Le ali e le conchiglie
L’oscuramento di Iside e la genesi di Maria alla luce del martirio d’Ipazia e all’ombra del Concilio di Efeso

di Selene Ballerini

 

La Dea è morta? Eterna vita alla Dea!

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La Dea rinasce sempre, attraverso le più variegate maschere; fra le ultime la più alterata e fuorviante è quella della Vergine Maria

La Divinità Femminile, al pari e forse ancor più di quella Maschile, è un’autorappresentazione archetipica dell’umanità, una componente imprescindibile del nostro codice genetico sacrale: non può quindi essere soppressa, ma solo percepita attraverso differenti forme e differenti cognizioni.
Un dato, questo, di cui ben presto il patriarcalissimo Cristianesimo si dev’essere reso conto - come hanno ipotizzato Mary Daly e altre studiose prima e dopo di lei1 - o con il quale comunque, volente o nolente, ha dovuto fare i conti: per soddisfare le ambizioni universalistiche proclamate da Paolo, e non limitarsi a un orto concluso come gli ebrei, si doveva infatti attivare l’enfatica amplificazione di una figura che placasse l’esigenza d’una referente divinoide femminile senza che ne risultasse in alcun modo inficiata l’assoluta, suprema unicità della Divinità Maschile.
Maria, da questo punto di vista, era perfetta. La fanciulla poteva interpretare benissimo il ruolo della mortale che si unisce a un Dio. Inoltre nel suo caso diventava speciale solo perché contenitrice - al contempo - della Parola del Padre, dell’alito dello Spirito Santo e della corporeità del Figlio. Sarebbe stata il quarto elemento, quello che dalla Trinità riconduce alla Materia, che dal Triangolo spirituale forma il Quadrato della manifestazione. E proprio da questo personaggio parte il nostro percorso, che ci condurrà prima in Efeso poi in Alessandria d’Egitto, città sacre l’una a Iside l’altra ad Artemide e ambedue profanate e usurpate dal Cristianesimo dei primi secoli.

 

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La Madonna alla luce dei Vangeli e del Catechismo della Chiesa Cattolica

Anche a una pur sommaria e superficiale analisi antropologica la storia di Gesù e Maria svela immediatamente i suoi tratti di rielaborazione leggendaria di miti antecedenti e già affermati, quindi, in quanto tali, facilmente veicolabili.
Poco più che adolescente Maria, promessa sposa a Giuseppe discendente di David, riceve dall’angelo Gabriele l’annuncio che partorirà nientemeno che il “Figlio dell’Altissimo”.2
Giuseppe, persuaso da un sogno rivelatore, accetta di sposarla anche se il figlio non è suo e la cugina Elisabetta, che sta per dare alla luce il futuro Giovanni Battista, convinta della grandiosità dell’evento la chiama “beata”.
Dopo la nascita del bambino Maria e Giuseppe raggiungono l’Egitto - paradigmatica terra di passaggio nei miti antichi del Mediterraneo - per sfuggire alla persecuzione di Erode, poi però tornano a Nazareth e si stabiliscono qui definitivamente. Maria segue l’attività propagandistica di Gesù, sul quale ha un’influenza molto blanda, e infine assiste al suo processo di Passione, Morte e Resurrezione, tipico dei vari Dei Morenti dell’Antichità. Fra questi il più popolare in tarda epoca ellenistica fu lo sposo di Cibele, Attis, Dio della vegetazione, la cui storia veniva commemorata a ogni equinozio di primavera con una festa scandita in quattro momenti: lutto, processione funebre, sepoltura, resurrezione. Mentre dalla Siria proveniva il culto di Adone, adorato - come il greco Dioniso - soprattutto dalle donne; sua amante era Astarte, Dea della bellezza e dell’amore, e come Attis anche Adone muore, risorge, viene pianto e infine festeggiato in riti primaverili.
Dunque il dramma di Cristo è analogo ai mitologemi di molti Dei orientali. Inoltre come Dioniso nasce da un Dio e da una mortale e dona al­la madre l’immortalità. Compaiono in ambedue i miti il vino, la grotta, la culla, la persecuzione. E sia Cristo sia il Dioniso misterico assumono la fi­gura di Salvatore e soffrono una Passione in quattro momenti: uccisione, spezzettamento delle membra, cannibalismo, resurrezione.
Vicende, periodi dell’anno implicati e molteplici altri indizi palesano il risvolto naturalistico-lunare racchiuso in questi miti, che fa di Dioniso e degli altri, quindi anche di Cristo, Dei particolarmente legati al principio materno. Non è dunque un caso che, mentre nella discendenza divina di Cristo il principio di riferimento è solo il Padre (essendo il Cristianesimo una religione ultrapatriarcale che contempla un’unica Divinità solo maschile), nella genealogia umana il ruolo della madre abbia più forte rilevanza di quello paterno, facendo così di Gesù una sorta di Figlio-della-Madre in assonanza con i suoi predecessori.3 I quali però, a differenza di lui, avevano tutti fattezze simboliche di bestia dalle corna lunari, connotato che nel Cristianesimo è invece trasmigrato sul Diavolo, l’antagonista del binomio Cristo-Maria.
Come si è detto - ma repetita iuvant - la Madonna non ha natura divina ma esclusivamente umana e questo è un dato di fatto di cui non dobbiamo mai scordarci per non perdere di vista lo scempio che le religioni del Libro, e nella fattispecie il Cristianesimo, hanno fatto della Divinità Femminile. In particolare Maria è la donna che viene contrapposta a Eva, essendo colei che con la sua obbedienza ha permesso la redenzione dell’umanità dal peccato originale causato dalla disobbedienza di Eva. San Bernardo espresse magnificamente il concetto con queste parole: “Corri Eva incontro a Maria, corri madre incontro alla figlia; […] sarà la figlia a cancellare l’obbrobrio, a soddisfare il padre al posto della madre: perché ecco, se l’uomo cadde per colpa della donna, non risorgerà se non grazie alla donna”.4 E lo stesso Concilio Vaticano II ribadì quest’idea: “Volle il Padre delle misericordie che l’accettazione di colei che era predestinata a essere la Madre precedesse l’Incarnazione, perché così come la donna aveva contribuito a dare la morte la donna contribuisse a dare la vita”.5 Come Gesù venne interpretato quale “nuovo Adamo” da Paolo,6 la Madonna - in depauperata analogia con le antiche ierogamie tra Dio Figlio e Dea Madre - fu quindi considerata la “nuova Eva”, concezione ripresa e approvata anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica.7 Un passaggio iconograficamente rappresentato nei secoli attraverso l’immagine di Maria che schiaccia sotto i piedi il serpe seduttore di Eva, in obbedienza all’eterna “inimicizia” che Dio Padre aveva decretato tra questo rettile e la donna dopo la consumazione del frutto proibito.8
Sempre il Catechismo, tanto per confermare se ce ne fosse bisogno l’impronta spudoratamente a sesso univoco del Cristianesimo, si spertica in più Punti per dimostrare che qualsiasi valore sacrale si desideri attribuire a Maria questo deriva soltanto da Dio Figlio e da Dio Padre. Per esempio al Punto 964 si legge: “il ruolo di Maria verso la Chiesa è inseparabile dalla sua unione a Cristo e da essa direttamente deriva”. E al Punto 966 si specifica che la Vergine non è stata assunta in cielo9 perché degna in sé del Paradiso (e - si noti bene - assunta e non risorta, perché si tratta di un’azione solo passiva), bensì “perché fosse più pienamente conformata al Figlio suo”, il quale non poteva certo nascere da una donna qualsiasi! Così la glorificazione di Maria è strumento per la maggiore glorificazione del Figlio-del-Padre. E per chi ancora avesse dubbi in proposito il Punto 970 - che come altri si basa su precedenti documenti ecclesiastici - rimuove qualsiasi ambiguità interpretativa: “ogni salutare influsso” della Vergine “sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo, si fonda sulla mediazione di lui, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia”, poiché “nessuna creatura” - e la Madonna è tale - “può mai essere paragonata col Verbo incarnato”. Maria dunque, argomentava nel 1949 Simone de Beauvoir, “solo accettando la funzione inferiore che le è assegnata ascenderà alla gloria. ‘Sono la serva del Signore’. Per la prima volta nella storia dell’umanità la Madre si inginocchia davanti al figlio; riconosce liberamente la propria inferiorità. Nel culto di Maria si avvera la suprema vittoria del maschio: la femmina acquista una riabilitazione nel compimento della propria disfatta”.10
E dal sintagma “culto di Maria”, inserito in questa significativa frase della de Beauvoir, iniziamo allora a scoprire quanto delle antiche Dee è scivolato a livello iconografico e simbolico nei modi con cui è stata raffigurata questa Madre Obbediente. Specificando comunque - perché i teologi hanno pensato anche a questo - che il culto di Maria, il cui inizio risale ai secoli II-III, non può comportare l’adorazione, riservata a Dio, ma si manifesta piuttosto nell’iperdulia, una forma di venerazione simile a quella che si ha per santi e sante ma più intensa e radicale.11

