Quale sicurezza

di Angela Azzaro

 

L’approvazione del pacchetto sicurezza riporta l’attenzione anche sulla dibattuta querelle di come affrontare la violenza in famiglia.

Le norme approvate ieri dal Consiglio dei ministri propongono alcune misure che riprendono la proposta di legge della ministra delle Pari Opportunità Barbara Pollastrini: permesso di soggiorno per la migranti che denunciano la violenza da parte del coniuge, inasprimento delle pene, estese anche nei confronti dei conviventi.

Una conquista? Una sconfitta, su molti fronti, a partire dal fatto di schiacciare una questione complessissima che attiene al rapporto uomo-donna dentro un discorso punitivo.
E’ una strada che molte realtà non condividono e che hanno respinto anche indicendo per il 24 novembre una manifestazione nazionale contro la violenza maschile sulle donne. «Non vogliamo scorciatoie legislative e provvedimenti - si legge nel documento di convocazione dell’appuntamento - di stampo securitario e repressivo» (www.controviolenzadonne.org).

Perché tanta vis polemica? C’è una prima ragione, generale. Non si vuole che la libertà femminile venga usata per affermare l’esatto opposto: cioè una società dove i problemi sociali vengono ridotti a problema di ordine pubblico.
Non ci sono le donne e poi c’è il mondo esterno. Esattamente l’opposto: le donne sono una lente di ingrandimento da cui guardare la società nel suo complesso.
E’ per questo che non si può accettare di inserire alcune norme insieme ai sindaci sceriffi e alla logica dell’emergenza.

Solo fuori da questo quadro era ed è possibile una discussione aperta sul fatto se serve una nuova legge sulla violenza in famiglia e, se sì, su quale legge sarebbe auspicabile.
Il dibattito sul primo quesito è aperto da anni, ma oggi è messo un po’ in ombra da una vera e propria mania che spinge a legiferare su tutto, come se quello fosse l’unico modo di fare politica e di cambiare la situazione.
Le alternative alla legge esistono e si chiamano prevenzione e formazione. Elementi contenuti nel Piano nazionale antiviolenza che, al contrario del pacchetto sicurezza, ha una vita tutt’altro che facile. La prevenzione e la formazione non sono due paroline qualsiasi.
Sono i due ambiti più importanti perché possono aiutare a raggiungere l’obiettivo vero: impedire che gli uomini uccidano o picchino le donne. E’ o non è questo il punto? O l’obiettivo è salvarci la coscienza mandando i mariti o i fidanzati in galera, dopo? Dopo che la donna è già morta o ha vissuto anni di inferno.

La legge non è la panacea per tutti i mali. Ma se proprio la si vuol fare che almeno si abbia la sensibilità di guardare alla proposta Zapatero. La legge, approvata appena andato al governo, non ha individuato solo alcune norme, ma ha soprattutto indicato la violenza maschile come terreno privilegiato in cui si esercita il potere degli uomini.
Ha cioè aperto un conflitto, molto forte, le cui ricadute non sono e non possono essere immediate. Dopo un anno di applicazione, denunciava Il Pais lo scorso 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, i casi in Spagna erano aumentati.

La violenza maschile va affrontata mettendo al centro un grande cambiamento culturale e politico. Va affrontata mettendo in campo un conflitto tra i sessi, che non trova una sintesi né un’alleata nella legge.
Anzi una legge, se fatta al ribasso o in senso sicuritario, può ritorcersi contro impedendo ulteriormente l’obiettivo del cambiamento.
L’operato della ministra Pollastrini da questo punto di vista è fallimentare perché ha fatto tutto l’opposto di quello che andava fatto. Ha usato le scorciatoie repressive e ha ignorato il conflitto, perché questo significa mettere in discussione la famiglia e il familismo, che sono invece un pezzo forte del governo Prodi.

 

Questo articolo è uscito su Liberazione del 30 ottobre 2007