Sulle tracce dell'assenza
di Alessandra Allegrini

 


Berthe Morisot

Le donne sono storicamente assenti dai luoghi, dai gruppi di persone, dagli ambiti sociali che hanno consentito lungo i secoli la formazione del pensiero occidentale. Raccontare la loro storia significa allora seguire le tracce di questa assenza, cercando di rispondere a una domanda: cosa facevano le donne, o cosa non facevano nell'impresa scientifica? In che misura ne sono state assenti? E per quali ragioni?
Per lungo tempo queste domande non hanno trovato risposte adeguate, perché la presenza femminile nella storia occidentale è stata naturalmente, tacitamente o esplicitamente, considerata marginale: confinata all'interno delle mura domestiche secondo una marcata divisione tra il mondo maschile produttivo (pubblico) e quello femminile riproduttivo (privato). Quando le donne compaiono sulla scena del sapere pubblico, più spesso come oggetto di studio che come soggetto di sapere, le loro storie sono in ogni caso raccontate dagli uomini. Come la storia degli altri saperi,anche la storia della scienza è un racconto di uomini, sulla base di archivi raccolti da uomini, quasi sempre con oggetto fatti che hanno riguardato uomini. Peraltro, la storia della scienza esclude le donne a partire da un "bias" (pregiudizio) ulteriore: la scienza, e ancor prima la filosofia, si è costruita nei secoli secondo un modello di fatto maschile, in cui l'accesso delle donne e del femminile è precluso per definizione.

1. Come raccontare la storia
In molte occasioni, questa storia è stata tracciata ricordando la loro presenza sporadica all'interno dei meccanismi sociali e culturali che danno vita al sapere in generale e a quello scientifico in particolare, attraverso le narrazioni di vite e opere di singolari donne d'eccezione. Intellettuali che si sono distinte dalle altre, quella maggioranza di donne escluse dell'educazione, dal sapere e dalla vita pubblica. Se questa scelta produce tante storie avulse dal proprio contesto storico-culturale-sociale, tuttavia, si traduce in un'operazione superflua. Per di più noiosa, se raccontata con l'enfasi sul vittimismo o dell'esclusione, o concentrandosi sugli aspetti tristi di queste condizioni femminili, come per esempio l'umiliazione dei numerosi mascheramenti maschili. Queste storie di donne eroine si traducono facilmente in una carrellata di personaggi bizzarri. Non solo lontani dal mondo femminile del loro tempo, ma anche omologati all'immagine che le cronache e la letteratura hanno dato di loro nel tempo: quella di donne inconsapevoli di agire e di pensare all'interno di meccanismi- quelli della società e della scienza - "sessuati al maschile". In altre occasioni, la storia delle donne nella scienza ha raccontato la storia di quel "sapere femminile" tradizionalmente considerato come "la scienza delle donne". E' questo il caso dell'ostetricia, dell'erboristeria, dell'alchimia, della chimica e dell'entomologia in cui saperi perduti, tradizionalmente femminili, si sono contrapposti ai saperi maschili, luoghi primi di potere. Questo tipo di orientamento ha favorito, e tutt'ora favorisce, non solo la ghettizzazione delle donne fuori dai luoghi di potere della scienza, ma induce anche a pensare che esista in qualche modo una "scienza femminile" differente (per natura?) dalla "scienza maschile". Un modo questo di intendere il rapporto tra i generi stereotipato e essenzialistico. Meglio allora raccontare questa storia in un altro modo. Rintracciando le origini dell'assenza delle donne dalla produzione del sapere e cercando di comprenderne le ragioni. Si tratta cioè di andare a guardare e descrivere quei luoghi della conoscenza che nel corso dei secoli hanno tenuto lontane le donne, sancendone l'esclusione. In questi contesti, che mutano al mutare del tempo, quelle rare presenze femminili potranno acquisire spessore contestuale e potranno essere meglio comprese. Solo attraverso questa rilettura è possibile svelare le origini della sessuazione della scienza moderna.