 

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Cosa delle antiche Dee è transitato iconograficamente e simbolicamente nella figura di Maria?

Se durante il primo Cristianesimo la Madonna venne rappresentata con le braccia aperte e alzate - quasi sfocato ricordo di una peculiare posizione assunta dalle Dee di un tempo12 e ora degenerata nella figura di una donna implorante la Divinità Maschile - dopo il Concilio di Efeso del 431 che la proclamò “Madre di Dio”, e sul quale torneremo ampiamente, iniziò a essere proposta come Regina sul trono con il Divin Bambino fra le braccia, talvolta nel gesto di allattarlo.13 Un’immagine forte, che rimanda a precedenti iconografici già dalla preistoria e che si era impressa nell’immaginario occidentale soprattutto attraverso la figura della Dea egizia Iside che sul trono tiene sulle ginocchia o allatta il piccolo Horus, poi traslitterata in quella della greca Demetra ritratta nella stessa azione insieme alla figlia Persefone da piccola.14 Inoltre Iside come la sua omologa Demetra e altre Dee, fra cui Artemide, era chiamata “la Nera” (nel mondo antico era il colore della fertilità), caratteristica che è stata forse il principale veicolo del proliferare di Madonne Nere in Europa, tutte non a caso dotate di prodigiose virtù terapeutiche e rigeneranti.15
Con il passare del tempo la tentazione d’iniettare in Maria e nella sua icona modelli, segni e qualità che dai primordi avevano caratterizzato le Divinità Femminili si fece più pressante e iniziamo così a imbatterci in opere d’arte che mitizzano la Vergine nell’atto di filare (simile così alle Dee Filatrici del Fato)16 o l’associano con la stessa rosa di Iside e la stessa spiga di Demetra,17 con la barca, il mare e il trono isidiani,18 con le stelle19 similmente a Nut (Dea egizia del cielo e madre di Iside), con la melagrana già connessa a Persefone e ad Afrodite, con la mandorla metafora della vulva (immagine che fu usata dal Rinascimento anche per Venere),20 con la colomba delle primeve Dee Uccello e con i leoni,21 quasi in effigie delle tante Signore degli animali, quali Cibele e Artemide.
Nelle litanie Maria viene acclamata “Regina del Cielo”, “Vaso della Sapienza”22 (e sulla pregnanza dell’archetipo del Vaso si rimanda al saggio sulla Grande Madre di Erich Neumann citato in nota), “Stella del Mattino” omologamente al pianeta Venere, “Rosa Mistica”, “Casa d’Oro”...23 E Alberto Magno la definì Magistra, ossia “Maestra”, nelle sette Arti liberali.
Maria inoltre - sempre per essere “più pienamente conformata al Figlio suo”24 - è stata definita ufficialmente, al pari di Iside25 e di altre Dee, “Regina” (la preghiera Salve Regina risale all’XI secolo e la regalità di Maria fu proclamata nel 1954 da Pio XII con l’enciclica Ad Coeli Reginam). E dal Duecento le viene dedicato il mese di maggio, un tempo sacro a Venere e alle varie “Reginedi Maggio” della tradizione folclorica europea.
Non può inoltre essere un caso che Maria Regina si festeggi il 22 agosto, proprio all’inizio del segno zodiacale della Vergine (il cui simbolo, com’è noto, è una spiga). E sempre nel segno della Vergine - in virtù di quella furbesca appropriazione indebita operata dal Cristianesimo che ha permesso a una religione sorta fra uno specifico popolo di venir esportata con un simile successo - è stata collocata la sua nascita: l’8 settembre. Questo peraltro il motivo per cui viene festeggiata nove mesi prima, cioè l’8 dicembre, la sua Immacolata Concezione, che - resa dogma nel 1854 dal tradizionalista e retrogrado Pio IX26 - sottolinea come Maria, essendo stata esentata dal peccato originale, sia una creatura fuori dal comune.
In effetti la Verginità è un altro punto chiave che avvicina la Madonna alle Dee. Ma, mentre nelle concezioni pagane la Verginità indicava non una condizione fisica bensì l’assoluta indipendenza e purezza radicale delle Dee, è in un modo tutto suo che la Chiesa celebra Maria come “la sempre Vergine”: si legge infatti in un documento approvato dal Concilio Vaticano II che è tale perché “Vergine nel concepimento del Figlio suo, Vergine nel parto, Vergine incinta, Vergine madre, Vergine perpetua”.27 Più Vergine di così...!

