Sulle
tracce dell'assenza
di Alessandra Allegrini
Berthe Morisot
Le donne
sono storicamente assenti dai luoghi, dai gruppi di persone, dagli ambiti
sociali che hanno consentito lungo i secoli la formazione del pensiero
occidentale. Raccontare la loro storia significa allora seguire le tracce
di questa assenza, cercando di rispondere a una domanda: cosa facevano
le donne, o cosa non facevano nell'impresa scientifica? In che misura
ne sono state assenti? E per quali ragioni?
Per lungo tempo queste domande non hanno trovato risposte adeguate, perché
la presenza femminile nella storia occidentale è stata naturalmente,
tacitamente o esplicitamente, considerata marginale: confinata all'interno
delle mura domestiche secondo una marcata divisione tra il mondo maschile
produttivo (pubblico) e quello femminile riproduttivo (privato). Quando
le donne compaiono sulla scena del sapere pubblico, più spesso
come oggetto di studio che come soggetto di sapere, le loro storie sono
in ogni caso raccontate dagli uomini. Come la storia degli altri saperi,anche
la storia della scienza è un racconto di uomini, sulla base di
archivi raccolti da uomini, quasi sempre con oggetto fatti che hanno riguardato
uomini. Peraltro, la storia della scienza esclude le donne a partire da
un "bias" (pregiudizio) ulteriore: la scienza, e ancor prima
la filosofia, si è costruita nei secoli secondo un modello di fatto
maschile, in cui l'accesso delle donne e del femminile è precluso
per definizione.
1. Come
raccontare la storia
In molte occasioni, questa storia è stata tracciata ricordando
la loro presenza sporadica all'interno dei meccanismi sociali e culturali
che danno vita al sapere in generale e a quello scientifico in particolare,
attraverso le narrazioni di vite e opere di singolari donne d'eccezione.
Intellettuali che si sono distinte dalle altre, quella maggioranza di
donne escluse dell'educazione, dal sapere e dalla vita pubblica. Se questa
scelta produce tante storie avulse dal proprio contesto storico-culturale-sociale,
tuttavia, si traduce in un'operazione superflua. Per di più noiosa,
se raccontata con l'enfasi sul vittimismo o dell'esclusione, o concentrandosi
sugli aspetti tristi di queste condizioni femminili, come per esempio
l'umiliazione dei numerosi mascheramenti maschili. Queste storie di donne
eroine si traducono facilmente in una carrellata di personaggi bizzarri.
Non solo lontani dal mondo femminile del loro tempo, ma anche omologati
all'immagine che le cronache e la letteratura hanno dato di loro nel tempo:
quella di donne inconsapevoli di agire e di pensare all'interno di meccanismi-
quelli della società e della scienza - "sessuati al maschile".
In altre occasioni, la storia delle donne nella scienza ha raccontato
la storia di quel "sapere femminile" tradizionalmente considerato
come "la scienza delle donne". E' questo il caso dell'ostetricia,
dell'erboristeria, dell'alchimia, della chimica e dell'entomologia in
cui saperi perduti, tradizionalmente femminili, si sono contrapposti ai
saperi maschili, luoghi primi di potere. Questo tipo di orientamento ha
favorito, e tutt'ora favorisce, non solo la ghettizzazione delle donne
fuori dai luoghi di potere della scienza, ma induce anche a pensare che
esista in qualche modo una "scienza femminile" differente (per
natura?) dalla "scienza maschile". Un modo questo di intendere
il rapporto tra i generi stereotipato e essenzialistico. Meglio allora
raccontare questa storia in un altro modo. Rintracciando le origini dell'assenza
delle donne dalla produzione del sapere e cercando di comprenderne le
ragioni. Si tratta cioè di andare a guardare e descrivere quei
luoghi della conoscenza che nel corso dei secoli hanno tenuto lontane
le donne, sancendone l'esclusione. In questi contesti, che mutano al mutare
del tempo, quelle rare presenze femminili potranno acquisire spessore
contestuale e potranno essere meglio comprese. Solo attraverso questa
rilettura è possibile svelare le origini della sessuazione della
scienza moderna.