2. Le tappe dell'assenza
Alcuni momenti hanno sancito più di altri l'esclusione delle donne dall'impresa scientifica. Si tratta di momenti di passaggio, momenti chiave che rivelano più di altri l'attiva cancellazione delle donne dal sapere razionale da parte degli uomini. Momenti in cui è evidente come nel suo progressivo costituirsi la conoscenza filosofica e scientifica abbia definito sé stessa come neutrale, astratta e universale eppure, contemporaneamente, "maschile" per natura e per dato di fatto. Qui ci si sofferma su tre tappe principali della storia dell'assenza delle donne - l'epoca classica, il Medioevo e il XVII secolo - anche se il primo allontanamento delle donne dalla scienza si può collocare molto più indietro nel tempo, nella preistoria, durante il passaggio dal paleolitico al neolitico. E' in questa fase che si assiste a un progressivo distaccamento della specie umana dall'ambiente di vita, ovvero alla sua progressiva tecnicizzazione, e, allo stesso tempo, al progressivo allontanamento delle donne dall'impresa della conoscenza. Ma questa è una storia dai confini ancora sfumati, sulla quale antropologhe e paleontologhe statunitensi stanno da tempo lavorando. Ben più documentata, più nota e più facile da raccontare è la storia del primo e visibile atto di cancellazione delle donne nella storia del pensiero scientifico: quello che in epoca classica ha costruito l'edificio razionale della filosofia confinando le donne al di fuori del pensiero razionale in quanto "inferiori per natura". Una progressiva cancellazione femminile che, passando per il Medioevo, raggiunge il suo culmine nell'epoca della Rivoluzione Scientifica. La scissione cartesiana tra mente e corpo del '600 preannuncia nei fatti la separazione tra sfera pubblica dell'intelletto e sfera privata della riproduzione biologica che verrà radicalizzata e normalizzata nel '700 e nell''800, in particolare a partire da un evento storico di grande portata come la Rivoluzione Francese (1789). Come vedremo, in tutte le tappe storiche (e non solo in queste fondamentali qui considerate) si contano sempre le eccezioni. La storia dell'assenza delle donne nella scienza è sempre intrecciata con la storia della loro presenza che più spesso è la storia della resistenza, della perseveranza o dell'adattamento di ricche donne erudite in un contesto che le vuole ufficialmente assenti.

