La passione va in guerra

di Maria Bacchi

 

Cosa accade quando, nel cono d'ombra creato dalle guerre, viene fatta luce sugli individui? Come entra la guerra negli scenari intimi della vita delle donne e degli uomini che ne vengono investiti? A ridosso delle guerre, in quei prolungamenti dolorosi del lutto che chiamiamo dopoguerra, sono state prodotte opere letterarie, cinematografiche, poetiche, saggistiche che aprono squarci di comprensione su "chi sono" gli uomini e le donne durante una guerra, sui margini esigui, ma ineludibili, delle responsabilità individuali, sulle metamorfosi e le sfaccettature dei ruoli sessuali in tempo di guerra.

La narrativa, il resoconto giornalistico e, con più cautele, la ricerca storiografica, sempre più spesso tornano oggi ad inoltrarsi in questi territori. Accade di frequente, soprattutto a proposito della seconda guerra mondiale, che questa materia viva, quando non è elaborata in quadri di ricerca rigorosi, si presti a un uso pubblico della storia che sta confondendo i confini tra verità storiograficamente accertate e manipolazione delle memorie individuali, fra responsabilità dei carnefici e destino delle vittime. Ciò accade nella pretesa di un'unica narrazione ricomposta che vorrebbe apparire pacificatrice ma che genera invece lacerazioni e conflitti sempre nuovi. Il timore di entrare nella vulgata negazionista ed equiparatrice ci fa purtroppo arrestare sulla soglia di temi che sicuramente incrinerebbero la monumentalizzazione della lotta di liberazione, un monumento a uomini e donne che non prevede chiaroscuri, appiattito su una narrazione che teme di entrare nelle zone d'ombra. Può essere quindi davvero necessario restituire ai soggetti la loro complessità, a partire da biografie esemplari e da testi che incrinano la superficie dell'ovvio.

Marguerite Duras, per la capacità di trasformare in opera letteraria i temi di fondo della sua eccezionale vicenda biografica, può rappresentare uno dei nodi centrali di un reticolo di analisi dei legami fra gli individui e le guerre che sconquassano le loro vite. La scrittrice francese lo fa mettendo a nudo i nessi fra guerra e violenza, fra ruoli sessuali e passione politica, fra impegno civile e passione amorosa; lo fa senza il timore di muoversi ai confini di ciò che il senso comune può ritenere sacrilego. Ma è l'autrice stessa, come vedremo, a introdurre ripetutamente uno spaesante uso dell'idea di sacro.

La douleur  è l'elaborazione letteraria degli appunti presi da Marguerite Duras nell'attesa del ritorno di Robert Antelme, marito e compagno di lotta, dal lager di Dachau. Il diario, scritto nel '45, resta dimenticato per anni e viene pubblicato per la prima volta nell'85, poco dopo L'amant, che le ha portato un grandissimo successo, quasi contro questo successo, secondo alcuni. Per l'intimità imbarazzante in cui coinvolge il lettore, mettendo a fuoco, nella Francia di Mitterand, tutti i nodi della lotta di liberazione visti dall'interno; dall'interiorità dei protagonisti, tra cui lo stesso Mitterand, oltre a tutti i nomi oggi noti che hanno fatto del gruppo di Rue Saint Benoit, una sorta di comunità di affetti e di pensiero (Blanchot, Bataille, per certi versi Lacan e anche Ginetta ed Elio Vìttorini). Il dolore e gli altri "testi sacri" dell'autobiografia politica di Maguerite -Albert des Capitales e Il miliziano Ter -danno senso e strumenti interpretativi a un lavoro successivo di Duras, Hiroshima mon amour, sceneggiatura, scritta nel 1958, del film omonimo di Alain Resnais.

Nei suoi scritti sul tempo di guerra c'è un unico personaggio di donna che prende maschere diverse, ma che, Duras ci dice, è sempre lei. E' Marguerite, che aspetta disperante e disperata che Robert Antelme torni dal lager dopo la sconfitta della Germania. Giorno dopo giorno, cercandolo tra i convogli sui quali non c'è mai, è in preda a un dolore e a un'angoscia crescenti. Quando finalmente lo riavrà vicino ne riporterà alla vita il corpo distrutto dalle privazioni e dalle torture, amandolo insieme a Dyonis Mascolo in una triangolazione di sentimenti - dolorosa, intensa e tenera - che nel libro appare appena accennata.

