Audre Lorde - The Berlin Years 1984 to 1992

Un film di Dagmar Schultz
in collaborazione con Ika Hügel-Marshall e Ria Cheatom
documentario, 84 min., Germania, 2012

Maria Nadotti

 

Solo il cinema, probabilmente, poteva restituire con tanta forza il carisma della scrittrice statunitense Audre Lorde, un’intellettuale purtroppo ancora poco nota e non tradotta nel nostro paese. Nata nel 1934 a New York, nel quartiere di Harlem, da genitori originari di Carriacou, l’isola più grande delle Grenadines, nei Carabi, di sé amava dire: “Sono nera, lesbica, femminista, guerriera, poeta, madre”.
I suoi numerosi libri, la sua attività professionale e politica, la sua intera vita danno conto con coerenza di questi sei appellativi scelti e ordinati con cura, a rivendicare un’identità ampia, complessa e sfaccettata, preziosamente contraddittoria.

 


Per mantenersi agli studi fa l’infermiera, l’operaia, l’impiegata, la bibliotecaria e, dopo la laurea, insegna inglese all’Hunter College, un’università di New York, e comincia a girare il mondo tenendo conferenze e seminari su ciò che più le sta a cuore: la poesia e la politica. Il suo femminismo nasce dalla consapevolezza che razzismo, omofobia, sessismo e classismo sono la multipla faccia del potere, che pertanto va combattuto su più fronti, trasversalmente, stringendo alleanze tattiche con tutte le ‘minoranze’ escluse, mortificate, oppresse.


Formidabile anticipatrice, i semi del suo pensiero hanno messo radice e fruttificato nell’opera di intellettuali come bell hooks, Judith Butler, Cornel West, Henry Louis Gates, Jr., Gloria Alzandua e molti altri. Autrice di alcuni testi cruciali tra cui le raccolte poetiche The Black Unicorn (1978)) e Our Dead Behind Us (1986), l’autobiografia – ma Lorde preferiva definirla una “biomitografia” – Zami: A New Spelling of My Name (1982) e l’antologia di saggi e discorsi Sister Outsider (1984), Lorde è morta nel 1992 a St. Croix nelle Isole Vergini dove viveva da anni con la sua compagna e dove ha lottato a lungo contro il cancro.

 


Di questo combattimento, che indirettamente la porta a lasciare gli Stati Uniti e a frequentare sempre più spesso la città di Berlino, dove si affida a cure alternative e al contempo innesca un formidabile ripensamento politico all’interno del movimento femminista e lesbico locale, Audre Lorde racconta nel bellissimo The Cancer Journals (1980).

 

Audre Lorde - The Berlin Years 1984 to 1992, il film documentario che Dagmar Schultz, sua amica e compagna di attivismo e di accademia, presenta alla Berlinale di quest’anno è un vivace racconto filmico degli “anni berlinesi” della scrittrice.

           “La prima volta che l’ho invitata a Berlino a tenere un seminario presso l’università dove allora insegnavo”, mi ha detto la regista, “il mio intento era di riattivare il discorso e il ragionamento politico sul razzismo strisciante che si percepiva in quegli anni in Germania perfino all’interno del movimento delle donne. La posizione di Audre, la lucidità con cui leggeva nella discriminazione razziale la traccia insidiosa di ogni altra forma di intolleranza, la sua capacità di rivolgersi alle donne bianche senza aggressività ma anche senza condiscendenza, mi parevano uno strumento prezioso in un’epoca in cui il movimento aveva cominciato a mostrare tendenze reazionarie”.

 

 

                Audre Lorde, come questo affettuoso e accurato lavoro cinematografico documenta, a Berlino non si limita a insegnare all’università. In quegli otto anni, praticamente da sola, diventa “mentore e catalizzatore” del movimento afro-americano tedesco. Con il suo appoggio un’intera generazione di scrittori e poeti dà voce per la prima volta alla propria esperienza di uomini e donne di colore in Germania.
Schultz, scegliendo la via del documentario di montaggio, lavora su filmati, audioregistrazioni e fotografie che risalgono a quegli anni e che fanno parte del suo archivio personale. Si tratta di materiali ‘poveri’, raccolti in occasione di una manifestazione politica, un’assemblea, una lezione universitaria, un incontro femminista, ma anche una festa tra amiche, una passeggiata per le vie di Berlino, una conversazione intima. Forse proprio per questo sono in grado di rivelare meglio di qualsiasi analisi la personalità di Lorde, un misto di energia e resistenza, forza d’immaginazione e allegria, coraggio e indisponibilità a seguire i sentieri tracciati.

 


Nel documentario le immagini e le voci di quell’epoca di grandi trasformazioni – nell’89 cade il Muro di Berlino e inizia a prepararsi il crollo dell’Impero sovietico e del modello socialista – si accompagnano e si alternano a varie interviste realizzate nei mesi scorsi in funzione del film. “Volevo verificare”, spiega la regista, “quale impatto abbia oggi il pensiero di Lorde, se le sue idee tengano ancora. La sua, per le donne bianche della mia generazione, è stata una visione che ha cambiato radicalmente la nostra prospettiva sul mondo. Ci ha costrette a interrogarci sul senso del nostro privilegio e a affrontare la differenza in modi costruttivi. ‘Noi siamo le donne che desideriamo diventare’, diceva, ‘non dobbiamo diventare l'una simile all'altra per lavorare insieme, ma non bisogna lasciare che le differenze ci separino, dobbiamo imparare a usarle’”.

 


Nel film di Dagmar Schultz Audre Lorde appare come una resistente e allo stesso tempo come una donna capace di gioia, con un forte attaccamento alla vita e al godimento. Una guerriera capace di costruirsi una formidabile rete di solidarietà e di amicizia politica in tutto il mondo e di coniugare invenzione politica e pratiche positive di vita quotidiana. Un’intellettuale-attivista femminista che sceglie di dare alla parola il ritmo e il respiro della poesia.

               
   

 

 

 

Dagmar Schultz: Co-fondatrice nel 1974 sia del Feminist Women’s Health Center di Berlino, il primo in Germania, sia dell’Orlanda Women’s Press, la casa editrice tedesca che pubblica le opere di Lorde.


(Berlino, 19 settembre 2012)

 

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