2.1 L'epoca classica
Il primo visibile atto di cancellazione delle donne nella storia della formazione del moderno sapere scientifico avviene nell'epoca classica quando la filosofia, costruzione razionale - ideale e logica - del sapere sul mondo, definisce l'esclusione delle donne nei termini di principi normativi e astratti, in quanto "inferiori" per natura agli uomini. E la filosofia classica è il primo atto di nascita della scienza occidentale e del suo metodo. Aristotele per primo definisce il principio femminile come materia inerte e passiva, il principio maschile come forma attiva. Per Aristotele, il confronto tra "il maschio e la femmina" è tale che "l'uno si mostra superiore, l'altra inferiore, l'uno quindi fatto per comandare, l'altra per obbedire" perché "(...) la femmina è come un maschio menomato (paperomenon) e le mestruazioni sono seme, ma non puro. Di una cosa soltanto dunque mancano: del principio dell'anima" (Aristotele, Politica, 1254b).
Aristotele rappresenta dunque una tappa decisiva nella concettualizzazione delle donne come "inferiori per natura" agli uomini. Da tempo le donne sono subordinate agli uomini, ma solo con Aristotele la loro condizione viene razionalizzata e spiegata in base a principi astratti per i quali le donne sono sì considerate esseri umani ma mancanti di valore, insufficienti, quali parti dell'essere intero e perfetto che è maschio (DuBois, 1990). Nella teoria degli umori aristotelica-galenica la donna è vista come una creatura unica, sessuale e morale, differente e inferiore all'uomo. La sua inferiorità, quale uomo imperfetto, mancante, dipende dalla sua temperatura, inferiore a quella maschile. Una concezione che si contestualizza nella visione cosmologica del tempo per la quale il fuoco insieme all'aria, l'acqua, la terra costituiscono i quattro elementi della sfera terrestre. Come il cosmo, anche il corpo umano è composto da quattro umori corrispondenti ai quattro elementi cosmologici. Elementi concepiti come tra loro contrapposti e gerarchicamente organizzati dei quali la temperatura è caratteristica essenziale e alla quale si associa la differenza di genere, maschile e femminile. In altre parole, le differenze tra i due sessi sono il riflesso dell'insieme dei principi dualistici che penetrano tanto il cosmo quanto i corpi di uomini e donne. Come nel cosmo, la natura della terra è femminile mentre il sole è maschile, così nel corpo umano il maschile, principio attivo, è causa di movimento, quello femminile, in quanto passivo, oggetto di movimento. A livello anatomico, è sempre la temperatura a determinare il sesso dando forma ai genitali maschili e femminili (Llyoid, 1970). Dai tempi di Galeno (I secolo d.C) fino al 1500, gli organi sessuali della donna sono gli stessi di quelli maschili, con un'unica differenza rispetto all'uomo: che quelli femminili si trovano all'interno del corpo. Nemmeno l'utero costituisce una differenza. Per Galeno il collo dell'utero è un pene rovesciato all'interno, la sua parte finale lo scroto invertito. A parità di organi, il fatto che quelli femminili siano nascosti all'interno rende le donne come uomini "mutilati". Di nuovo queste differenze sono determinate dalla variazione di temperatura. Semplicemente le donne mancano della temperatura necessaria a spingere all'esterno i loro organi. Per Galeno la parte più nobile del corpo umano non è né la mente né il cuore, bensì i testicoli, per il loro ruolo nel cuocere il sangue. Nella medicina antica, all'interno dell'analogia tra lo sviluppo dell'embrione e la cottura, è il seme maschile che infonde calore al freddo corpo-ricettacolo femminile, materia passiva che si può dare vita all'embrione grazie al principio di calore maschile. Tra i medici ippocratici, che riconoscono che ogni individuo sessuato, maschio o femmina, porta con sé un seme identico o androgino, la parte femminile di questa sostanza seminale è in sé, per una qualità intrinseca, meno forte della parte maschile (Llyoid, 1979 e 1983; Schiebinger, 1989; Sissa, 1990).

