Donatella
Bassanesi, Hanna
Arendt pensare il presente
di
Barbara Mapelli

Hanna Arendt
Mi colpiscono,
subito, appena inizio a leggere, le scelte di linguaggio, ritmo, equilibri
tra commenti e citazioni. Spesso periodi brevi, con passaggi da una proposizione
all'altra talvolta temerari, seguendo fili logici esistenti, ma anche
osati come i fili su cui camminano gli acrobati.
Parlo innanzitutto della forma di questo testo perché per prima
si è imposta alla mia attenzione, ma mi sono trovata molto rapidamente
a mio agio, se pure a contatto con una scrittura così differente
dalla mia. L'ho apprezzata per tanti motivi, e non solo formali: ho imparato
ben presto, ad esempio - e il merito penso non sia solo mio evidentemente,
visto che non mi accade con tutti i libri - pur seguendo il motivo interpretativo
che Donatella propone, a consentirmi letture a lato, scarti e sospensioni,
riprese e ritorni, una e più ricerche personali, lasciandomi affondare
"in quella fessura del tempo che è non-tempo - il luogo temporale
più appropriato per il pensiero". E, riprendendo ancora le
parole di Arendt, ho potuto nella lettura - e sono grata alle scelte di
Donatella - ritrovarmi spesso nel discorso che da tempo, ma non da sempre,
ho imparato a tessere con me stessa. "Dal momento che il pensiero
è il silenzioso dialogo tra me e me stessa, devo preoccuparmi di
preservare l'integrità di questo partner, poiché altrimenti
perderei sicuramente del tutto la capacità di pensare".
Insomma ho potuto, e questa è per me la più grande qualità
che si possa attribuire a un testo, tradire l'autrice, abbandonarla, pur
seguendo le sue parole, con la certezza rassicurante che l'avrei, quando
avessi voluto, ritrovata.
D'altronde questo mio percorso nel percorso del libro corrisponde, credo,
alle intenzioni stesse di Donatella, quando scrive, "Il passaggio
che ci ha colpito, il frammento non l'abbiamo scelto perché è
il migliore. Semplicemente si è fatto notare, si è imposto
all'attenzione, ci riguarda più direttamente e ci colpisce".
O ancora, quando parla della provvisorietà dell'interpretazione,
dello "scarto che ogni interpretazione compie distanziandosi da ogni
altra, per il quale c'è una parte del pensiero che rimane nascosta,
una parte che non è ancora stata pensata (ma potrebbe essere pensata)
".
Provvisorietà che appartiene anche alla persona che legge: se un
testo sa generare pensiero non cessa di suggerire dopo le prime letture,
dà molto ancora, qualcosa che può essere differente nel
tempo, secondo quanto si cerca e, soprattutto, si è disposte a
trovare.
E allora, brevemente, in forme necessariamente spezzate, voglio raccontare
qualcosa tra quanto ho trovato, qualcosa che evidentemente c'era già
in me e la lettura ha fatto emergere, ha espanso, approfondito, offrendo
altre direzioni o la possibilità di inventarle.
Innanzitutto la scelta delle tre grandi scansioni del libro: la biografia,
i percorsi nel pensiero attraverso ampie citazioni dalle opere, le relazioni
di Hanna Arendt narrate con un breve racconto e scelte dalle lettere.
Inizio da queste ultime per sottolinearne, almeno, due qualità,
più una generale che è anche una scelta di fedeltà
al pensiero della filosofa, "la presenza di altri, che vedono ciò
che vediamo e odono ciò che udiamo ci assicura della realtà
del mondo e di noi stessi". Le relazioni sono questa realtà,
di noi, del mondo, sono la garanzia dell'azione nel mondo, della trasformazione,
del senso della novità di ogni nuova nascita, garanzia, o più
semplicemente, possibilità del discorso su noi, su me, su me nel
mondo, poiché, così interpreto ciò che scrive Donatella,
"quando si riduce la capacità di discorso (che è con
altri) si riduce il nostro mondo".