Ed è ancora lei, la protagonista degli altri racconti de Il dolore, che nel cercare il marito arrestato, nel partecipare alla lotta clandestina, nell'assumervi anche ruoli maschili, mette sempre più a nudo l'ambiguità dei rapporti, le fascinazioni, la possibilità di perdersi, il desiderio erotico, la difficoltà di scegliere, l'amore e l'avversione che seguono ragioni imprevedibili. Scrive introducendoli: «Questi testi avrebbero dovuto venire dopo il Diario da cui nasce Il dolore, ma ho preferito distanziarli perché non si avvertisse più il rumore della guerra, il suo fragore. Thérèse sono io. Quella che tortura l'informatore, sono io. E anche quella che ha voglia di far l'amore con il miliziano Ter, sono io. Vi do colei che tortura insieme agli altri testi. Imparate a leggere: sono testi sacri».

Cos'è il sacro per Marguerite Duras? Perché sono "sacri" i testi che raccontano di una giovane donna che conduce la tortura di un vecchio, anche se laido, collaborazionista e ci mette al corrente delle mutazioni dei suoi sentimenti di torturatrice: rabbia, repulsione, indifferenza, stanchezza, pena? E di come lei sia affascinata da un giovane, incosciente, vitale, miliziano fascista e, pur desiderandolo in fondo a se stessa, lo lasci al suo destino, quasi certamente di morte? Testi sacri: imparate a leggere, ci dice. Forse sacro è il mistero della sofferenza e dell'amore; sacra è l'opacità delle vicende interiori e dei sentimenti di fronte alla violenza; sacro è l'affacciarsi senza ritrarsi mai sulla non conoscibilità dell'animo umano, anche dove la storia ci direbbe qual è il confine fra lecito e illecito; sacro come contrario di consacrato, forse, dato che il termine designa ciò che non può essere toccato senza essere insudiciato o senza insudiciare. Sacro e maledetto.

Marguerite Duras dissacra quello che il senso comune ha consacrato: la fedeltà, la gerarchia delle ragioni, ad esempio; e lo fa "sputtanando" se stessa, mettendo in mostra spudoratamente tutte le figure che lei assume nel suo scenario interiore. E' una salita al calvario la sua liberazione, in qualche modo crocifigge se stessa. Si offre, sceglie di offrirsi, sulla scena della storia come donna, corpo desiderante, desiderio dissidente, incarnazione del disordine rispetto all'ordine costituito del senso comune della politica e del costume: viene meno alla fedeltà senza mai tradire. Ha una «morale discutibile», cioè «discute la morale degli altri», come dice la francese di Hiroshima mon amour. «Fa violenza a tutti gli ordini e le ragioni dando una chance all'istinto, e al disordine la propria ragione», scrive Christiane Blot, nel 1992, in Marguerite Duras.

E' Marguerite, soprattutto, il suo personaggio meno autobiografico e più "discutibile": la ragazza francese di Hiroshima mon amour, quella che sta girando nel '58 un film a Hiroshima e lì, sullo scenario della catastrofe nucleare, si innamora di un giapponese sopravvissuto al massacro. Attraverso la profondità dei pochi incontri fra i due la francese rivive la sua prima storia d'amore con un giovane tedesco, un nemico, ripete, in Francia, a Nevers, verso la fine della guerra. L'amore fra la ragazza di Nevers e il tedesco finisce quando un cecchino gli spara durante i giorni della liberazione. Lei impazzisce di dolore sul corpo del suo tedesco morto, sul corpo del nemico; viene rasata come collaborazionista, come traditrice, i suoi la rinchiudono in una cantina più per vergogna che per protezione. Quando uscirà dalla cantina se ne andrà per sempre dalla sua città.

Nell'incontro d'amore con l'uomo di Hiroshima si confondono la tragedia di una piccola, scriteriata ragazza francese che si innamora di un occupante e quella di una città devastata dalla bomba atomica. Spudoratamente, ereticamente, Marguerite Duras le mette sullo stesso piano. «E' come se il disastro di una donna rasata a Nevers e il disastro di Hiroshima corrispondessero esattamente», scrive. Ancora un'affermazione che può suonare sacrilega, tanto più che i protagonisti di Hiroshima mon amour si connettono tra loro sul filo di un desiderio sessuale che assomiglia all'amore. «Quanto è davvero sacrilego, se sacrilegio esiste, è Hiroshima stessa. Non è il caso di essere ipocriti e di spostare il problema», fa dire Duras alla protagonista della storia.

Per Marguerite Duras la ragazza di Nevers - rasata dai partigiani per aver amato un soldato tedesco - e il suo amante, sopravvissuto alla catastrofe atomica, si equivalgono: ugualmente inermi davanti alla passione, alla morte, alle violenze della giustizia, all'oblio che la guerra e il dopoguerra disseminano incuranti. E' a sdoppiamenti continui che la guerra costringe, a uno strabismo divergente fra la morale e la sopravvivenza, fra il desiderio e il lutto.

 

Questo articolo è apparso in Queer, inserto domenicale di "Liberazione", il 12 novembre 2006

 

link su Marguerite Duras

opere in italiano

bibliografia e filmografia (in inglese)

www.durasmonamour.it