2.2 Il Medioevo
Nel Medioevo, durante la fase di transizione dal mondo antico all'Europa cattolica, la Chiesa e la dottrina scolastica continuano l'azione inaugurata da Aristotele e costruiscono l'edificio del sapere senza le donne: accanto ai conventi e alle abbazie, le università sono mondi senza le donne, le quali dovranno aspettare sei - sette secoli prima di poter studiare come gli uomini nelle università, nei centri di ricerca e nelle accademie, attorno alla metà dell'800. Le moderne istituzioni scientifiche hanno le loro radici nel mondo medievale in particolare nelle università e i monasteri d'Europa. Dal medioevo alle società moderne, la storia delle donne è stata una storia di esclusione da queste istituzioni. D'altra parte, in un contesto storico in cui la Chiesa ha il monopolio dell'educazione a partire dal VI secolo fino all'XI secolo, le donne avevano ancora la possibilità di studiare all'interno dei conventi. Figlie di signori feudali, senza terra o eredità, prendevano i voti nei monasteri acquisendo potere temporale e spirituale. La vita clericale era una via rispettabile verso il potere sia per gli uomini che per le donne. Tra queste, alcune divennero noti punti di riferimento tra i sapienti del tempo, come la poetessa e insegnante Santa Radegonda, dell'abbazia di Poitiers, e Ildegarda di Bingen, la nota studiosa e autrice di medicina, storia naturale e cosmologia (Schiebinger, 1989). A partire dal XII secolo fino al XV secolo le università prendono gradualmente il posto dei conventi e delle abbazie. E questo cambiamento rappresenta un declino delle opportunità per le donne di accesso al sapere. In Inghilterra, la chiusura di conventi rappresentò la perdita di un ruolo centrale spirituale e intellettuale che fino a quel momento le donne detenevano: Enrico VIII si appropria delle terre ecclesiastiche e inizia a utilizzare parte dei monasteri per costruire un sistema universitario che fino al '500 sarà in continua espansione. Anche le terre e le abbazie delle suore di Santa Radegonda, un importante centro per l'educazione femminile, furono trasferite al "Jesus College", a Cambridge. Se i conventi rappresentavano una pari opportunità per uomini e donne di studiare, le università, che preparavano giovani uomini al governo della città o al governo ecclesiastico attraverso lo studio della teologia, della medicina e della legge, erano un mondo chiuso alle donne. Un'esclusione che continuerà nelle università riformate del XVI secolo. Nel processo di formazione dei nuovi stati-nazioni, le università erano il luogo di espansione delle burocrazie e di impegno civile sempre più necessario. In Inghilterra, questi due aspetti, il servizio allo stato e l'educazione, sono stati nel tempo determinanti per dare forma a quella che è stata definita la "rivoluzione nell'educazione" che ha coinvolto sempre più uomini della classe media. Una rivoluzione che però non venne estesa alle donne, a qualsiasi rango sociale appartenessero. Come in ogni altro periodo della storia, le eccezioni si contano sempre. Un piccolo numero di donne poterono studiare e insegnare alle università a partire dal XII secolo. Eccezioni che si collocano soprattutto in Italia. All'Università di Bologna, nel 1296 Bettisia Gozzadini insegnava legge all'Università di Bologna, mentre nel '300 Novella D'Andrea prendeva il posto del padre defunto professore di legge canonica, insegnando da dietro una tenda per non distrarre gli studenti con la sua straordinaria bellezza. In Italia è un fenomeno alquanto singolare il fatto che alcune donne, se pur in situazioni piuttosto eccezionali, continuarono a studiare e a insegnare nelle chiese e nelle università, come vedremo, anche in seguito, tra il '500 e il '700. L'apertura delle università alle donne avviene per la prima volta a Zurigo nel 1867 e successivamente nel resto d'Europa. Prima di allora solo con rare eccezioni le donne potevano studiare nelle università. Questo avveniva nel 600 in Italia, dove la nobile veneziana Elena Corsaro Piscopia fu la prima al mondo ad ottenere una laurea, all'Università di Padova, in Filosofia nel 1678. Dopo di lei Laura Bassi in Fisica all'Università di Bologna nel 1732 e Anna Morandi-Manzolini in Medicina nel 1760.

