Le donne sfidano le roccaforti del potere

di Angela Azzaro

 

                                      

                                             

In molte, forse, si ricordano le scene finali di Strange days, in cui la regista Kathryn Bigelow, con una voce fuori campo, faceva quella che allora, era il 1995, suonava come una profezia, una speranza, una denuncia del potere maschile. «Nel 2000 la presidente degli Stati Uniti sarà una donna».

Sono passati molti anni e non si può certo dire che il mondo sia migliore, né che il rapporto tra i sessi sia meno conflittuale. In molti casi il bilancio è negativo. Ma oggi quella profezia non sembra più impossibile e le donne che puntano ai posti più alti del potere politico nel mondo sono addirittura due: Ségolène Royal procede dritta verso l’Eliseo, prima donna che potrebbe diventare presidente della Repubblica in Francia, e negli Usa tutti gli occhi sono puntati su Hillary Rodham Clinton, secondo molti analisti la vera concorrente e favorita per la corsa alla Casa Bianca. 

Una rivoluzione? Sicuramente un grande cambiamento fino a poco tempo fa impensabile. Royal e Rodham Clinton non sono sole. Nelle ultime stagioni, si sono affermate diverse protagoniste di diverse aree politiche. Non ci dobbiamo dimenticare di Angela Merkel, di Condoleeza Rice, ma neanche di Michelle Bachelet e di Nancy Pelosi, la prima donna, speaker della Camera negli Usa. Ognuna di loro rappresenta posizioni diverse, alcune delle quali non sono solo poco condivisibili, ma assolutamente sbagliate. A volte in maniera tragica, come il caso di quelle espresse dalla Segretaria di Stato americana. 

La novità e il cambiamento non consistono nell’ideologia portata avanti. Nessuna pensa di sostenere che di per sé le donne siano migliori. Né si vogliono santificare Ségolène o Hilary, mettendole su un piedistallo che le salvi dalle critiche. Entrambe, per la loro prima vittoria, hanno inseguito l’elettorato moderato e nel futuro nessuno sconto sarà concesso. 

La novità, il cambiamento è un altro. E’ più forte di tutto. Perché va a scardinare il cuore del potere maschile: la divisione netta della società secondo ruoli definiti che affidano la sfera pubblica agli uomini e alle donne la gestione della famiglia, delle relazioni, degli affetti. I primi sono identificati con l’intelletto, le altre con il corpo e quindi con la natura. Una dicotomia che ha pesato per millenni e che oggi si incrina, traballa, davanti alla possibilità di costruire un nuovo ordine simbolico in cui gli uomini e le donne sono soggetti a tutto tondo, alla pari, e come tali in grado di accedere alle stesse sfere della politica, della scienza, delle arti. Il cambiamento riguarda la vita pubblica e la possibilità di costruire un immaginario diverso che scomponga l’immagine monolitica della donna, come un’identità fissa, standardizzata e come tale incapace di potersi dedicare alle attività umane nella loro complessità. 

Royal e Rodham Clinton si inseriscono in questo quadro, rompono l’immagine unica in tanti frammenti e identità, in cui luci e ombre, azioni degne e altre criticabili, vanno però a dire una cosa chiara e precisa: non ci sono più cittadini di serie A e cittadine di serie B. Tutti e tutte stanno sullo stesso piano, tutte e tutti sono ugualmente criticabili o osannabili. Possono governare e rispondere delle loro decisioni. 

L’ ascesa delle donne nella vita pubblica è fondamentale non solo e non tanto per noi. Ma per coloro che verranno. Per quella bambina, statunitense, americana, africana, europea, asiatica che vedendo in televisione l’immagine di Hilary saprà che una sua simile può fare politica, può assumere incarichi di grande rilievo, che anche lei potrà farlo. Probabilmente per dissentire con quella stessa donna che però le ha insegnato la cosa più importante, più preziosa: avere la stessa dignità, le stesse possibilità, non pensare che per lei il destino ha in serbo solo il ruolo di moglie, madre, sorella. Quella bambina oggi se guarda la televisione vede un mondo fatto quasi esclusivamente di giacche e cravatte, che le dicono cosa deve fare, che cosa deve pensare, che cosa deve mangiare.

La realtà sociale non è più così. Le donne hanno conquistato spazi di libertà, di autonomia, di azione politica. Ma resta da rompere la barriera più forte, la roccaforte del potere decisionale e mediatico che è nelle mani di pochi.

Viste dall’Italia Ségolène e Hilary sono lontane. Mentre in quasi tutto il mondo il cambiamento è in atto proprio da noi, dove il mutamento sociale è stato in molti casi all’avanguardia, i posti di comando restano interdetti alle donne. La formazione del governo attuale è una ferita ancora aperta: poche ministre, relegate agli ambiti che contano di meno e che ribadiscono la divisione dei ruoli: alle politiche sono andati i ministeri che guarda caso fanno riferimento al prendersi cura degli altri (famiglia, pari opportunità, politiche giovanili). Leit motiv che si ripete in televisione: sono sempre gli stessi a prendere la parola, a discutere, a creare l’immaginario collettivo; dall’altra poche giornaliste, poche protagoniste, molte comparse.

Non si può trascurare come nel successo di Royal e Rodham Clinton siano in atto meccanismi di cooptazione: l’ingresso delle donne nella vita pubblica avviene anche sulla base dell’accettazione delle regole del potere e nell’adesione alle politiche che ne affermano il dominio. Molte pensano che quelle regole vadano non solo criticate, ma sconfitte radicalmente, che il nuovo mondo è un mondo da reinventare. L’inversione di tendenza che arriva dalla Francia e dagli Usa, se confermata, non è certo la fine, il successo definitivo dei processi di trasformazione. E’ però una tappa non solo importante, tanto attesa, ma ineludibile per un mondo in cui non ci siano più discriminazioni sulla base dell’appartenenza sessuale. Quando potremo raggiungerla anche in Italia?

 

questo articolo è apparso in Liberazione del 18 novembre 2006

le immagini sono tratte da:  www.u-blog.net/UJDR    www.nyu.edu/classes/keefer/ww1/payot.html