2. Le
tappe dell'assenza
Alcuni momenti hanno sancito più di altri l'esclusione delle donne
dall'impresa scientifica. Si tratta di momenti di passaggio, momenti chiave
che rivelano più di altri l'attiva cancellazione delle donne dal
sapere razionale da parte degli uomini. Momenti in cui è evidente
come nel suo progressivo costituirsi la conoscenza filosofica e scientifica
abbia definito sé stessa come neutrale, astratta e universale eppure,
contemporaneamente, "maschile" per natura e per dato di fatto.
Qui ci si sofferma su tre tappe principali della storia dell'assenza delle
donne - l'epoca classica, il Medioevo e il XVII secolo - anche se il primo
allontanamento delle donne dalla scienza si può collocare molto
più indietro nel tempo, nella preistoria, durante il passaggio
dal paleolitico al neolitico. E' in questa fase che si assiste a un progressivo
distaccamento della specie umana dall'ambiente di vita, ovvero alla sua
progressiva tecnicizzazione, e, allo stesso tempo, al progressivo allontanamento
delle donne dall'impresa della conoscenza. Ma questa è una storia
dai confini ancora sfumati, sulla quale antropologhe e paleontologhe statunitensi
stanno da tempo lavorando. Ben più documentata, più nota
e più facile da raccontare è la storia del primo e visibile
atto di cancellazione delle donne nella storia del pensiero scientifico:
quello che in epoca classica ha costruito l'edificio razionale della filosofia
confinando le donne al di fuori del pensiero razionale in quanto "inferiori
per natura". Una progressiva cancellazione femminile che, passando
per il Medioevo, raggiunge il suo culmine nell'epoca della Rivoluzione
Scientifica. La scissione cartesiana tra mente e corpo del '600 preannuncia
nei fatti la separazione tra sfera pubblica dell'intelletto e sfera privata
della riproduzione biologica che verrà radicalizzata e normalizzata
nel '700 e nell''800, in particolare a partire da un evento storico di
grande portata come la Rivoluzione Francese (1789). Come vedremo, in tutte
le tappe storiche (e non solo in queste fondamentali qui considerate)
si contano sempre le eccezioni. La storia dell'assenza delle donne nella
scienza è sempre intrecciata con la storia della loro presenza
che più spesso è la storia della resistenza, della perseveranza
o dell'adattamento di ricche donne erudite in un contesto che le vuole
ufficialmente assenti.
2.1 L'epoca
classica
Il primo visibile atto di cancellazione delle donne nella storia della
formazione del moderno sapere scientifico avviene nell'epoca classica
quando la filosofia, costruzione razionale - ideale e logica - del sapere
sul mondo, definisce l'esclusione delle donne nei termini di principi
normativi e astratti, in quanto "inferiori" per natura agli
uomini. E la filosofia classica è il primo atto di nascita della
scienza occidentale e del suo metodo. Aristotele per primo definisce il
principio femminile come materia inerte e passiva, il principio maschile
come forma attiva. Per Aristotele, il confronto tra "il maschio e
la femmina" è tale che "l'uno si mostra superiore, l'altra
inferiore, l'uno quindi fatto per comandare, l'altra per obbedire"
perché "(...) la femmina è come un maschio menomato
(paperomenon) e le mestruazioni sono seme, ma non puro. Di una cosa soltanto
dunque mancano: del principio dell'anima" (Aristotele, Politica,
1254b).
Aristotele rappresenta dunque una tappa decisiva nella concettualizzazione
delle donne come "inferiori per natura" agli uomini. Da tempo
le donne sono subordinate agli uomini, ma solo con Aristotele la loro
condizione viene razionalizzata e spiegata in base a principi astratti
per i quali le donne sono sì considerate esseri umani ma mancanti
di valore, insufficienti, quali parti dell'essere intero e perfetto che
è maschio (DuBois, 1990). Nella teoria degli umori aristotelica-galenica
la donna è vista come una creatura unica, sessuale e morale, differente
e inferiore all'uomo. La sua inferiorità, quale uomo imperfetto,
mancante, dipende dalla sua temperatura, inferiore a quella maschile.