 

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Le ali di Iside

Erich Neumann nel citato saggio La Grande Madre, da cui abbiamo attinto gran parte del materiale iconografico su cui andiamo lavorando, ha osservato che le ali con cui viene spesso rappresentata Iside nell’atto di coprire e proteggere Osiride e i morti trova il suo corrispettivo nelle Madonne superdimensionate che proteggono i fedeli e i santi sotto il loro ampio mantello.28 Come fa pure la madre di Iside, Nut, il cielo stellato (e ciò riporta al manto stellato di Maria):29 Nut infatti con la sua volta copre tutti gli esseri viventi; inoltre questa Dea “che dal fondo del sarcofago prende in braccio i morti è la stessa madre di morte che ci è nota nell’ambito del Cristianesimo come Pietà, come Madonna che tiene in grembo il Cristo morto [...] ritornato nuovamente a lei”.30 E un parallelismo più pregnante si ha con una Vierge ouvrante31 (statua lignea apribile) scolpita in Francia nel XV secolo32 che quand’è chiusa mostra la Madonna in trono con Bambino, mentre se aperta rivela di racchiudere fra le sue ante o ali non soltanto esseri umani ma addirittura Dio Padre e il Figlio Crocifisso, recuperando in questo scenario, che secondo Neumann sfiora l’eresia,33 la sua natura d’Immensità-che-contiene-il-Tutto.
Ma ancor più eretica sembra farsi l’iconografia quando rappresenta la Vergine insieme a sant’Anna, una figura che - riconosciuta come madre della Madonna, pur non comparendo nei Vangeli canonici ma nel Protovangelo di Giacomo34 - è oggetto di culto fin dal VI secolo e viene tuttora celebrata nel calendario cattolico il 26 luglio. Ebbene: in alcune opere d’arte che l’hanno immortalata insieme a Maria e a Gesù Bambino, fra cui un celebre quadro di Masaccio e una statua lignea spagnola del Trecento,35 si assiste a una specie di rappresentazione a scatole cinesi che potenzia nella mente di chi vede l’immagine simbolica della Madre: la Madonna infatti sorregge sulle ginocchia Gesù, ma dietro di lei si erge, molto più ampia, sua madre Anna.
La genealogia della nascita di Cristo su cui qui si punta è dunque matrilineare e l’intero complesso fa pensare al trinomio egizio Nut-Iside-Horus o a quello greco Demetra-Persefone-Dioniso.36

 

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Divinizzazione della maternità di Maria al Concilio di Efeso

