiosa erba capace di aprire il nido chiusogli dai boscaioli.
Il picchio è dunque incantato uccello, degno paredro di una Dea quale Circe, in grado di cogliere per lei, sapiente erborista, erbe preziose.
Circe rivela così la sua natura di Dea possente ed autonoma, che reclama il suo compagno.

Ma vi è un’altra maga cui la natura di Dea, celata, viene riportata alla luce.
È Medea, la maga della Colchide che, al pari di Circe, ha profonda familiarità con erbe e filtri: il che già basterebbe a persuaderci della sua innata divinità. Ma un altro dato ci viene mostrato, per aprirci gli occhi. Ed è la dimestichezza di Medea coi serpenti, animali questi particolarmente cari alla Potnia Mediterranea e Cretese, chiamata infatti sovente Potnia Ofion, Signora dei Serpenti.

Tra queste due figure, Circe e Medea (ma anche Arianna ed Elena, Artemis, Hera, Hecate e Demeter) e le grandi Maghe Medievali come Morgana e Viviana non vi è un abisso, come parrebbe, dato dai secoli che le dividono e dalle diverse terre natie.
Bensì vi è, ci dice Momolina Marconi, una stretta parentela. Un sorgere da un unico ceppo.

Morgana dimora,  come Circe, in una magica terra coperta dalle nebbie e accarezzata dalle acque, in compagnia di otto sorelle sulle quali ella regna, più saggia e sapiente di tutte.
Ella vive tra alberi di mele e giardini fioriti, rigogliosi di piante medicamentose, come le sue sorelle mediterranee.
Le terre di Circe e Morgana sono isole impervie, dove nessun essere umano si avventura volontariamente. Vi giungono solo coloro che abbiano un animo davvero ardito ed in cerca di avventure, o solo coloro che la viva voce della maga chiama poiché esse, seppur autonome, compiute e  solitarie nel loro vivere, amano la compagnia e l’intimità maschile, di tanto in tanto.

Solo gli eroi perciò le raggiungono.
Poiché gli eroi sono “coloro sacri ad Hera”, coloro cioè che agiscono spinti da una Dea, per rendere grande l’onore di lei poiché è a lei che sono devoti.
Inoltre è dal sangue di tali uomini che in numerosi miti nascono i fiori. Quei fiori tanto cari alla Potnia ed alle maghe, che sulla loro conoscenza fondano la loro supremazia.

Ciò che unisce Circe e Morgana è anche la trasformazione.
Morgana ad Avalon, la sua isola, trasforma Artù in Corvo, così come Circe trasforma in Picchio Picus.
È nuovamente con una metamorfosi quindi che la Dea reclama il suo eroe, come in una sfida perenne della quale solo Lei può decidere l’esito.
Morgana ed Artù, inoltre, sono anche legati da vincoli di sangue, poiché sono parenti, nati dal grembo della stessa madre.

Nell’antica religione mediterranea il paredro della Potnia è sempre suo figlio/amante/fratello, in un continuo indifferenziato poiché la ierogamia divina, la sacra unione, è sovente caratterizzata dalla consanguineità e lo sarà anche nella religione classica se pensiamo allo sposalizio di Hera con Zeus, suo fratello.

La Marconi ci trasporta così in un mondo senza tempo che perpetua, nel suo svolgersi, un mondo ancora più antico e remoto, solo appena sfocato  dalla patina patriarcale che i secoli hanno tentato di sovrapporgli.
Un Reame governato da una Dea, una Signora magica e vivificante, a tratti anche oscura e terribile, perché in lei è celata tutta la natura, con tutta la sua ambivalenza e contraddizione.

Un mondo antico, fatto di giardini e di fiori, in cui la vicinanza degli esseri umani agli animali ed ai semplici era unificante e non prevaricante.
Un mondo antico mai veramente dimenticato, al quale la Marconi ridona tutto il suo potere e tutta la sua intensa vitalità.

 

De Nardis Anna (a cura di), Da Circe a Morgana. Scritti di Momolina Marconi, Venexia, Roma 2009.

 

 

24-08-2009

 

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