Una concezione che si contestualizza nella visione cosmologica del tempo
per la quale il fuoco insieme all'aria, l'acqua, la terra costituiscono
i quattro elementi della sfera terrestre. Come il cosmo, anche il corpo
umano è composto da quattro umori corrispondenti ai quattro elementi
cosmologici. Elementi concepiti come tra loro contrapposti e gerarchicamente
organizzati dei quali la temperatura è caratteristica essenziale
e alla quale si associa la differenza di genere, maschile e femminile.
In altre parole, le differenze tra i due sessi sono il riflesso dell'insieme
dei principi dualistici che penetrano tanto il cosmo quanto i corpi di
uomini e donne. Come nel cosmo, la natura della terra è femminile
mentre il sole è maschile, così nel corpo umano il maschile,
principio attivo, è causa di movimento, quello femminile, in quanto
passivo, oggetto di movimento. A livello anatomico, è sempre la
temperatura a determinare il sesso dando forma ai genitali maschili e
femminili (Llyoid, 1970). Dai tempi di Galeno (I secolo d.C) fino al 1500,
gli organi sessuali della donna sono gli stessi di quelli maschili, con
un'unica differenza rispetto all'uomo: che quelli femminili si trovano
all'interno del corpo. Nemmeno l'utero costituisce una differenza. Per
Galeno il collo dell'utero è un pene rovesciato all'interno, la
sua parte finale lo scroto invertito. A parità di organi, il fatto
che quelli femminili siano nascosti all'interno rende le donne come uomini
"mutilati". Di nuovo queste differenze sono determinate dalla
variazione di temperatura. Semplicemente le donne mancano della temperatura
necessaria a spingere all'esterno i loro organi. Per Galeno la parte più
nobile del corpo umano non è né la mente né il cuore,
bensì i testicoli, per il loro ruolo nel cuocere il sangue. Nella
medicina antica, all'interno dell'analogia tra lo sviluppo dell'embrione
e la cottura, è il seme maschile che infonde calore al freddo corpo-ricettacolo
femminile, materia passiva che si può dare vita all'embrione grazie
al principio di calore maschile. Tra i medici ippocratici, che riconoscono
che ogni individuo sessuato, maschio o femmina, porta con sé un
seme identico o androgino, la parte femminile di questa sostanza seminale
è in sé, per una qualità intrinseca, meno forte della
parte maschile (Llyoid, 1979 e 1983; Schiebinger, 1989; Sissa, 1990).
2.2 Il
Medioevo
Nel Medioevo, durante la fase di transizione dal mondo antico all'Europa
cattolica, la Chiesa e la dottrina scolastica continuano l'azione inaugurata
da Aristotele e costruiscono l'edificio del sapere senza le donne: accanto
ai conventi e alle abbazie, le università sono mondi senza le donne,
le quali dovranno aspettare sei - sette secoli prima di poter studiare
come gli uomini nelle università, nei centri di ricerca e nelle
accademie, attorno alla metà dell'800. Le moderne istituzioni scientifiche
hanno le loro radici nel mondo medievale in particolare nelle università
e i monasteri d'Europa. Dal medioevo alle società moderne, la storia
delle donne è stata una storia di esclusione da queste istituzioni.