La maternità di Maria è in effetti l’elemento di questa sbiadita figura sul quale soprattutto, pur in modi così distorti, si sono riversati gli ultimi residui della trascorsa grandezza delle Dee. Questo perché uno dei primi problemi che il Cristianesimo dovette affrontare nel modellare il nuovo tipo di Femminilità sacra, non più divina ma neppure semplicemente umana, fu quello di confrontarla con l’archetipo allora imperante della Dea come Magna Mater da cui Figli e Figlie ricavavano la loro natura superumana (e non viceversa!).
Il dilemma di come definire e delimitare la maternità di Maria, da cui pure era nato il Cristo, senza per questo farne una Dea si acuì agli inizi del V secolo sviluppandosi in due diverse direzioni: una corrente, l’alessandrina, sosteneva che la Madonna poteva essere detta theotókos, cioè Madre di Dio, perché Cristo aveva sì due nature diverse (divina e umana) ma una sola persona, mentre quella antiochena riteneva che le persone fossero due e in Maria avesse preso vita solo quella umana.
Nel 431 lo scontro fra le due ideologie, capeggiate l’una da Cirillo vescovo d’Alessandria d’Egitto e l’altra da Nestorio vescovo di Costantinopoli, si consumò in tutta la sua virulenza a Efeso, dove - usando anche prepotenze e raggiri che oggi risulterebbero inammissibili37 - Cirillo riuscì a far accettare definitivamente l’idea di Maria “Madre di Dio”, com’è appunto ancora festeggiata dalla Chiesa il 1° gennaio a inaugurazione propiziatoria dell’anno.38 E chiosò la sua dottrina con un “anatemismo” che così recita: “Se qualcuno non confessa che l’Emmanuele è Dio nel vero senso della parola e che perciò la santa Vergine è Madre di Dio perché ha generato secondo la carne [...] sia anatema”. Maria si attesta così definitivamente come contenitore materiale e biologico della Redenzione, incatenata per sempre a un ciclo riproduttivo dalla passività devastante.
Efeso,39 dove si svolse questo dramma, era stata fra le città dell’epoca una delle più refrattarie alla penetrazione del Cristianesimo, tanto che negli Atti degli Apostoli 19 si racconta che la popolazione efesina organizzò una vera e propria rivolta contro la dottrina predicata da Paolo,40 il quale fu perciò costretto ad andarsene. Il tumulto ebbe come emblematico grido di battaglia “Grande è l’Artemide degli Efesini!”, in riferimento alla Dea protettrice di Efeso, plurimammellata e Signora di fecondità, il cui tempio - che secondo il mito sarebbe stato eretto dalle Amazzoni, legate appunto a tale culto - era annoverato fra le Sette Meraviglie del mondo antico.41
Peraltro a Efeso - città evidentemente associata alla sacralità femminile - secondo antiche leggende si sarebbe trasferita Maria con Giovanni Evangelista dopo la crocifissione di Gesù per sfuggire alle persecuzioni anticristiane ed è curioso annotare che in base alle rivelazioni di una suora agostiniana stimmatizzata, la tedesca Anna Caterina Emmerich (1774-1824), è stata ritrovata in questa località una casa che corrispondeva in tutto a quella descritta dalla visionaria come abitazione efesina di Maria.42 L’edificio - scoperto il 18 ottobre 1881, proprio nel giorno sacro a Luca, l’apostolo cui è stata attribuita gran parte dei dipinti miracolosi che ritraggono Madonne Nere e il cui animale simbolo è non a caso il Toro, arcaico segno zoomorfico dei Figli-Sposi delle Dee - è stato assorbito nel pentolone delle credenze cristiane a tal punto che vari papi hanno visitato e omaggiato la Casa, fra cui lo stesso Giovanni Paolo II nel 1979.

 

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Cirillo: chi era costui?

Trionfatore del Concilio di Efeso e artefice del cruciale e straniante passaggio di consegne dalla Grande Dea Iside-Artemide alla giovane ebrea Maria di Nazareth fu dunque il vescovo Cirillo, il cui ruolo decisivo nella storia del culto mariano è riconosciuto universalmente. Ma chi era costui?
Nativo dell’Egitto, santificato dalla Chiesa Cattolica (che lo festeggia il 27 giugno, ricordatevene quel giorno...) e teologo (venne dichiarato “Dottore della Chiesa” nel 1882), Cirillo nacque nel 380 e morì nel 444 ad Alessandria, dove fu vescovo dal 412 fino alla morte.
S’impegnò accanitamente per far trionfare la Chiesa alessandrina in Oriente e fu nemico dei giudei a tal punto che li scacciò dalla città (a causa di una strage che comunque avevano ordito contro i cristiani), motivo che costituì la base dello scontro con l’elleno Oreste, prefetto di Alessandria.
Di Cirillo abbiamo lettere, omelie, trattati polemico-teologici, commentari biblici e un’Apologia in 30 libri (ma ne restano solo 10) in risposta ai tre dell’imperatore Giuliano contro i cristiani.
Il suo “corpo di polizia” - lo stesso utilizzato per mantenere l’ordine della Chiesa in città da Teofilo, suo zio e predecessore - era composto dai parabalani, monaci combattenti animati da fanatico zelo. Costoro per farlo contento organizzarono un agguato contro Oreste, ferendolo gravemente. Ma uno di loro fu arrestato e torturato a tal punto che morì: venne così offerto il destro a Cirillo per sfruttare la vicenda in senso propagandistico, dipingendo l’aggressore come un martire del Cristianesimo.
Volontà del patriarca - come del resto di tutti i cristiani dominanti dell’epoca - era di eliminare la “superstizione” pagana e far fiorire ovunque la nuova religione. Alessandria costituiva un boccone particolarmente ghiotto in tal senso, dato il suo protagonismo nella cultura religiosa greco-egizia.
Un momento di forte tensione nella lotta fra elleni e cristiani si ebbe quando Teodosio il Grande, che si era sottomesso ad Ambrogio vescovo di Milano e poi alleato con lui, prese provvedimenti durissimi contro i culti pagani negli anni 390-392, all’epoca dell’episcopato di Teofilo. Favoriti dal nuovo clima politico i cristiani ne approfittarono per rafforzare la loro espansiva ascesa al potere: diversi templi vennero deturpati e i loro oggetti sacri esposti allo scherno, quello di Dioniso fu mutato in una chiesa e così pure accadde al Serapeo (il tempio consacrato a Serapide, il Dio tutelare della città), dove si erano riuniti gli elleni ribelli agli ordini dell’imperatore.
Oltre che per il Concilio di Efeso del 431 Cirillo è però passato alla storia per un altro evento, che si colloca sempre ad Alessandria ma 16 anni prima e che ha per protagonista e vittima sacrificale un’ellena passata alla storia per le sue eccelse43 doti di eloquenza e intelligenza, nonché per la sua bellezza e la sua dignitosa autonomia da qualsiasi legame potesse offuscarne le scelte: la filosofa, matematica e astronoma Ipazia, figlia dello scienziato Teone, che prima affiancò il padre e poi gli succedette44 alla cattedra alessandrina, dove insegnò per oltre un ventennio, senza mai sposarsi.
In verità questa scuola - come ci ricorda la storica della scienza Margaret Alic - “si poneva in netto contrasto con quella di Atene, che enfatizzava l’aspetto mistico e occulto, ma per i cristiani tutti i platonici”, com’erano appunto Teone e la figlia, “erano eretici pericolosi”...45

 

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È la regina di Alessandria! Di intelletto è Pallade, di maestà Giunone, di bellezza Afrodite
(da Ipazia del sacerdote anglicano Charles Kingsley, Sonzogno, 1937, p. 85-86)

