In Argentina vince Cristina Kirchner da noi il
potere è ancora tutto maschile
Sinistra italiana, ma quanto sei maschilista!
di Ritanna Armeni
L’Argentina ha la
sua “primera presidenta”. Hillary Clinton vola nei sondaggi per la
presidenza degli Stati Uniti, Angela Merkel, cancelliera tedesca denuncia
la mancanza delle donne ai vertici della politica. Il mondo delle donne,
si muove, scalpita, chiede più potere, pretende che il sesso debole sia
rappresentato ai vertici dello Stato.
Ci ha provato qualche mese fa anche Ségolène Royal in Francia. Non ce l’ha fatta, ma è stata la prima donna a
superare il primo turno elettorale e ora vuole diventare segretaria del
partito socialista.
In India sono due donne Sonia Ghandi presidente del
partito del congresso e Pratibha Patil presidente della repubblica a
rappresentare quel grande e complesso paese. Michelle Bachelet guida da
due anni il Cile.
Le donne ci provano,
osano, a volte ce la fanno, qualche volta no, ma combattono. Qualche volta
sono gli uomini che capiscono che i tempi sono cambiati e danno un
impulso. Lo ha fatto Zapatero formando un esecutivo a metà femminile, lo
ha fatto Sarkozy con un consiglio dei ministri al 50 per cento di donne.
I
paesi nordici sono all’avanguardia nella presenza del secondo sesso al
governo e in Parlamento.
Ma anche il povero Rwanda ha il 48 per cento di presenza delle donne in
Parlamento e la Liberia ha eletto Ellen Johnson Sirleaf a capo dello
Stato.
Che sia giunta l’ora
delle donne? E’ troppo presto per dirlo. E’ presto per sperare che si stia
mettendo seriamente in discussione l’esclusione del secondo sesso dal
potere. Questa esclusione è troppo profonda e radicata.
Essa tocca i
fondamenti della nostra organizzazione sociale, politica e istituzionale
che si è costruita da sempre sul rifiuto strutturale e incontestabile
della presenza femminile.
«L’esclusione delle donne – ha scritto con parole chiare J. Habermas – è
stato un elemento costitutivo della sfera politica pubblica nel senso che
questa non è stata solo dominata dagli uomini in modo contingente, ma
determinata, nella sua struttura e nel suo rapporto con la sfera privata,
secondo un criterio sessuale.
In modo differente dall’esclusione degli
uomini discriminati quella delle donne gioca un ruolo costitutivo nella
formazione delle strutture della sfera pubblica. Insomma l’abbattimento di
questa discriminazione è un fatto talmente audace ed eversivo da
richiedere una nuova rivoluzione del pensiero e ancora del tempo».
Ma una cosa è
evidente già oggi. La rappresentazione dominante del potere, quell’immaginario
fortissimo per cui fra le donne e il potere c’è una antinomia così forte,
con radici così profonde da provocare quasi automaticamente una esclusione
del femminile, comincia ad essere scalfita.
Nel mondo. In Italia
ancora no e non si vede alcun segnale che vada in questa direzione. Sto
scrivendo questo articolo su un giornale diretto da un uomo, che fa
riferimento ad un partito il cui segretario è di sesso maschile, come i
presidenti dei tre gruppi parlamentari, come l’unico ministro, come il
Presidente della Camera.
Da questo giornale ho appreso che a Milano si è costituito un altro
partito, denominato “democratico” che ha un presidente, un segretario, un
vice segretario, un coordinatore e un tesoriere (più un presidente del
Consiglio e due vice) che sono tutti maschi.
So anche che si formerà un’altra formazione politica di sinistra, la “cosa
rossa”. Ne stanno discutendo i segretari di quattro partiti della sinistra
radicale, tutti uomini. Questo giornale, insieme agli altri, mi racconta
le vicende politiche di un paese in cui il presidente della Repubblica è
un uomo, i presidenti della Camera e del Senato sono due uomini, è
maschile l’80 per cento del governo cioè dei ministri e dei
sottosegretari.
Quanto al parlamento è bene sapere che l’Italia con le sue 109 deputate e
44 senatrici è al quarantottesimo posto nel mondo. Persino l’Afghanistan e
l’Iraq contano su una maggiore presenza femminile.
Alla faccia della
carta costituzionale - citata da destra e da sinistra, quando afferma che
tutti i cittadini hanno parità sociale senza distinzioni di sesso oltre
che di razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali
e sociali - le donne in Italia sono meno uguali degli uomini.
Ci
sarebbe naturalmente se non da arrossire almeno da riflettere nel
constatare la situazione italiana. Dovrebbero riflettere le donne,
naturalmente, per cercare di capire perché questo paese è così indietro. E
perché loro non sono capaci di osare di più, di provocare una rottura, di
dare un segnale. Ma dovrebbero pensarci anche tutti gli uomini che sono
così pronti a parlare di democrazia e di parità.
I sonni dei nostri politici invece rimangono tranquilli. Quanto avviene è
ritenuto naturale, ovvio. Le eccezioni sono gli altri, quei paesi in cui
nei modi più diversi le donne acquistano spazi e potere.
Da noi si vedrà.
Quando? Chissà. Va bene, dormano pure sonni tranquilli, ma non ci si
lamenti più, per piacere del distacco dei cittadini dalla politica.
Metà di quei cittadini sono donne. Per capire quel distacco basta a
guardare la foto di un gruppo di politici italiani: quasi tutti uomini,
vestiti di scuro, con un’aria seria e anche un po’ triste o con un sorriso
stereotipato.
E pensare poi alla società che incontrate in un parco in una bella
giornata di primavera o in una metropolitana nell’ora di punta: giovani,
anziani e tante, tante donne che lavorano studiano, si divertono.
Non è evidente che fra i rappresentanti e i rappresentati c’è un enorme
divario e che quegli uomini grigi sono soli e sempre meno rappresentativi?
A me sembra evidente. Ma io sono una donna.
Questo articolo è
uscito su
Liberazione
del 30 ottobre 2007 |