2.3 Il XVII secolo
Nel '600 il consolidamento del pensiero scientifico e del suo metodo radicalizzano progressivamente la cancellazione femminile, già da tempo avviata. Una cancellazione che diventa nel tempo ambigua, contraddittoria e paradossale: nel XVII secolo la presenza delle donne nel mondo del sapere (da quello di moda dei salotti francesi in cui le donne erano ospiti letterate gradite a quello ufficiale delle accademie in cui donne erudite si distinguono come rare eccezioni dalla maggioranza) viene legittimata e insieme negata, riconosciuta e allo stesso tempo distanziata. Nulla di fatto impediva alle donne di scrivere, studiare e pubblicare. A un'unica condizione: che il loro studio non avvenisse per passione e volontà di conoscere, quanto derivante da una forma di apprendimento involontario (Dulong, 1986). Già nelle corti principesche del '500 rinascimentale donne potenti e di nobile origine occupavano posti di potere e in quanto regine, duchesse e signore potevano partecipare al mondo dell'arte, della letteratura, della poesia e della filosofia accanto agli uomini, gli umanisti del tempo. Nel Medioevo l'educazione, monopolio della chiesa, era confinata allo studio contemplativo all'interno dei monasteri e delle università e non aveva alcun status di prestigio sociale-economico: i gentiluomini del tempo si arrogavano ben altri privilegi, come le armi, la caccia, il riposo, il cibo e il vino. Diversamente, all'inizio del XVI secolo, l'apprendimento, lo studio e l'educazione diventavano parte importante della cultura aristocratica e dello stile di vita dei signori di corte. L'invenzione della stampa nel 1450 fu sicuramente un fattore importante nel plasmare una cultura in cui il sapere trovava un nuovo posto tra le virtù sociali, nel momento in cui, nel passaggio dai regimi feudali alle raffinate corti rinascimentali, l'aristocrazia smetteva di essere una classe solamente militare e diventava anche una classe intellettuale. Si andava delineando uno stile culturale "femminilizzato", quello delle arti e delle lettere dell'umanesimo e del rinascimento, che fioriva accanto e parallelamente a quello "mascolino" delle armi, del governo e delle arti materiali. Due culture, come raccontava a quel tempo Baldassarre Castiglione nel Cortigiano, che coesistevano nelle corti rinascimentali italiane. Umanisti e signore di corte, come fu per esempio la Duchessa Elisabetta Gonzaga di Urbino, godevano del loro tempo libero intrattenendosi in conversazioni intellettuali e piacevoli discussioni. Si trattava ovviamente di una situazione privilegiata e esclusiva per donne di elevato rango sociale: in assenza del marito, la duchessa di Urbino era superiore a ogni altro uomo. E questo accadeva in un contesto culturale in cui l'attività intellettuale e erudita era considerata principalmente una forma di piacere, ben distinta dagli affari di stato cui le donne non avevano accesso. Peraltro, le limitazioni per queste nobili donne non mancavano: nonostante la loro libera partecipazione a discussioni e conversazioni intellettuali, signore e duchesse dovevano comunque rispettare alcune regole, per esempio quelle per cui solo gli uomini di corte avevano il privilegio di rispondere alle domande e elaborare contenuti. Alle donne, anche se nobili e acculturate, rimaneva solo il piacere di formularle. Nel corso del '600 prosegue, con tutte le sue limitazioni e ambiguità, questa accettazione delle donne nei luoghi di sapere. Come accennato, nella tradizione mondana dei salotti francesi degli uomini le donne erano ospiti gradite e piacevoli intrattenitrici di conversazioni letterarie e disquisizioni filosofiche. E tra loro alcune erano veramente erudite: donne potenti e singolari che alimentano primi focolai di sapere femminile. Donne intellettuali e mondane, come Lady Montagnu, Margaret Cavendish, Anne Conway, oppure l'italiana Elena Cornaro sono celebri figure storiche che si distinguono nella storia del sapere occidentale. Nei salotti di Madame Geoffrin, Madame Helvetius e Madame Rochefoucauld le discussioni di scienza erano allora di moda. In quello stesso tempo, Madame Lavoiseir riceveva a casa numerosi accademici. I salotti parigini arricchivano le disquisizioni scientifiche di piacevole convivialità secondo un'armonia tra saperi umanistici e saperi scientifici che col tempo si sarebbe persa.

Ma i salotti non sono l'unico luogo di scienza.
Verso la metà del '600 la fondazione delle accademie scientifiche - la Royal Society di Londra nel 1662, l'Academie Royale des Sciences nel 1666 a Parigi - rappresenta un passo decisivo nel percorso di formazione e professionalizzazione della scienza moderna. Le donne ne sono escluse in modo ufficiale. Le accademie, che inizialmente avevano lo stesso carattere "umanista" di piacevole intrattenimento comune ai salotti, professionalizzandosi sanciscono con decisione l'esclusione delle donne erudite, definendo allo stesso tempo la separazione tra lettere e scienze. E' questo il momento di massima legittimazione della nuova scienza che, dal suo debutto ufficiale nasce senza le donne. In altre parole, proporzionalmente all'aumento del prestigio della scienza, decresce la possibilità delle donne di prenderne parte. Nel '700 e nell'800 l'esclusione sarà formalizzata e sempre più condivisa a livello sociale. La medicina avrà un ruolo fondamentale nel fornire supporto naturale e scientifico a questa marginalizzazione. Attorno alla Rivoluzione Francese, gli anatomisti del tempo forniranno una visione della "biologia come destino umano" per uomini e donne offrendo una giustificazione naturale e scientifica a un ordine politico e sociale sempre più imperniato sulla divisione dei ruoli sociali in base alla differenza di genere. Nessuna donna prima del 1945 verrà ammessa come membro ufficiale della Royal Society di Londra. Le prime in quell'anno saranno Kathleen Lonsdale e Maryory Stephenson. In una situazione di esclusione formalizzata, di nuovo l'Italia presenta curiose eccezioni che perdurano fino al '700. Le accademie italiane a Bologna, Padova e Roma accettavano donne tra i loro membri. Le francesi Madeleine de Scudery nel XVII secolo e Emilie du Chatelet nel XVIII secolo respinte dall'accademia francese furono membri onorati dell'accademie italiane. La matematica Maria Agnesi eletta membro dell'Accademia di Scienza di Bologna nel 1747, le cui opere furono tradotte in francese non fu invitata all'accademia parigina. (Si veda il capitolo sulla Medicina e studi clinici nella terza parte della tesi, in particolare il paragrafo Cenni storici)