Il martirio d’Ipazia, dilaniata con le conchiglie dai seguaci di Cirillo

Dea tutelare di Alessandria era Iside nella sua forma di Iside Pharia, così chiamata in relazione al faro della città, un’altra delle Sette Meraviglie del mondo antico.
Dopo la morte di Alessandro Magno a Babilonia il suo generale Tolomeo, ereditato il regno egizio e incoronato faraone nel 305 a.C. con il nome di Sotèr, “Salvatore”, cercò di realizzare il sogno del grande macedone: far diventare Alessandria - la città fondata da Alessandro, dal quale aveva assunto il nome - un luogo in cui far confluire tutte le conoscenze. In città nacquero così il Museo (un istituto accademico di ricerca scientifica) e la celebre Biblioteca.46
Ma all’epoca di Cirillo la situazione era cambiata per scienziati e ricercatori: il Cristianesimo stava infatti ammorbando la cultura ellenica con il suo oscurantismo, che vedeva nella matematica e nella scienza pericolose potenzialità d’eresia. E il nostro vescovo, naturalmente, era in prima linea nella battaglia contro l’intellighenzia cittadina, nella quale, appunto, rifulgeva la sapiente Ipazia.
Autrice di opere scientifiche, divulgatrice appassionata a tal punto da insegnare in strada a chiunque volesse ascoltarla, Ipazia inventò anche diversi congegni tecnologici - fra cui un astrolabio - e come il padre aderì al Neoplatonismo, una linea filosofica sorta proprio ad Alessandria nel III secolo con Ammonio Sacca.
Per la sua purezza intellettuale e la sua lucidità di giudizio Ipazia fu grandemente stimata dai contemporanei elleni, tanto che i politici si rivolgevano a lei per cercar consiglio e Pallada, poeta politicamente impegnato, la elogiò così in un suo epigramma:

Quando ti vedo mi prostro davanti a te e alle tue parole
vedendo la casa astrale della Vergine,
infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto,
Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura.

Il riferimento alla Vergine è evidentemente connesso al mito della Vergine Dike, il cui simbolo è una spiga e il ritorno della quale in Terra equivarrebbe al rifiorire di un’Età dell’Oro. L’accenno assume rilevanza se si osserva che nel 413 la principessa Pulcheria, tutrice del più giovane fratello Teodosio II e sostenitrice di Cirillo, fece voto pubblico di verginità,47 stringendo rapporti sempre più forti con gli episcopi e gli oppositori degli elleni. La Chiesa, commenta Gemma Beretta, autrice di un fondamentale saggio su Ipazia, non si oppose alla politica di Pulcheria: infatti “in quegli anni i vescovi d’Oriente - io credo sollecitati a questo anche dall’attenzione fortissima attirata da Ipazia sul simbolo della Vergine - stavano mettendo a punto il simbolo della Vergine Madre di Dio”.48
La saggezza, la scelta di verginità e l’autorevolezza d’Ipazia fecero sì che la sua figura venisse dunque accostata a quella della Vergine Dike nell’ambito della resistenza pagana al Cristianesimo, come appunto si legge nei versi di Pallada. E Dike è citata almeno un paio di volte negli scritti di Sinesio, discepolo d’Ipazia, il quale anche dopo essere diventato cristiano, e addirittura vescovo di Tolemaide, in una lettera scritta poco prima di morire chiamava ancora la filosofa “madre, sorella e maestra, mia benefattrice in tutto e per tutto, essere e nome quant’altri mai onorato”.
Il conflitto che venne a crearsi tra il potere emergente del Cristianesimo e la cultura pagana ellenica di cui Ipazia era la più prestigiosa esponente del tempo (“peccatrice” anche perché donna in quanto si sa da Paolo che le donne potevano solo ascoltare ma non insegnare)49 s’inasprì a tal punto che i fondamentalisti cristiani trucidarono la pensatrice aggredendola in strada nel marzo del 415.
Secondo la Storia ecclesiastica del cristiano Socrate Scolastico, scritta una ventina d’anni dopo l’omicidio, il loro furioso odio sarebbe stato scatenato dalla convinzione che Ipazia, in virtù della sua influenza su Oreste, impedisse al prefetto di trovare una via di conciliazione con Cirillo. Lo Scolastico descrive così il feroce assassinio: “certi sgherri temerari e violenti, alla cui guida era Pietro, un lettore di quella Chiesa, aspettarono la donna che tornava a casa […] e la tiraron fuori dal carro trascinandola in una chiesa chiamata Cesarion: le strapparono le vesti di dosso; sfregiarono la sua pelle e lacerarono le carni del suo corpo con affilate conchiglie, fintanto che non esalò l’ultimo respiro; squartarono il suo corpo e ne portarono le parti in un luogo detto Cinarion dove le ridussero in cenere”. Oreste sollecitò un’inchiesta a Roma, che però venne rimandata e poi archiviata “per mancanza di testimoni”; e Cirillo “arrivò a dichiarare che Ipazia era viva e viveva ad Atene”!50
Il neoplatonico ateniese Damascio (480-550) nella sua Vita Isidori andò oltre, accusando Cirillo di essere stato il mandante del massacro d’Ipazia poiché l’avrebbe considerata il vero capo carismatico della città, data l’ammirazione di cui questa sagace erudita godeva sia fra il popolo sia fra i potenti. Si sarebbe quindi trattato di un conflitto non tanto religioso quanto di autorità.
L’efferato episodio, che costituisce un evento altamente simbolico nel fatale transito dal pur patriarcale paganesimo, ma avido di scienza e sapienza, all’ottusità della fede in un Dio unico cloaca dei dolori del mondo, subì poi una rivisitazione sfacciatamente mistificatoria da parte di Giovanni vescovo di Nikiu nel seguente brano della sua Cronaca che non richiede commenti.
“In quei giorni apparve in Alessandria un filosofo femmina, una pagana chiamata Ipazia, che si dedicò completamente alla magia, agli astrolabi e agli strumenti di musica e che ingannò molte persone con stratagemmi satanici. Il governatore della città l’onorò esageratamente perché lei l’aveva sedotto con le sue arti magiche” e “cessò di frequentare la chiesa com’era stato”, invece, “suo costume. [...] E non solo fece questo, ma attrasse molti credenti a lei ed egli stesso ricevette gli increduli in casa sua”. Un giorno “una moltitudine di credenti in Dio si radunò sotto la guida di Pietro il magistrato, un credente in Gesù Cristo perfetto sotto tutti gli aspetti, e si mise alla ricerca della donna pagana che aveva ingannato le persone della città e il prefetto con i suoi incantesimi. [...] la trovarono seduta su un’alta sedia. Dopo averla fatta scendere la portarono nella grande chiesa detta Cesarion. [...] Poi le lacerarono i vestiti e la trascinarono attraverso le strade della città finché morì. E la portarono in un luogo detto Cinarion e bruciarono il suo corpo. E tutte le persone circondarono il patriarca Cirillo e lo chiamarono ‘il nuovo Teofilo’ perché aveva distrutto gli ultimi resti dell’idolatria nella città”. Amen.

