Da Repubblica dell' 8 Febbraio 2005


Le lotte, i libri, i gesti, i sogni di quei giorni che abbiamo vissuto


NATALIA ASPESI


Cindy Sherman


Storicizza storicizza, ma quando non si è più giovani è difficile non fare autobiografia, non tanto del passato, quanto del presente. Si ricorda, si riordina, si revisiona, ma con i pensieri e le delusioni, i pentimenti e i rimpianti accumulati sino a oggi; c´è chi rimugina, quanti amori stupidamente perduti, e chi riflette, con una visione meno angusta e più, scusate la parola, politica, su anni lontani, quelli della giovinezza di una generazione che voleva appassionatamente e ingenuamente cambiare il mondo o per lo meno un Italia che pareva, e forse era, orribile. Allora si faceva autocoscienza, oggi si fa autocritica.
Per esempio: le donne del movimento furono conniventi con la violenza dei maschi, compagni o fascisti, o per lo meno non usarono la loro femminilità, dedita per decisione maschile al bene, per frenarla? E ancora: nella lunga battaglia per sconfiggere l´orrore dell´aborto clandestino ed ottenere una legge che cancellasse il reato di aborto, le donne, sempre quelle del movimento, non furono forse "immature" o sventate, non dedicando, nelle fiamme della battaglia, sufficienti meditate riflessioni alle sofferenze del feto? Partendo dal saggio Noi e la violenza. Trent´anni per pensarci, pubblicato in questi giorni sulla rivista Genesis dalla storica Anna Bravo, si è scatenato il famoso dibattito, questa volta tutto femminile, impugnato da grandi signore che allora c´erano e lottavano, tutte dalla stessa parte ma anche in contrasto tra loro, come Miriam Mafai, Dacia Maraini, Luciana Castellina, che in vario modo hanno confutato la tesi di partenza. In generale, un sospiro di sollievo per l´autentico ritorno alle discussioni intelligenti, sofferte e impegnative, ormai sopraffatte da imperanti talk show televisivi, in cui le ragazze di oggi, bellissime e truccatissime, non avendo la minima idea di eventi drammatici vissuti dalle loro nonne e bisnonne, si accapigliano smodatamente e tappano violentemente la bocca a uomini indifesi (più di allora) su alti quesiti quali "le corna salvano il matrimonio?" oppure "meglio il tanga o la culotte"?
Come giornalista portata alla diffidenza verso ogni eccesso, io ero per professione soprattutto spettatrice di cortei e assemblee e lotte e scontri, ma il mio cuore era col movimento (parola oggi usata solo per accennare all´ondeggiare dei fianchi nel merengue e nel tip tap che sta tornando di moda) e, non avendo le idee chiare, parteggiavo con tutti i femminismi che il lavoro mi faceva incontrare, tra gli sghignazzi e le indignazioni dei colleghi uomini non ancora conquistati alla causa. Certo rimanevo perplessa, seppure ammirata e pure un po´ invidiosa, seguendo le studentesse di sociologia di Trento che facevano dura lotta politica per perdere la verginità, strumento di oppressione borghese, possibilmente con bei giovanotti rivoluzionari; leggendo delle donne americane che partorivano in ginocchio nei prati per far nascere piccini ecologici e contro le multinazionali ospedaliere; per non parlare delle nostre pioniere vaginali che invitavano le compagne terrorizzate a guardarsela con lo specchio tra le gambe per capirne la somma bellezza, o delle ragazze che sino a qualche mese prima spasimavano per Paul Newman e improvvisamente per militanza separatista si accasavano con una compagna: erano tempi in cui di gay si parlava poco, di lesbiche moltissimo, evidentemente perché le donne avevano più coraggio sessualpolitico degli uomini.