D'altra parte, in un contesto storico in cui la Chiesa ha il monopolio
dell'educazione a partire dal VI secolo fino all'XI secolo, le donne avevano
ancora la possibilità di studiare all'interno dei conventi. Figlie
di signori feudali, senza terra o eredità, prendevano i voti nei
monasteri acquisendo potere temporale e spirituale. La vita clericale
era una via rispettabile verso il potere sia per gli uomini che per le
donne. Tra queste, alcune divennero noti punti di riferimento tra i sapienti
del tempo, come la poetessa e insegnante Santa Radegonda, dell'abbazia
di Poitiers, e Ildegarda di Bingen, la nota studiosa e autrice di medicina,
storia naturale e cosmologia (Schiebinger, 1989). A partire dal XII secolo
fino al XV secolo le università prendono gradualmente il posto
dei conventi e delle abbazie. E questo cambiamento rappresenta un declino
delle opportunità per le donne di accesso al sapere. In Inghilterra,
la chiusura di conventi rappresentò la perdita di un ruolo centrale
spirituale e intellettuale che fino a quel momento le donne detenevano:
Enrico VIII si appropria delle terre ecclesiastiche e inizia a utilizzare
parte dei monasteri per costruire un sistema universitario che fino al
'500 sarà in continua espansione. Anche le terre e le abbazie delle
suore di Santa Radegonda, un importante centro per l'educazione femminile,
furono trasferite al "Jesus College", a Cambridge. Se i conventi
rappresentavano una pari opportunità per uomini e donne di studiare,
le università, che preparavano giovani uomini al governo della
città o al governo ecclesiastico attraverso lo studio della teologia,
della medicina e della legge, erano un mondo chiuso alle donne. Un'esclusione
che continuerà nelle università riformate del XVI secolo.
Nel processo di formazione dei nuovi stati-nazioni, le università
erano il luogo di espansione delle burocrazie e di impegno civile sempre
più necessario. In Inghilterra, questi due aspetti, il servizio
allo stato e l'educazione, sono stati nel tempo determinanti per dare
forma a quella che è stata definita la "rivoluzione nell'educazione"
che ha coinvolto sempre più uomini della classe media. Una rivoluzione
che però non venne estesa alle donne, a qualsiasi rango sociale
appartenessero. Come in ogni altro periodo della storia, le eccezioni
si contano sempre. Un piccolo numero di donne poterono studiare e insegnare
alle università a partire dal XII secolo. Eccezioni che si collocano
soprattutto in Italia. All'Università di Bologna, nel 1296 Bettisia
Gozzadini insegnava legge all'Università di Bologna, mentre nel
'300 Novella D'Andrea prendeva il posto del padre defunto professore di
legge canonica, insegnando da dietro una tenda per non distrarre gli studenti
con la sua straordinaria bellezza. In Italia è un fenomeno alquanto
singolare il fatto che alcune donne, se pur in situazioni piuttosto eccezionali,
continuarono a studiare e a insegnare nelle chiese e nelle università,
come vedremo, anche in seguito, tra il '500 e il '700. L'apertura delle
università alle donne avviene per la prima volta a Zurigo nel 1867
e successivamente nel resto d'Europa. Prima di allora solo con rare eccezioni
le donne potevano studiare nelle università. Questo avveniva nel
600 in Italia, dove la nobile veneziana Elena Corsaro Piscopia fu la prima
al mondo ad ottenere una laurea, all'Università di Padova, in Filosofia
nel 1678. Dopo di lei Laura Bassi in Fisica all'Università di Bologna
nel 1732 e Anna Morandi-Manzolini in Medicina nel 1760.
2.3 Il
XVII secolo
Nel '600 il consolidamento del pensiero scientifico e del suo metodo radicalizzano
progressivamente la cancellazione femminile, già da tempo avviata.
Una cancellazione che diventa nel tempo ambigua, contraddittoria e paradossale:
nel XVII secolo la presenza delle donne nel mondo del sapere (da quello
di moda dei salotti francesi in cui le donne erano ospiti letterate gradite
a quello ufficiale delle accademie in cui donne erudite si distinguono
come rare eccezioni dalla maggioranza) viene legittimata e insieme negata,
riconosciuta e allo stesso tempo distanziata. Nulla di fatto impediva
alle donne di scrivere, studiare e pubblicare. A un'unica condizione:
che il loro studio non avvenisse per passione e volontà di conoscere,
quanto derivante da una forma di apprendimento involontario (Dulong, 1986).
Già nelle corti principesche del '500 rinascimentale donne potenti
e di nobile origine occupavano posti di potere e in quanto regine, duchesse
e signore potevano partecipare al mondo dell'arte, della letteratura,
della poesia e della filosofia accanto agli uomini, gli umanisti del tempo.