Ipazia è morta? Eterna vita a Ipazia!

 

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Degli arrampicamenti sugli specchi, ovvero lo smontaggio antropologico del Cristianesimo

Ci sono eventi storici che più di altri dimostrano, con le prove del tempo, una valenza metaforica speciale, che li rende cioè particolarmente significativi, come appunto il Concilio di Efeso del 431, che - lo abbiamo visto - si è rivelato un nodo cruciale nel processo di distorsione delle Dee arcaiche in chiave mariana. Ma l’analisi di quest’avvenimento, lungi dal rimanere fine a se stessa, ci indica un metodo per smantellare il meccanismo del Cristianesimo senza limitarci a critiche genericamente ideologiche: quello di esaminarlo da un punto di vista antropologico per comprenderne sia la genesi storica in tutta la sua spietata perversione, sia i molteplici arrampicamenti sugli specchi tentati dalla Chiesa per far accettare i propri assunti teologici rivestendoli con marcati richiami alla paganità.
Un’opera di smontaggio culturale che, se da un lato è preziosa per farci capire qualcosa di più sugli sviluppi sacrali della nostra specie, dall’altro può aiutarci a individuare dentro di noi le trappole di quell’etica cristiana che inevitabilmente - per il tipo di civiltà in cui siamo cresciute e cresciuti - finisce per lavorarci dentro e talvolta imporsi se non ne prendiamo lucida consapevolezza.
E poiché il senso del Divino è un fattore ancora indispensabile per la psiche umana occorre anche elaborare una nuova formula esistenziale, una visione innovativa delle cose che permetta di vivere afflati sacrali senza creare ulteriori forme devozionali o religiose. Di queste ne abbiamo già avute abbastanza e si è visto - ahimè - con quali risultati...
La strada da imboccare è ormai un’altra e non può più essere rimandata, pena l’incancrenirsi in equazioni di pensiero ammuffite o che di nuovo hanno esclusivamente il nome. Le rivoluzionarie scoperte e ipotesi del Quantismo, gli sconvolgenti scenari che stanno rimodellando la nostra idea della Terra e dell’universo e la neo-percezione del corpo innescata dall’ingegneria genetica, che a qualcuno/a può apparire inquietante ma che per la sua inevitabilità richiede comunque di essere cavalcata, sono solo alcuni dei numerosi fattori scardinanti che c’invitano a mettere in discussione e a ridisegnare con più ampi confini la mappa della nostra Coscienza, sia personale che collettiva.
La Dea può essere un’ottima bussola per esplorare anfratti e pieghe della Storia e della sua esegesi. Potremmo scoprirne delle brutte ma anche delle belle, di molto belle. E in ogni caso è un’Avventura che merita di essere vissuta con tutto il nostro cuore, tutta la nostra anima e tutto il nostro intelletto, nella speranza-auspicio che i singoli sentieri individuali trovino uno sbocco comune per realizzare il sogno utopico di una Nuova Donna, di un Nuovo Uomo, di una Nuova Umanità.

 

NOTE

1. Vedi Mary Daly. Al di là di Dio Padre. Verso una filosofia della liberazione delle donne, Editori Riuniti, 1991, p. 114, dov’è riportata questa frase tratta da The first sex di Elizabeth Gould Davis: “La Chiesa sembrava condannata al fallimento, destinata a perire nel sangue tra i cadaveri insanguinati delle sue vittime, quando il popolo scoprì Maria. E solo quando Maria, andando contro i rigidi decreti della Chiesa, fu dissepolta dall’oblio in cui l’aveva confinata Costantino e si identificò con la Grande Dea il cristianesimo venne finalmente tollerato dal popolo”.

2. Matteo 1, 32.

3. Cfr. Erich Neumann. La Grande Madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio, Astrolabio, 1981, p. 309: “Attraverso lo hieròs gámos con la luce e il fuoco vengono infiammati il principio femminile superiore e inferiore e ancora Maria è igne sacro inflammata. [...] Cristo quindi è anche lo sposo di Maria-Chiesa, che è e rimane sua madre”. Il parallelismo Maria-Chiesa, impostato da Ireneo, fu poi rielaborato da Origene in rapporto al tema della Sponsa Christi.

4. Dal De laudibus Virginis Matris, citato in: Rosalba Piazza. Adamo, Eva e il Serpente, La Luna, 1988, p. 117.

5. Lumen gentium 56, in: Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, 1992, Punto 488. La contrapposizione Maria-Eva fu un tema iconografico molto diffuso nel Medioevo.

6. Corinzi I, 15, 45.

7. Ai Punti 505 e 510.

8.Genesi 3, 15.

