Isabel Allende, Il mio paese inventato
di Liliana Moro
 

Isabel Allende ha sperimentato diverse forme di scrittura così che alcuni suoi ‘romanzi’ non sono vere e proprie narrazioni, come Afrodita, ad esempio.
Anche questo non è un romanzo classico, si colloca in una regione di confine tra memoria, ricostruzione storica, saggio sociologico e politico: la Allende ricostruisce la storia della sua famiglia e gli stereotipi che hanno attraversato la cultura cilena nel secolo scorso; descrive i luoghi della sua infanzia e rievoca la storia urbanistica di Santiago; ricorda i convincimenti, le passioni della sua giovinezza e ricostruisce il colpo di stato dell’11 settembre 1973.

In effetti si tratta di una forma di autobiografia che tiene ben saldi i fili che legano una vita a tante vite e che intrecciano un’esistenza ai luoghi in cui si svolge e si è costruisce.

Ma nel momento in cui dipinge con maggior precisione i lineamenti del suo paese e dei suoi concittadini, ricostruendo una particolarità che potrebbe o dovrebbe condurre a un’appartenenza locale e quindi escludente, in realtà noi ci troviamo di fronte a caratteri universali e riconosciamo in quei cileni i volti dei nostri vicini.

Lo sguardo ironico, la leggerezza partecipe, con cui Isabel Allende rincorre il suo passato necessariamente sfuggente, impediscono la caduta nel folklorico o nel patetico e ci restituiscono una conoscenza ravvicinata di un paese tanto più reale quanto più “inventato”.

 

Isabel Allende, Il mio paese inventato,
Feltrinelli, 2003, 187 pagine, E.13