Antigone e lo spazio appassionato delle relazioni

di Maria Grazia Campari

 

Mi è sembrata interessante l’idea di porre ancora una volta al centro della nostra attenzione collettiva questa figura già tanto interrogata, ritengo per l’intensità delle relazioni che rappresenta, nella sfera intima e sulla scena sociale.

La mia interpretazione della figura serve ad abbozzare la tematica, da approfondire, di un possibile ordine giuridico composto di regole differentemente sessuate.           

Vorrei prendere spunto da alcune osservazioni di Zagrebelski e di Rossanda, per vedere se è possibile mutare lo sguardo e se questa modifica soggettiva può consentirci di mettere in luce significati che, almeno parzialmente, si discostano da quelli proposti.

Antigone si presenta sulla scena, si dice, come fautrice dello jus, il diritto tradizionale di origine religiosa, non scritto, non mutabile, imperniato sul culto domestico e sui legami di sangue, che esige, fra l’altro, in disobbedienza alla lex che promana dall’organo statale, la sepoltura del defunto Polinice.

Creonte è l’autorità vincitrice, che emana il suo sistema di regole (lex), a tutela del suo governo e della sicurezza della città come da lui governata, contro i nemici; è colui che pone la lex come barriera securitaria contro l’altro, contro chi è estraneo o si è fatto estraneo per aver portato la guerra e averla persa.

Quindi, Antigone portatrice della legge etica, metastorica versus Creonte, creatore della legge storica che governa la città nei confronti della quale l’animo sensibile alla radice morale dei precetti,  rivendica la liceità e il valore della disobbedienza, sottolineando la non sacralità della fonte della lex (il tiranno che impera) a fronte della sacralità della legge che ha base nel culto famigliare e vigenza superiore e sempiterna.

I due antagonisti, osserva Rossanda, appaiono entrambi colpevoli di non ascolto.

In particolare, il tiranno con  la pretesa assoluta di essere fonte esclusiva dell’ordine legale preordinato ai destini materiali e anche alle coscienze dei singoli, manifesta una forma di autocompiacimento di tipo autistico.

Emone, figlio dell’uno e promesso sposo dell’altra, compare sulla scena e problematizza i concetti, obiettando al padre che la polis non può essere proprietà di uno solo.

Anche Antigone, però, se ci limitiamo a vederla come sostenitrice inflessibile delle regole inerenti l’ordine tradizionale della famiglia che onora con la sepoltura il morto, appare vittima estrema di un meccanismo dagli esiti infausti.

Questa rappresentazione ci porterebbe solo alla constatazione che l’elemento maschile e l’elemento femminile nel corpo giuridico si uccidono l’un l’altro, ciascuno consegnandosi, appunto, alla distruzione.

Va però tenuto nel debito conto il fatto che lo sguardo rivolto alla tragedia è maschile: il drammaturgo, l’interprete, il legislatore sono tutti uomini.

Considerando questo dato, si può tentare di operare una modificazione mettendo a segno uno scarto rispetto all’interpretazione maschile del reale, cercare un approfondimento che consideri la realtà scomponibile in più di un piano e rivolga al dramma un diverso sguardo.

La scelta attribuita ad Antigone in favore del diritto patriarcale del sangue e della famiglia, non mi sembra che possa rappresentare un valore appagante per l’aspirazione femminile alla giustizia.

Quel diritto, lo jus non scritto e immutabile, promana, come la lex,  da una fonte esclusivamente maschile e patriarcale; la fedeltà femminile a quel diritto è un valore per l’interprete maschio che lo presenta come etica famigliare di cui la donna è vista come obbediente depositaria.

Ma se la fonte di quel diritto è anch’essa sessuata maschile, il suo comando incondizionato cui tutti gli esseri umani sono sottoposti è solo apparentemente uniforme, neutrale, egualmente valido per tutti.

Il comando è, in realtà, asimmetrico e impatta differentemente sulle vite degli individui diversamente sessuati sottoposti all’ordine.

La differenza alla quale si allude è quella che passa fra soggetti produttori dell’ordine, autonormati, e soggetti non produttori, quindi eteronormati. Una differenza svantaggiante per questi ultimi che richiede atti di autonomia fino alla disobbedienza.

Quindi Antigone, donna contro, può ben affermare disobbedienza alla lex del tiranno in quanto regola che promana dall’uno/assoluto e relega l’altro nella situazione periferica dell’eteronormato (una periferia che è extra moenia ed anche periferia di umanità).

Può ben manifestare contrarietà ad un ordine di regole create in modo irrelazionale e autistico per affermare, invece, fedeltà ad un diritto relazionale che produca regole radicate nell’esperienza di vita, nella passione per la conoscenza e per la relazione che lega soggetti dei due sessi.

Antigone sarebbe, allora,  non solo colei che (secondo l’interpretazione di Emone) si fa portatrice di uno dei pensieri che hanno diritto di cittadinanza nella polis, ma principalmente  colei che si propone di costruire l’ordine nuovo delle regole che si conformano sulla concezione relazionale dello scambio politico fra esseri umani riconosciuti di pari valore.

In luogo dell’incomunicabilità autistica, questa ipotesi propone il conflitto e la mediazione fra valori confliggenti

Il presupposto da cui partire è che possano darsi due ordini di regole confliggenti, ma non contrapposte in modo insanabile e, in quanto tali, foriere di un destino infausto per tutti.

Non si tratta, quindi, di negare che la sicurezza della polis necessiti di un ordine legale, ma di approfondire quale sia l’origine e quale la qualità di un tale ordine.

Questo è un problema rilevante in tutti i tempi perché non è dubbio che, come osserva la Arendt , lo spazio in cui l’ordinamento giuridico ha valore è quello che determina il mondo in cui ci si può muovere in libertà, vincolati da legami che contemporaneamente associano e separano.

Il connotato relazionale che possiamo attribuire alla scelta di Antigone suggerisce che il complesso di disposizioni rivolte all’organizzazione giuridica della comunità possano trovare un'origine radicata nello scambio e nella mediazione fra valori differenziati, che nascono da differenti esperienze di vita e trovano la via della creazione consensuale di norme costituenti un ordinamento composito.

Tale ordinamento si costruisce socialmente attraverso relazioni conflittuali fra valori differenziati che si affiancano al di fuori di assetti piramidali.

Anche per la dottrina del diritto pubblico, ogni ordinamento può essere visto come un frammento temporale ordinato in una serialità e la situazione diffusa come un disordine globale che è comprensivo di più sistemi ordinati: il disordine è matrice di un nuovo ordine.

Allora, il diritto dello Stato ingloba il diritto delle comunità famigliari che permane in una stratificazione dominata ma non cancellata.

Nel conflitto, è regolato il concorso dei diversi diritti secondo uno schema verticale di “rango”, di tal che la realizzazione di un diritto comporta il sacrificio totale o parziale dell’altro.

Al di fuori dell’assetto verticale, l’esercizio non distruttivo del conflitto, suppone, probabilmente, l’individuazione di un terzo mediatore che sia riconosciuto titolare delle procedure di raffreddamento fra valori confliggenti di pari rango.

Occorre, allora, rispondere al quesito: chi è il terzo mediatore fra le regole differenti dei soggetti diversamente sessuati?

 

11/02/2005