Angela Giannitrapani, Quando cadrà la neve a Yol

Liliana Moro

 

 

Quanto mai opportuna, in un momento tragico come questo, la lettura del libro di Angela Giannitrapani, che, in verità, non una novità editoriale, ma vale la pena parlarne ora poichè risulta di stringente attualità. Parla infatti di guerra, non la guerra-spettacolo, quasi virtuale, almeno in Italia, che sta dilagando nelle pagine dei giornali e negli schermi televisivi, no, qui si tratta della guerra reale, vissuta in prima persona e rievocata con emozione.

L'autrice prende spunto da un documento storico, che è sapientemente inserito nella narrazione: il diario tenuto da suo padre durante la Seconda Guerra mondiale. Era ufficiale nell'esercito italiano, venne inviato in Africa, precisamente in Libia (ricordo che l'Italia aveva invaso la Libia nel 1911), fu poi catturato dall'esercito inglese e trascorse 5 anni, dal 1941 al 1946, in un campo di prigionia in India. Durante tutto il periodo tenne un diario pressoché giornaliero.

Da questo documento si sviluppa la scrittura di Giannitrapani che si muove su più piani intrecciandoli : ricostruisce gli eventi, descrive i luoghi, ripercorre i pensieri, le emozioni di allora ma introduce lo sguardo dell'oggi, la prospettiva dello sviluppo storico successivo che, come in una zoomata, un allungamento di campo, conferisce profondità alla vicenda.

La finzione del viaggio a ritroso compiuto in età avanzata dall'ex prigioniero sui luoghi della passata sofferenza, insieme a un compagno di allora conosciuto però in epoca recente, produce un prezioso effetto di straniamento, mentre si compie un avvicinamento graduale allo spazio/tempo del passato.

La vicenda si svolge ai piedi dell'Himalaia e giustamente la meraviglia del paesaggio ne costituisce l'incipit

"Le scimmie volavano da un ramo all'altro dei pini alti e solenni. Rimbalzavano agili, facendo ondeggiare le fronde"

c'è già tutto: l'esotico, l'alta montagna, il movimento, e prosegue:

"Gli alberi secolari sembravano madri severe che con pazienza offrono grembo braccia seno a figli irrequieti"

ed ecco nella pace della natura emerge il tormento degli uomini che attraverserà tutta la narrazione.

A Yol si trovava un grande campo di prigionia costruito dal governo inglese della penisola indiana, destinato ai militari italiani.

L'esperienza della prigionia coinvolse migliaia e migliaia di persone, (ho trovato la cifra di 92.000 italiani catturati dagli inglesi in Africa) ma è una di quelle realtà che non vengono ricordate volentieri nella memorialistica bellica: il "glorioso combattente" vi è ridotto all'impotenza, il fragore delle armi tace, i rapporti tra persone degli opposti eserciti sono ravvicinati e si dipanano nel quotidiano della sopravvivenza, difficile per tutti. Tutti elementi che esulano dalla retorica della guerra.

Cito dal diario riprodotto a dialogare con il racconto:

"I giorni passano lenti e penosi. Ogni tanto qualche lettera da casa allieta la nostra triste esistenza. Qualche lacrima presto asciugata per non farsi scoprire dal compagno di tenda e lunghe passeggiate lungo i reticolati, con lo sguardo in su, lontano oltre le stelle. I nervi non sono per niente ristabiliti. Spesso beghe e litigi vengono sedati segretamente. Il 90% del campo non va d'accordo col compagno di tenda"

Ciò rende appunto prezioso questo libro, che affronta anche un altro tema scottante: l'evoluzione ideologica di un'intera generazione di italiani, cresciuti durante il fascismo ed educati a credere in entità che si sono visti sgretolare davanti agli occhi – o da lontano, se si trovavano appunto in India - ed hanno dovuto quasi vergognarsi del proprio passato. Si tratta di esperienze amare e poco o per nulla elaborate negli anni del dopoguerra, quando si volle considerare il fascismo una parentesi chiusa e superata, per ricostruire rapidamente una pace sociale che permettesse di non operare cambiamenti profondi.
Le conseguenze di questa scelta di rimozione sono oggi palesi poiché hanno contrubuito alla virulenta ripresa dei movimenti e delle ideologie neo-fasciste sotto varie forme.

Ma non si creda che "Quando cadrà la neve a Yol" sia un libro politico, la dimensione del sentimento e delle emozioni è forte e raggiunge il clou con la lettera che la figlia di Fulvio, il protagonista, consegna al padre "con la scritta 'DA LEGGERE DURANTE IL VIAGGIO DI RITORNO' sottolineata due volte". In questa lettera viene ricostruito con calore, affetto, emozione il rapporto tra una bimba e il padre

"Coraggiosa mi hai voluta. Coraggiosa e forte, dicevi. Magra come un chiodo, mi vedevi d'acciaio. Non lo ero, non lo sono, ma avvezza a combattere sì. "


e si segue anche l'evoluzione del rapporto fino all'età adulta, quando nella relazione entra anche lo scenario politico

"Ero cresciuta in una democrazia quotidiana, che mi aveva dato dignità e mi aveva insegnato a darla a chiunque. Come avevi potuto credere in un regime in cui non esisteva né libertà né democrazia? Come avevi potuto combattere per quello fino alla fine?
Non te lo chiesi mai, Padre mio, né te lo chiedo ora. Non è più necessario. Perché in quel muto confronto, in tutta sincerità, ci siamo rimbalzati idee differenti e differenti soluzioni, ma in una partita che abbiamo giocato con regole condivise..."

La capacità di intrecciare con chiarezza e credibilità il piano dei sentimenti e dei rapporti personali con quello del contesto storico è un altro dei, non pochi, pregi di questo libro.


Angela Giannitrapani, Quando cadrà la neve a Yol,
Tra le righe libri, 2016, pag. 285, € 16