Allegato 1

La tutela, il diritto

 

Tutelare una serie di diritti e vittime di ogni tipo di violenza richiede una serie di interventi, tra i quali segnaliamo la necessità di promuovere la formazione del personale dei servizi, delle organizzazioni e degli uffici pubblici.

Alle vittime deve essere infatti garantito l’effettivo diritto a ottenere dai servizi sociali sostegno psicologico, fisico e di accoglienza; a usufruire di consulenze legali gratuite, presso centri istituiti in sedi pubbliche e di godere dell’esenzione delle spese giudiziarie; a ottenere, nell’ambito dell’attività lavorativa, agevolazioni come l’esonero da lavori svolti in condizioni di isolamento o il cambiamento di reparto o di mansioni.

Pensiamo assai utile per un’efficace tutela delle vittime che le forze dell’ordine, i magistrati e gli avvocati siano specializzati o comunque adeguatamente formati in relazione a questo tipo di reati.

Alle pubbliche amministrazioni chiediamo di garantire la possibilità di accedere ad alloggi protetti, in particolare per le vittime di violenza nell’ambito familiare, e di sostenere con finanziamenti i centri antiviolenza già esistenti.

Infine pensiamo necessario garantire l’effettivo funzionamento dei sistemi giudiziari di protezione e sicurezza della vittima: allontanamento del colpevole, se convivente nella famiglia della vittima, e divieto di ritornare nell’abitazione; divieto di avvicinare la vittima di violenza, sessuale e non, o di disturbo nel domicilio, nel luogo di lavoro o in qualunque luogo essa si trovi; sospensione del porto d’armi, ecc.

Nell’ambito penale riteniamo assolutamente inutili gli aumenti di pena, considerati il minimo edittale previsto, la possibilità di aumenti per le aggravanti comuni e specifiche e la possibilità di diniego delle attenuanti generiche.

Guardiamo invece con favore ad una previsione più ampia delle pene accessorie, in particolare di tipo interdittivo o comunque “atipico” a modello di quelle che si vanno largamente diffondendo in altri Paesi: divieti di partecipazione a particolari attività o iniziative anche dopo l’espiazione della pena; prestazione di lavori a beneficio della comunità anche dopo l’espiazione della pena o nei periodi di sospensione o riduzione della pena.

Riteniamo inoltre improponibile il ricorso a riti particolarmente rapidi (giudizio direttissimo o immediato) di cui si è prospettata l'obbligatorietà, incompatibili da un lato con la procedibilità a querela - rispettosa dell'autodeterminazione della donna e prevista dalla legge del 1996 come esito di una approfondita discussione fra associazioni femminili, fra esperti di diritto e in ambito 4/7 parlamentare - e dall'altro con le indagini particolari (esame DNA, perizie e così via) che spesso si rendono necessarie in questa tipologia di reati.

Benché il movimento delle donne abbia sempre osteggiato modifiche normative dirette ad ampliare l'area degli illeciti penali, riteniamo che l'introduzione di nuovi reati per gli atti di vera e propria persecuzione (il c.d. stalking) potrebbe essere giustificata dalla necessità di disporre di strumenti di intervento immediato, quali misure cautelari o interdittive, applicabili nel nostro ordinamento solo in ipotesi di reati che prevedono la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni.

Sarebbe comunque indispensabile, per un verso, individuare in modo specifico la condotta penalmente rilevante e, per altro verso, non prevedere minimi di pena per evitare che siano applicate sanzioni sproporzionate in relazione alla molteplice varietà delle situazioni che in concreto si possono verificare.

Pensiamo utile la possibilità, per il giudice, di imporre l’applicazione di programmi di rieducazione e trattamento psicologico in carcere e non, considerata l’alta probabilità di recidiva degli imputati di reati di violenza sessuale molto spesso - a loro volta - vittime, nella minore età, di violenza sessuale.

Infine sollecitiamo la necessità di prevedere la costituzione di parte civile, con il consenso della vittima, di associazioni senza scopo di lucro, costituite da almeno tre anni, la cui finalità sia la tutela dei diritti delle donne.