9. L’Assunzione di Maria, celebrata fin dal VI secolo, è diventata dogma nel 1950 durante il papato di Pio XII.

10. Simone de Beauvoir. Il secondo sesso, Il Saggiatore, 13. ed., 1991, p. 219.

11. Cfr. Punto 971 del Catechismo della Chiesa Cattolica, cit., dove si legge appunto che il culto della Madonna deve differire dall’adorazione, che può essere prestata unicamente “al Verbo incarnato”, “al Padre e allo Spirito Santo”.

12. Vedi per esempio Neumann. La Grande Madre, cit., tavole 26-27.

13. Maria incoronata o comunque ritratta in atteggiamento regale compare dal VI-VII secolo in poi. Anche l’allattamento è un motivo ricorrente, come dimostrano le numerose “Madonne del latte”.

14. Per il Figlio in grembo alla Dea Madre vedi Neumann. La Grande Madre, cit., tavole 32, 33, 37, 38, 39, 40, 42, 44, 45, 46, 47 e 147; la 164 mostra invece la Madonna con il Bambin Gesù.

15. In Europa ci sono più di 500 Madonne Nere, una delle quali si trova nella Cattedrale di Chartres a Parigi, città che secondo una nota leggenda sarebbe stata fondata proprio da Iside.

16. Cfr. Neumann. La Grande Madre, cit., p. 223-224, dove a proposito delle tavole 96 (Annunciazione, da un affresco di Sorpe, Spagna, XII secolo) e 97 (La Vergine Maria, dipinto, Maestro del Reno Superiore, Germania, 1400 circa), pubblicate insieme alle altre in appendice al suo libro, lo studioso commenta: “Il significato della Grande Madre che fila il fato può esser seguito […] fino alla tarda configurazione della Madonna. Benché nella coscienza dell’artista fosse presente solo l’intenzione di dipingere la Madonna in un’attività femminile quotidiana, il processo ha dato luogo in modo inconsapevole a un grandioso effetto archetipico. Nell’Annunciazione dell’antico artista catalano la Madonna è ancora la Grande Dea che fila il destino - in questo caso il destino della redenzione del mondo. [...] Anche in un’altra immagine, raffigurante una Madonna, della Germania meridionale la filatura appare anzitutto un tratto idillico-domestico”: pure qui, tuttavia, “è stata penetrata la struttura archetipica. Il filo obliquo passa, intenzionalmente o no, per il centro della Madonna, nel quale cresce il bambino raggiante: l’atto di filare riprende così il suo significato originario e la madre diviene una Dea che fila il fato, mentre il bambino diviene il tessuto tramato dal suo corpo”.

17. Cfr. ivi, p. 264, dove si legge che per il suo legame con la terra e la fecondità la Grande Dea è spesso “legata con un simbolo vegetale: in India e in Egitto col loto; come Iside, come Demetra e, in seguito, come Madonna con la rosa. Fiore e frutta appartengono ai tipici simboli che la Dea madre-figlia greca tiene fra le mani”, inoltre la spiga è il simbolo sia di Cerere sia di Maria, “che quale Madre Terra è la Madonna delle spighe”; e a p. 263 di questo saggio è in proposito mostrata La Madonna dei covoni, incisione su legno, forse bavarese (1450 circa). Cfr. anche Frances A. Yates. Astrea. L’idea di Impero nel Cinquecento, Einaudi, 1978, p. 47: “L’assimilazione della Virgo alla Vergine giunse a [...] influire sul simbolismo mariano. Esiste una tipologia della Vergine che la dipinge avvolta in un abito coperto di spighe di grano; […] in questi casi la Santa Vergine aveva derivato la spiga proprio dalla Virgo”.

18. Per Maria come barca sul mare vedi Neumann. La Grande Madre, cit., tavola 118 (miniatura da un salterio jugoslavo). Per Maria come trono di Salomone vedi Allan Dean McKenzie. The Virgin Mary as the throne of Solomon in medieval art, New York University, 1965, dove la connessione - che talvolta implica ulteriori figure simboliche legate alla Madonna, come il leone e la mandorla di luce - è evidentemente con la Sapienza, altro attribuito della Vergine. L’idea di Maria come trono (e dal 15° secolo il trono con leoni scolpiti venne identificato con il trono di Salomone come una pars pro toto) o sede del “Vero Salomone”, ossia Cristo, fu elaborata fra il IV e il XIII secolo da autori quali Lattanzio, Agostino, Bernardo di Chiaravalle e Alberto Magno; quest’ultimo, in particolare, dedicò al binomio un sermone intitolato Maria thronus, che influenzò moltissimo l’iconografia pittorica del modello. Quanto a Iside il geroglifico che la indica è lo stesso di “trono”, una figura che spesso appare sulla sfera tra le corna della Dea. Il faraone, quale sintesi microcosmica del macrocosmo Egitto, acquisirebbe dunque l’energia, la saggezza, la salute fisica e soprattutto il suo misterioso potere fecondante dal seggio su cui siede e al quale aderisce come fosse la Madre da cui è sorto e continua a suggere nutrimento. Un’interpretazione ovvia se si pensa che il faraone s’identificava da vivo con Horus, figlio appunto di Iside, e dopo la morte con Osiride, al quale la Dea sua sposa aveva ridonato l’esistenza in un contesto mitico di resurrezione. Il trono manifesterebbe così il fermento vitale che proviene da Iside e che come una corrente investe e fa rinascere il faraone ogniqualvolta vi si siede nella solenne pienezza della sua regalità.

19. Nella fattispecie con la stella a 8 punte; inoltre il suo manto è a volte punteggiato di stelle.

20. L’immagine della mandorla in attinenza alla Madonna è stata piuttosto frequentata dall’iconologia medievale, sia come figura che contiene Maria (e in questo caso rappresenta la “mandorla mistica” della sua verginità), sia come contenitore del Cristo (ovvero come corpo della Vergine Madre che contiene il Dio).

