Fra Andy e Gebo

Daniela Pastor

 


Il decoder mysky o la stanza dei monitor di David Bowie ne “L’uomo che cadde sulla Terra” avrebbero risolto il dilemma degli appassionati di tennis e di cinema quel lunedì 10 settembre 2012: quale evento seguire in tv? La finale degli Usa open maschile fra Novak Djokovic ed Andy Murray su Eurosport, o Gebo e l' ombra, l’ultimo film di De Oliveira su Rai 3 a Fuori orario,  a pochi giorni dalla sua proiezione alla 69 Mostra del cinema di Venezia?
Mysky avrebbe permesso di registrare il film e continuare a seguire il tennis, ma la mia tv, che dal passaggio al digitale sintonizza la Rai solo attraverso Sky, mi avrebbe imposto di scegliere, se il match si fosse protratto oltre la mezzanotte ora italiana.

Augurarsi un match corto,  allora, chiuso prima della voce di Ghezzi e di Because the night  di Patty Smith? Un’esibizione magari senza palpiti ma di pura bellezza come i 115 minuti della finale di Wimbledon ’99 fra Sampras e Agassi? Con Djokovic in campo, però, c’erano da aspettarsi tempi lunghi, sia per vincere sia per perdere, come se le sue finali  slam del 2012 gli fossero servite a dimostrare che se anche non era più  il dominatore dell’anno precedente, avrebbe lottato fino all’ultimo punto. Attrezzarsi per non perdere nulla, quindi: il tennis in streaming sul pc, e Gebo e l’ombra sullo schermo televisivo, iniziato naturalmente fuori orario, 10 minuti in anticipo rispetto alla programmazione.

Non facile assorbire subito il cambiamento delle immagini: il piccolo schermo nero del pc diventa improvvisamente il contenitore del mega Arthur Ashe Stadium, che, per chi lo conosce solo dalla tv, ripreso dall’alto pare uno sguardo sull’abisso perché immagino che dalle ultime file sembri di assistere ad un videogioco lontano, mentre “visto da quaggiù, vicino al campo, somiglia a un’enorme torta nuziale” scriveva David F. Wallace in “Il tennis come esperienza religiosa (Einaudi, 2012, p.6)

Luce, ancora molta luce in campo nel tardo pomeriggio newyorchese (o era il sovrapporsi già di quelle artificiali?) in quei due set iniziali che, pur essendo stati vinti dallo sfidante con pochi punti di scarto annunciavano che la conquista del primo slam per il ragazzo scozzese era ancora lunga. Sullo schermo televisivo si apriva invece un povero tinello di fine Ottocento, e alla luce fioca delle candele s’intravedevano gli abiti scuri e i volti rugosi di Claudia Cardinale, moglie di Gebo-Michael Londsale, quello più giovane della loro nuora, e al tavolo si sedeva per qualche minuto la comune amica Jeanne Moreau.
Invano il vecchio contabile protagonista cercava di ricordare alle donne la pesantezza e la difficoltà del suo lavoro che deve anche continuare a casa: le donne guardano altrove e parlano di chi non c’è, dell’ombra del figlio e marito  Joao (latitante per un furto di cui si accuserà poi il padre), ma sempre rimpianto e idealizzato.  Ad un certo punto il figlio si materializza in quel misero interno, accolto come se non fosse mai andato via, tanto da far dubitare lo spettatore della storia che gli sta narrando il vecchio Padre dietro a tutti loro: sta giocando con le ombre della stanza, il 104enne De Oliveira? E’ reale Joao, è lo stesso personaggio che nella prima inquadratura del film stava scrutando il mare? O è il fantasma del desiderio di tutta la famiglia stanca di attendere?

Ma seguire il film in tv cambia anche il mio sguardo sul match di tennis, progressivamente attratto non dalle azioni in campo, ma da ciò che accade in uno spazio più ristretto, privato, il piccolo box dei familiari di Djokovic e Murray, e le storie e i personaggi dei due schermi sembrano richiamarsi l’un l’altro. Ben definita, riconoscibile e schierata la famiglia del serbo: madre, padre, occhi  fissi sul figlio, gesti e voci  quasi sincronici anche se talora le braccia di lei si protendono come a proteggerlo, ma senza sorridergli. Impassibile come un allenatore, invece, non come la madre alla cui emotività ci aveva abituati, Judith Murray; “sofferenti” ad ogni punto, secondo copione, le belle compagne dei due finalisti.

Sono gli uomini della famiglia dello scozzese ad evocare di più i personaggi  di Gebo. Il  padre di Murray non c’era, o non era inquadrato, forse defilato rispetto agli altri ”padri”che conquistavano la scena e le inquadrature: Lendl, il vecchio campione che aveva perso troppe finali come il ragazzo che l’aveva strappato ai campi da golf e alle sue figlie per riproporgli una storia già vissuta; e poi c’era  Sean Connery, 7 anni dopo il primo Wimbledon di Murray, quando le telecamere si erano divise  fra le tribune, dove l’allora settantacinquenne attore, ancora considerato fra gli uomini più sexy, trasmetteva energia con gesti e grida al suo connazionale,  e il central court, con lo sfrontato ragazzino entrato con l’ipod nelle orecchie ad incantare pubblico e Nalbandian per due set per poi spegnersi nei 3 successivi...

A New York, mentre nel terzo set Andy sembrava smarrirsi e ripercorrere sentieri di finali già note,  il vecchio James Bond, sotto un panama, lunghi capelli e barba bianchi, pareva rinvigorito, si ribellava alla ripetizione del passato, lo incoraggiava a cambiare la storia, sbraitando a tal punto che la moglie doveva invitarlo a calmarsi. Intanto il film era finito: le strade di Joao, o della sua ombra, e del padre Gebo si separavano per sempre: libero, ricco, seppur ladro il figlio, arrestato il padre, desolate le donne restano in casa. Ultime scene in esterno, ma con colori da fondale di teatro.
Gli ultimi games del quarto set tornavano sullo schermo tv, con il trionfo di Andy e dei suoi “padri”: Lendl deponeva la maschera, sorrideva, e Connery rientrava nell’ombra, quasi senza forze si afflosciava sulla sedia, alzandosi poi a fatica, appoggiandosi alla moglie. Ma ormai il palcoscenico finale non era per la famiglia, ma  per il campo super illuminato della sera newyorchese, per la coppa nelle mani di Andy che coronava il sogno e si liberava dei fantasmi...

L’Usa open 2012 e l’ omaggio del festival di Venezia al  grande regista portoghese sono  oggi ormai lontani. Mi piace però pensare che De Oliveira, che ha girato Gebo e l’ombra in 25 giorni, sia ancora in questi giorni dietro la macchina da presa, mentre Andy Murray comincia il nuovo anno tennistico con il ricordo di una grande vittoria: buon 2013 a tutti e due!

 

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20-01-2013

 

 

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