3. Un apparente paradosso
La storia, qui brevemente tracciata, dell'esclusione delle donne dai luoghi del sapere pubblico che, come abbiamo visto, presenta aspetti ambigui e paradossali è anche la storia della presenza delle donne nelle sfere pubbliche dei diritti civili e politici. Per comprendere il senso di questo paradosso che intreccia presenza e assenza delle donne nei luoghi del sapere è utile guardare al più ampio contesto storico di riferimento e osservare come il XVII secolo sia uno spartiacque centrale nella storia dell'assenza delle donne nella sfera pubblica civile e politica. Alcune storiche hanno messo in luce come già nel '600 si rintracciano i primi segni di un legame duraturo, un nesso strettissimo e di lunga durata tra "femminismo e democrazia", descritto dalla "necessità per il primo di ridefinire la seconda" (Rossi Doria, 1993). Il principio di uguaglianza universale, come quello che sarà postulato nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, assumerà l'idea di un'uguaglianza universale astratta che non troverà riscontro nella realtà politica e civile da dove le donne verranno escluse per molto tempo ancora (Groppi, 1993). Sarà in questo contesto, quello della Rivoluzione Francese, che le donne inizieranno a denunciare l'anomalia prodotta dall'affermazione di "un'eguaglianza esclusiva che poco si cura di attuare l'eguaglianza tra i sessi" (Fraisse, 1984). In questa fase storica rivoluzionaria, definita non a caso come "primo femminismo", in cui le donne si opporranno apertamente a questa democrazia formale e astratta, compariranno scritti importanti come La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina redatta nel 1791 dalla cittadina francese Olympe de Gouges oppure la Vendication of Rights of Women scritta dall'inglese Mary Wollstonecraft nel 1792. Ma già nel '600 si avvertono i segni di questa contestazione e del nesso duraturo tra "femminismo e democrazia", quando compaiono due importanti scritti sui diritti delle donne: in Francia, nel 1622 Marie de Gournay scrive Egalitè des hommes et des femmes e in Inghilterra nel 1694 Mary Astel scrive A Serious Proposal for the Ladies. Come hanno messo in luce Genevieve Fraisse (1984), Anna Rossi Doria (1993) e Maria Diurisi (1975) questi primi testi si inseriscono con un certo anticipo nella cornice generale della rivoluzione borghese, illuminista e industriale della Francia e dell'Inghilterra, paesi cruciali nelle tappe storiche della definizione del moderno concetto di individuo. E' in questo vasto contesto di cambiamento verso le moderne società occidentali che dobbiamo leggere la visibile anomalia della presenza delle donne nelle sfere della conoscenza: accettate in linea di principio, ma escluse nei fatti. Con la fondazione delle accademie, a partire dalla seconda metà del '600, ben presto la scienza diventa politica, nel momento in cui l'economia, con la rivoluzione industriale, inizia a basare il suo potere sulle applicazioni e i risultati della scienza, cioè la tecnologia. Quelle poche donne che continueranno a occuparsi di scienza, saranno costrette a mascherarsi (come Emile du Chatelet) a nascondersi dietro padri e mariti (come Maria Gaetana Agnesi o Marie Lavoisier), a inventare con l'astuzia e la tenacia strade per sopravvivere (come Sophie Germaine).


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15-11-2005