Il 24 novembre non sarà una giornata qualsiasi
di Angela Azzaro

 

Il 24 novembre non sarà una giornata qualsiasi. Non lo sarà sicuramente per tutte coloro che hanno deciso di scendere in piazza per una manifestazione nazionale a Roma (ore 14) contro la violenza degli uomini sulle donne.
Una corsa contro il tempo. Poco meno di un mese per spargere la voce, unire le forze. Ma una corsa che l’assemblea di singole, associazioni  femminili, femministe e lesbiche, riunitasi a Roma domenica scorsa alla  Casa internazionale delle donne, ritiene necessaria, urgente.
Tanto da  osare e mettercela tutta lanciando l’appuntamento con un appello e con un sito, www.controviolenzadonne.org che in meno di una settimana ha già ricevuto 2000 adesioni per la manifestazione nazionale.  

La data non è  casuale. Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Una data che in Italia ha assunto in questi anni rilievo,  man mano che hanno iniziato a circolare i dati.
Dati spaventosi che mettono  sotto accusa la tanto osannata famiglia. La prima causa di morte e di invalidità  permanente per le donne nel mondo è la violenza da parte di mariti, padri, fratelli, fidanzati, ex di tutte le risme.

L’appello, con molto coraggio,  lo dice chiaramente: chi uccide non è un deviato, non è un pazzo. Non è il cosiddetto straniero, né lo sconosciuto. Chi uccide è dentro casa, ti sta accanto. E’ il cosiddetto uomo normale.
L’assemblea si è riconvocata per sabato prossimo (ore 12) sempre alla Casa internazionale delle donne di Roma per discutere del carattere della manifestazione, del percorso del corteo, delle questioni da mettere  ancora in evidenza (tra cui la violenza omofobica nei confronti delle lesbiche) e dell’autofinanziamento.

L’appello, frutto dei punti condivisi emersi nella scorsa riunione nazionale, parla di un appuntamento in cui le donne rifiutano di essere considerate vittime, mettono sotto accusa patriarcato e maschilismo, denunciano l’arretramento della relazione tra i sessi. E dicono: non nel nostro nome quando si usano le violenze contro le donne per fare discorsi sicuritari e per alimentare la retorica sull’ordine pubblico.  

Non servono scorciatoie legislative, serve un salto di civiltà. «Scendiamo  in piazza - si legge nell’appello consultabile sul sito www.controviolenzadonne.org  - e prendiamo parola per affermare, non come vittime ma come protagoniste, la libertà di decidere delle nostre vite nel pubblico e nel privato. Scendiamo in piazza per ribadire l’autodeterminazione e la forza delle nostre pratiche  politiche».

Il dibattito di domenica scorsa ha dimostrato come l’esperienza  di lotta, di riflessione, di relazione sul tema sia molta. Al 24 novembre non si arriva impreparate. Si arriva soprattutto con dietro il bagaglio  dei centri antiviolenza e delle case delle donne. Delle tante operatrici,  assistenti sociali, avvocate che in questi anni sono state in prima linea.  
Da loro viene la nettezza maggiore nel denunciare silenzi, omissioni, distorsioni  da parte dei media, delle istituzioni a partire da quella giudiziaria.  Se una violenza avviene da parte di uno sconosciuto, il giudice va giù  pesante. Vanno giù pesanti anche i media. Lo fanno anche nel caso dei migranti, anche se parenti della donna che ha subito violenza.
Se il violento o l’assassino  è il cosiddetto marito tranquillo, se cioè la violenza o l’omicidio si consumano dentro la famiglia, la donna (se ancora viva) o i parenti si vedono spesso sbattere la porta in faccia da parte dei giudici. Mille difficoltà,  mille attenuanti, mille ritardi.

E’ per questa ragione che i centri antiviolenza presenti all’assemblea chiedono di approvare il Piano nazionale antiviolenza.  Cioè di puntare sulla prevenzione, sulla formazione, sul potenziamento  delle strutture e dei finanziamenti a loro disposizione.
Dove ci sono i  centri le denunce aumentano: le donne sanno di avere un sostegno e hanno la forza di lasciare il nucleo familiare, di iniziare - quando ci riescono  - una nuova vita.  

Ognuna potrà dare alla manifestazione l’accento e la  sfumatura che ritiene più importanti: portare i suoi contenuti, le sue  richieste, la sua conflittualità, le sue modalità d’espressione.  Quello che intanto si percepisce in questa fase iniziale è che il 24 non sarà  una manifestazione in difensiva e che dentro il no alla violenza maschile  passa una sfida generale al potere degli uomini in famiglia, nella società, nella politica.

La manifestazione dice: la violenza contro le donne è un  problema degli uomini. Ribalta, sposta l’attenzione, mette a fuoco i colpevoli. Non è un caso. Il femminismo italiano, la ripresa di entusiasmo per molte dopo la manifestazione di Usciamo dal silenzio di due anni fa, la capacità di  tante realtà di mettere insieme teoria e pratica segnano anche questo percorso e gli danno una marcia in più.
Marcia di cui c’è bisogno non solo per essere  in tante, tantissime, e da tutte le parti d’Italia, ma anche per riuscire a dire tutte le cose che si vogliono dire. Non a futura memoria. Ma per fare, prima possibile, quel salto di civiltà di cui parla l’appello.


questo articolo è apparso su
Liberazione del 25 ottobre  2007