Ma le relazioni della filosofa presentate dall'autrice hanno, dicevo,
due qualità. Sono assolutamente eterogenee, in modo quasi scandaloso,
spiazzanti e generative: prima l'amica, poi i due grandi pensatori/maestri,
così diversi anche nel rapporto con Arendt. E poi l'incontro con
Rahel Varnhagen, la donna ebrea del XVIII secolo, la cui biografia diviene
esemplare poiché esplicita la possibilità del valore filosofico
di un'analisi dell'esperienza, per "dimostrare che sul terreno dell'ebraicità
può crescere una determinata possibilità di esistenza, da
me indicata, in via del tutto provvisoria e approssimativa, come adesione
al destino (
) Tutto questo (
) il destino, il trovarsi in una
posizione esposta, o quanto altro si può dire della vita non posso
dirlo in astratto (
) ma tutt'al più suggerirlo attraverso
esempi. Proprio per questo voglio scrivere anche una biografia".
E poi ancora Eichmannn, incontro reale con il male o la "banalità
del male", che avvia la filosofa a uno dei percorsi più originali,
ancora oggi "luogo da cui pensare" . "La vera scoperta,
sono parole di Donatella, sta nell'aver capito che il male è devastante
ma non c'è genio del male perché il male è indifferenza
alle profondità del pensiero, è superficialità in
quanto indifferenza al pensiero (alla riflessione e al giudizio). Del
male ci si considera irresponsabili". Eichmann è definito
"stupido" da Arendt, egli afferma "il linguaggio burocratico
è la mia unica lingua".
La seconda qualità appartiene ai primi tre incontri ed è
la capacità e la scelta, nella mole immensa delle lettere e degli
scambi, di alternare, in ritmi equilibrati, le emozioni e la tenerezza
di questi affetti profondi - amicizia, amore, nel caso di Heidegger -
con le riflessioni sulla propria e altrui opera, sul mondo e sul pensiero
del mondo, soprattutto l'angoscia per la Germania nelle lettere con Jaspers.
Così nello scambio con la grande amica, Mary McCarthy, che dice
di lei, dopo la sua morte: "A occhi chiusi, parlo con un fantasma
quanto mai vivente, che ha fatto di me la sua dimora". McCarthy è
la giovane amica con cui discute dei suoi libri, delle prese di posizione
politiche e spesso scomode, colei che curerà l'edizione dell'ultimo
libro La vita della mente, dopo la scomparsa della filosofa. Eppure si
cita dalle lettere un passaggio tra donne che situa il rapporto in quella
particolare competenza femminile a modulare, contemporaneamente, diversi
registri di relazione e comunicazione. Hanna vive a un certo momento la
sensazione che Mary si presenterà alla sua porta, poiché
da tempo sono lontane, arriva però un dono e lei scrive "ho
cambiato diversi vestiti per provarlo. E' semplicemente meraviglioso,
quasi troppo bello per farne un oggetto d'uso. Ma, sarebbe stato meglio
che tu fossi davvero apparsa davanti alla porta".
Ancora solo
poche righe, per nominare, soltanto nominare, alcuni altri (miei) percorsi
nel testo, scelti tra quei frammenti "che si impongono, ci riguardano".
Soprattutto ritrovo nella proposta del pensiero politico la necessità
e l'urgenza, nel contemporaneo, della crescita del soggetto morale, nei
tragitti tra verità non assolute, "Arendt non tramanda fondamenti,
evidenzia passaggi", nel formarsi del giudizio che "affronta
il mondo concretamente, senza criteri stabiliti, e senza giustificazioni",
nel pensiero della nascita e nell'azione, "dato che tutti noi veniamo
al mondo in virtù della nascita, in quanto nuovi nati e principianti
siamo in grado di dare inizio a qualcosa di nuovo (
) Agire e cominciare
non sono la stessa cosa, ma sono strettamente connesse". L'attività
politica per eccellenza, commenta Donatella, "corrisponde al modificare
e perciò all'iniziare".
Per arrivare, infine, a una definizione di filosofia, con le domande che,
da sempre, l'attraversano: chi è l'uomo in quanto essere politico?
cos'è la libertà? E l'autrice sceglie tra le parole della
filosofa e io scelgo tra le sue, "ogni individuo nella sua irripetibile
unicità, appare e conquista la sua identità nel discorso
e nell'azione", occorre dunque che si consumi "l'abbandono da
parte del filosofo della posizione di sapiente".
Ho percorso, così, a frammenti, tutto il testo, in realtà
ho reso evidenti solo alcuni dei fili che si sono tesi dentro di me. Di
altri, probabilmente, non so ancora.
Donatella
Bassanesi,
Anna Arendt pensare il presente
edizioni LUD, Milano 2006
Per richiedere il libro:
universitadelledonne@tin.it
9-
01- 07 |