Nel Medioevo l'educazione, monopolio della chiesa, era confinata allo
studio contemplativo all'interno dei monasteri e delle università
e non aveva alcun status di prestigio sociale-economico: i gentiluomini
del tempo si arrogavano ben altri privilegi, come le armi, la caccia,
il riposo, il cibo e il vino. Diversamente, all'inizio del XVI secolo,
l'apprendimento, lo studio e l'educazione diventavano parte importante
della cultura aristocratica e dello stile di vita dei signori di corte.
L'invenzione della stampa nel 1450 fu sicuramente un fattore importante
nel plasmare una cultura in cui il sapere trovava un nuovo posto tra le
virtù sociali, nel momento in cui, nel passaggio dai regimi feudali
alle raffinate corti rinascimentali, l'aristocrazia smetteva di essere
una classe solamente militare e diventava anche una classe intellettuale.
Si andava delineando uno stile culturale "femminilizzato", quello
delle arti e delle lettere dell'umanesimo e del rinascimento, che fioriva
accanto e parallelamente a quello "mascolino" delle armi, del
governo e delle arti materiali. Due culture, come raccontava a quel tempo
Baldassarre Castiglione nel Cortigiano, che coesistevano nelle corti rinascimentali
italiane. Umanisti e signore di corte, come fu per esempio la Duchessa
Elisabetta Gonzaga di Urbino, godevano del loro tempo libero intrattenendosi
in conversazioni intellettuali e piacevoli discussioni. Si trattava ovviamente
di una situazione privilegiata e esclusiva per donne di elevato rango
sociale: in assenza del marito, la duchessa di Urbino era superiore a
ogni altro uomo. E questo accadeva in un contesto culturale in cui l'attività
intellettuale e erudita era considerata principalmente una forma di piacere,
ben distinta dagli affari di stato cui le donne non avevano accesso. Peraltro,
le limitazioni per queste nobili donne non mancavano: nonostante la loro
libera partecipazione a discussioni e conversazioni intellettuali, signore
e duchesse dovevano comunque rispettare alcune regole, per esempio quelle
per cui solo gli uomini di corte avevano il privilegio di rispondere alle
domande e elaborare contenuti. Alle donne, anche se nobili e acculturate,
rimaneva solo il piacere di formularle. Nel corso del '600 prosegue, con
tutte le sue limitazioni e ambiguità, questa accettazione delle
donne nei luoghi di sapere. Come accennato, nella tradizione mondana dei
salotti francesi degli uomini le donne erano ospiti gradite e piacevoli
intrattenitrici di conversazioni letterarie e disquisizioni filosofiche.
E tra loro alcune erano veramente erudite: donne potenti e singolari che
alimentano primi focolai di sapere femminile. Donne intellettuali e mondane,
come Lady Montagnu, Margaret Cavendish, Anne Conway, oppure l'italiana
Elena Cornaro sono celebri figure storiche che si distinguono nella storia
del sapere occidentale. Nei salotti di Madame Geoffrin, Madame Helvetius
e Madame Rochefoucauld le discussioni di scienza erano allora di moda.
In quello stesso tempo, Madame Lavoiseir riceveva a casa numerosi accademici.
I salotti parigini arricchivano le disquisizioni scientifiche di piacevole
convivialità secondo un'armonia tra saperi umanistici e saperi
scientifici che col tempo si sarebbe persa.
Ma i salotti
non sono l'unico luogo di scienza.