Quanto all´aborto, la mia biblioteca trabocca di sacri testi d´epoca, che mesi fa accumulandosi i libri nuovi anche in gabinetto, avevo pensato di buttare: e che invece temo tornino d´attualità, perché se persino le guerriere di allora cominciano a far revisionismo, non sulla legge ma comunque sugli stati d´animo e i pensieri che l´hanno voluta, non si sa dove si andrà a finire, con le brutte nuove facce furbacchione che ci sono in giro. A caso, tra decine di testi quasi mai letti: Aborto di stato: strage degli innocenti (1976), con allegata canzoncina: «Attenti padroni, siamo milioni, attento lo Stato, troppo a lungo ci ha sfruttato! ». «Il bambino non nato risponde» (Mamma mi senti?, 1975), Aborto, una battaglia di classe, militante! (1974), Gli anni di Erode, pauroso! (1975), testi sacri, da La sfida femminile (1971, addirittura!) di Elvira Banotti, che poi si vide con bandana combattere inascoltata in televisione, a Il reato di massa (1975) della buonissima Adele Faccio, bistrattata a causa del suo nasone, e persino arrestata per incitamento al crimine di aborto. Il besteller mondiale Noi e il nostro corpo, pubblicato negli Stati Uniti nel 1971, tradotto da Feltrinelli nel ?74, con un capitolo sull´aborto in Italia: Codice Rocco del 1930, Dei delitti contro l´integrità e la sanità della stirpe, art. 548: la donna che si procura l´aborto è punita con la reclusione da 1 a 4 anni; art. 551, causa d´onore, le pene stabilite sono diminuite dalla metà ai due terzi. Stirpe e onore, e sul feto neppure una parola. Ci pensarono, a scoprirlo e a usarlo come una maledizione, un bazooka, un´apocalisse, tutte quelle forze ecclesiastiche, cattoliche, politiche, misogene, che volevano proteggerlo contro le assassine per nascita, temperamento e scelta, le donne.
L´incongruenza stava nel fatto che quel bambino mai nato cui Oriana Fallaci aveva scritto una sua celebre e ovviamente furibonda Lettera, pareva aver diritto alla vita solo nel caso di eventuale depenalizzazione del reato di aborto: se no, clandestino l´aborto, clandestino il feto. La difesa a oltranza della criminalizzazione dell´aborto e quindi dell´aborto clandestino, sembrava servire non a difendere il diritto alla vita del concepito ma a impedire il diritto all´autodeterminazione, alla salute e alla libertà delle donne. Insomma, una faccenda losca, e quello sbandierare persino nelle scuole da parte di certi assatanati crociati, sanguinolenti filmini su pratiche abortive, fu di una crudeltà e violenza insostenibili. Le femministe e l´Italia laica e ragionevole lottavano perché quella moltitudine silenziosa di donne che da secoli e in amara solitudine doveva ricorrere all´aborto clandestino, non fosse più considerata criminale e rischiasse la vita; che la contraccezione non venisse più demonizzata o negata; che gli uomini la smettessero di lavarsi le mani da un evento, le conseguenze di un atto sessuale, un bambino o un aborto, di cui spesso non si sentivano corresponsabili.
Le donne che abortivano ci pensavano eccome al bambino che si negavano, a quella vita che interrompevano, e sapevano che il dolore, il senso di colpa, di mutilazione non le avrebbe mai abbandonate. Ma se in quegli anni, in quelle battaglie, anche loro, come rimprovera oggi Anna Bravo, non solo gli oltranzisti antilegalizzazione, avessero cominciato a torturarsi pubblicamente e non solo dentro di sé, cosa sarebbe successo? Ma più in generale: furono violente le donne dei movimenti, o meglio di certi movimenti? Se lo furono, la domanda è, perché non avrebbero dovuto esserlo, in anni di violenza generalizzata, di Stato, poliziesca, studentesca, gruppuscolara, brigatista, terrorista, a sinistra e a destra? Le donne uscivano da secoli di silenzio e sudditanza, scoprivano se stesse e i propri diritti, constatavano che anche i famosi compagni che lottavano per la classe operaia neanche ci pensavano che pure le donne erano state oppresse: al massimo, da angeli del focolare potevano diventare angeli del ciclostile, comunque sempre a servire, e in tema di libertà, che si godessero quella sessuale, che in fondo faceva comodo a tutti. Tra i nemici e gli amici, francamente, non arrabbiarsi era molto, molto difficile e comportarsi secondo le leggi di una femminilità che le donne non si erano scelte, sarebbe stato forse impossibile. La felicità era anche abbattere certe squisitezze e delicatezze e tenerezze che poi nella storia molto spesso le donne non avevano rispettato e per questo dalla storia erano state cancellate. Artiste, mistiche, filosofe, esploratrici, erboriste, mediche, condottiere, ribelli, streghe che le nuove streghe riscoprivano, antenate che servivano ad avere coraggio, a chiedere, anche poco femminilmente, per avere.