Verso la metà del '600 la fondazione delle accademie scientifiche
- la Royal Society di Londra nel 1662, l'Academie Royale des Sciences
nel 1666 a Parigi - rappresenta un passo decisivo nel percorso di formazione
e professionalizzazione della scienza moderna. Le donne ne sono escluse
in modo ufficiale. Le accademie, che inizialmente avevano lo stesso carattere
"umanista" di piacevole intrattenimento comune ai salotti, professionalizzandosi
sanciscono con decisione l'esclusione delle donne erudite, definendo allo
stesso tempo la separazione tra lettere e scienze. E' questo il momento
di massima legittimazione della nuova scienza che, dal suo debutto ufficiale
nasce senza le donne. In altre parole, proporzionalmente all'aumento del
prestigio della scienza, decresce la possibilità delle donne di
prenderne parte. Nel '700 e nell'800 l'esclusione sarà formalizzata
e sempre più condivisa a livello sociale. La medicina avrà
un ruolo fondamentale nel fornire supporto naturale e scientifico a questa
marginalizzazione. Attorno alla Rivoluzione Francese, gli anatomisti del
tempo forniranno una visione della "biologia come destino umano"
per uomini e donne offrendo una giustificazione naturale e scientifica
a un ordine politico e sociale sempre più imperniato sulla divisione
dei ruoli sociali in base alla differenza di genere. Nessuna donna prima
del 1945 verrà ammessa come membro ufficiale della Royal Society
di Londra. Le prime in quell'anno saranno Kathleen Lonsdale e Maryory
Stephenson. In una situazione di esclusione formalizzata, di nuovo l'Italia
presenta curiose eccezioni che perdurano fino al '700. Le accademie italiane
a Bologna, Padova e Roma accettavano donne tra i loro membri. Le francesi
Madeleine de Scudery nel XVII secolo e Emilie du Chatelet nel XVIII secolo
respinte dall'accademia francese furono membri onorati dell'accademie
italiane. La matematica Maria Agnesi eletta membro dell'Accademia di Scienza
di Bologna nel 1747, le cui opere furono tradotte in francese non fu invitata
all'accademia parigina. (Si veda il capitolo sulla Medicina e studi clinici
nella terza parte della tesi, in particolare il paragrafo Cenni storici)
3. Un
apparente paradosso
La storia, qui brevemente tracciata, dell'esclusione delle donne dai luoghi
del sapere pubblico che, come abbiamo visto, presenta aspetti ambigui
e paradossali è anche la storia della presenza delle donne nelle
sfere pubbliche dei diritti civili e politici. Per comprendere il senso
di questo paradosso che intreccia presenza e assenza delle donne nei luoghi
del sapere è utile guardare al più ampio contesto storico
di riferimento e osservare come il XVII secolo sia uno spartiacque centrale
nella storia dell'assenza delle donne nella sfera pubblica civile e politica.
Alcune storiche hanno messo in luce come già nel '600 si rintracciano
i primi segni di un legame duraturo, un nesso strettissimo e di lunga
durata tra "femminismo e democrazia", descritto dalla "necessità
per il primo di ridefinire la seconda" (Rossi Doria, 1993). Il principio
di uguaglianza universale, come quello che sarà postulato nella
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, assumerà
l'idea di un'uguaglianza universale astratta che non troverà riscontro
nella realtà politica e civile da dove le donne verranno escluse
per molto tempo ancora (Groppi, 1993). Sarà in questo contesto,
quello della Rivoluzione Francese, che le donne inizieranno a denunciare
l'anomalia prodotta dall'affermazione di "un'eguaglianza esclusiva
che poco si cura di attuare l'eguaglianza tra i sessi" (Fraisse,
1984). In questa fase storica rivoluzionaria, definita non a caso come
"primo femminismo", in cui le donne si opporranno apertamente
a questa democrazia formale e astratta, compariranno scritti importanti
come La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina redatta
nel 1791 dalla cittadina francese Olympe de Gouges oppure la Vendication
of Rights of Women scritta dall'inglese Mary Wollstonecraft nel 1792.
Ma già nel '600 si avvertono i segni di questa contestazione e
del nesso duraturo tra "femminismo e democrazia", quando compaiono
due importanti scritti sui diritti delle donne: in Francia, nel 1622 Marie
de Gournay scrive Egalitè des hommes et des femmes e in Inghilterra
nel 1694 Mary Astel scrive A Serious Proposal for the Ladies. Come hanno
messo in luce Genevieve Fraisse (1984), Anna Rossi Doria (1993) e Maria
Diurisi (1975) questi primi testi si inseriscono con un certo anticipo
nella cornice generale della rivoluzione borghese, illuminista e industriale
della Francia e dell'Inghilterra, paesi cruciali nelle tappe storiche
della definizione del moderno concetto di individuo. E' in questo vasto
contesto di cambiamento verso le moderne società occidentali che
dobbiamo leggere la visibile anomalia della presenza delle donne nelle
sfere della conoscenza: accettate in linea di principio, ma escluse nei
fatti. Con la fondazione delle accademie, a partire dalla seconda metà
del '600, ben presto la scienza diventa politica, nel momento in cui l'economia,
con la rivoluzione industriale, inizia a basare il suo potere sulle applicazioni
e i risultati della scienza, cioè la tecnologia. Quelle poche donne
che continueranno a occuparsi di scienza, saranno costrette a mascherarsi
(come Emile du Chatelet) a nascondersi dietro padri e mariti (come Maria
Gaetana Agnesi o Marie Lavoisier), a inventare con l'astuzia e la tenacia
strade per sopravvivere (come Sophie Germaine).
BIBLIOGRAFIA
AA. VV., La donna nelle scienze dell'uomo, Franco Angeli, 1986 Alic M.,
Hypatia's Heritage. A History of Women in science from Antiquity to the
Late Nineteenth Century, The Women's Press, 1986. Albensour, L., La femme
et le feminisme avant la Rivolution francais, Geneva, Slatkine, 1923 (ristampa,
1973) Beddoe D., Discovering Women's History. A practical manual, Pandora
Press, 1983. Bettini M. (a cura di), Maschile/femminile. Generi e ruoli
nelle culture antiche, Laterza,1993 Diurisi, M., Mary Wollstonecraft e
la rivendicazione dei diritti della donna, Edizioni Messapica, Lecce,
1975DuBois, P., Il corpo come metafora. Rappresentazioni della donna nella
Grecia antica, Laterza, Roma, 1990 (originale, 1988) Dulong, C., La vita
quotidiana delle donne nella Francia di Luigi XIV, Feltrinelli, Milano,
1986 Gerhard, U., "Sulla libertà, uguaglianza e dignità
delle donne: il "differente" diritto di Olympe de Gouges",
trad. it. A cura di Varni, B., in Groppi, A., Bonnacchi G., (a cura di)
Il dilemma della cittadinanza. Diritti e doveri delle donne, Laterza,
Roma, 1993 Gibin, C., Scienza e dame nel Settecento: gli scritti di tre
intellettuali dell'epoca, Conselve, Padova, 1996 Groppi, A., Bonacchi,
G., (a cura di), Il dilemma della cittadinanza. Diritti e doveri delle
donne, Laterza, Roma, 1993 Lloyd, G.E.R., The Female Sex: Medical Treatment
and Biological Theories in the Fifth and FourthCenturies B.C Lloyd, G.E.R.,
Hot and Cold, Dry and Wet in the Early Greek Thought, in Allen R.E., Furley,
D.J., Studies in Presocratic Philosophy, New York, 1970 Lloyd, G.E.R,
Magic Reason and Experience: Stuidies in the Origin and Development of
Greek Science, Cambridge, 1979 Lloyd, G.E.R, Science, Folklore, and Ideology:
Studies in Life Science in Ancient Greek,, Cambridge, 1983
Klapisch-Zuber, C. (a cura di), Storia delle donne. Il medioevo, Laterza,
Roma, 1990 Maschinetto, F., Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (1646-1684):
prima donna laureata nel mondo, Antenore, Padova, 1978 Noble D. F., "Un
mondo senza donne. La cultura maschile della Chiesa e la scienza occidentale",
Bollati Boringhieri, 1994. Pizan, de C., La città delle dame, (1405),
Vivaldi 1999. Rossi Doria, A., (a cura di), Il primo femminismo (1791-1834),
Ed. Unicopoli, Milano, 1993 Schiebinger, L., The Mind Has No Sex? Women
in the origins of modern science, Harvard University Press, London, 1989
Schmitt Pantel, P. (a cura di), Storia delle donne. L'Antichità,
Laterza, Roma, 1990 Sissa, Giulia, "Filosofie del genere. Platone,
Aristotele e la differenza dei sessi", in AAVV, Storia delle donne.
L'Antichità, op.cit. Todaro P. (a cura di) Donne filosofia e cultura
nel Seicento, CNR, Roma, 1999 Wiesner M. E., Le donne nell'Europa moderna:
1500-1750, Einaudi, 2003. 10
15-11-2005
|