21. Vedi Neumann. La Grande Madre, cit., tavola 131, dove un arazzo del Trecento mostra la Madonna assisa su un trono con due leoni ai lati. Già nella porta lignea di Santa Sabina a Roma, risalente al V secolo, Maria è raffigurata seduta su un alto seggio con zampe di leone; inoltre il leone è a sua volta associato a Maria come “trono di Salomone” (vedi nota 18).

22. Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, cit., Punto 721: “Maria è cantata e rappresentata nella Liturgia come Sede della Sapienza”.

23. Regina Coeli, Vas Sapientiae, Stella Matutina, Speculum Justitiae, Rosa Mistica, Domus Aurea.

24. Vedi Lumen gentium 59 dal Concilio Vaticano II: “l’immacolata Vergine, preservata immune da ogni macchia di colpa originale, fu assunta alla celeste gloria col suo corpo e con la sua anima e dal Signore esaltata come la Regina dell’universo perché fosse più pienamente conformata al Figlio suo” (Punto 966 del Catechismo della Chiesa Cattolica, cit.).

25. Cfr. Apuleio. L’asino d’oro, Garzanti, 2. ed., 1977, p. 59, laddove Iside si presenta in tutto il suo splendore al protagonista: “Eccomi o Lucio, […] io la ma­dre della natura, la signora di tutti gli elementi, l’ori­gine e il principio di tutte le età, la più grande di tutte le divinità, la regina dei morti, la prima dei celesti, colei che in sé riassume l’immagine di tutti gli dei e tutte le dee, […] la cui potenza, unica, tutto il mondo onora sotto varie forme, con diversi riti e differenti nomi”; ma “gli Egizi, così grandi per la loro antica sapienza […], mi chiamano con il mio vero nome: Iside Regina”. Da notare che anche la Madonna ha un rapporto privilegiato con il cielo (in consonanza con il colore che più di ogni altro la caratterizza: il celeste) e con l’aldilà, essendo intermediaria tra il regno della vita e quello della morte.

26. A questo papa si deve anche il Sillabo (1864), in cui condannò tutte le dottrine non/anti-cattoliche del tempo e in generale il libero pensiero.

27. Sacrosanctum Concilium 52 (in Catechismo della Chiesa Cattolica, cit., Punti 499 e 510). Fu il vescovo Ambrogio di Milano (contemporaneo di Teofilo, zio e predecessore di Cirillo - di cui parleremo più avanti - nell’episcopato di Alessandria) a sviluppare la teoria della “matrice” intatta della Vergine anche dopo il parto.

28. Fra le più celebri Madonne “mantellate” vedi la Madonna della Misericordia del Ghirlandaio nella Chiesa d’Ognissanti a Firenze, la Madonna delle Grazie dipinta da Giovanni di Paolo a Siena nel 1437 e la Madonna della Misericordia di Piero della Francesca (1443), oggi nella Pinacoteca di Borgo San Sepolcro. Il modello apparve per la prima volta nel 1264 sul gonfalone della Confraternita dei Raccomandati, fondata da san Bonaventura in Santa Maria Maggiore (proprio la chiesa che fu edificata in seguito al Concilio di Efeso); in quell’immagine tuttavia la Vergine copriva solo i membri della Confraternita.

29. Il manto di stelle fu un elemento adottato spesso nell’iconografia mariana bizantina.

30. Neumann. La Grande Madre, cit., p. 223-224.

31. Le Vierges ouvrantes, che si diffusero a partire dal XIII secolo nell’Europa Centrale, fungevano da tabernacoli o reliquiari.

32. Vedi Neumann. La Grande Madre, cit., tavole 176-177.

33. Ivi, p. 328.

34. Il Protovangelo di Giacomo risale al 200 circa ed è uno dei documenti apocrifi diffusi in Oriente che cercavano di colmare le lacune relative alla vita e all’infanzia di Maria di Nazareth.

35. Vedi Neumann. La Grande Madre, cit., tavole 180-181.

36. Talvolta la mitologia orfica ha tramandato che la madre divina di Dioniso fosse Persefone.

37. Ecco come riassume la vicenda Giuseppe Alberigo nell’introduzione a Decisioni dei Concili Ecumenici, UTET, 1978: Cirillo “si ritenne in dovere di scrivere al suo collega di Costantinopoli indicandogli l’errore in cui era caduto e richiamandolo all’ortodossia (fine estate 429). Non avendo avuto una risposta soddisfacente, Cirillo incalzò Nestorio con una seconda lettera all’inizio del 430, alla quale il vescovo di Costantinopoli rispose in giugno. Nella medesima estate il conflitto si allargò, coinvolgendo anche il vescovo di Roma, Celestino, chiamato in causa da Cirillo. A Roma un sinodo dell’agosto 430 condannò Nestorio, condanna rinnovata da un sinodo egiziano nel novembre successivo. Subito dopo Cirillo indirizzò a Nestorio una nuova lettera, che non solo ribadiva la dottrina ortodossa, ma formulava dodici proposizioni (anatematismi) che Nestorio avrebbe dovuto sottoscrivere se avesse voluto riguadagnare l’ortodossia. [..] A questo punto l’imperatore Teodosio Il, forse consigliato da Nestorio, decise di convocare un concilio ad Efeso per assicurare la pace e la tranquillità della chiesa. Vi furono invitati anche il vescovo di Roma e Agostino, famoso vescovo di Ippona, che però morì prima di poter ricevere l’invito. Il papa inviò dei legati. A Efeso, sul Bosforo, giunse per primo il gruppo dei vescovi egiziani, guidato da Cirillo. Questi decise di rompere gli indugi e il 22 giugno aprì il concilio, che questa volta si riunì in una chiesa, quella dedicata a Maria. Malgrado l’assenza dei legati romani e dei vescovi antiocheni e l’opposizione del rappresentante dell’imperatore il concilio cominciò i suoi lavori sotto la direzione di Cirillo. Nestorio, pur essendo a Efeso, non osò presentarsi, tanto una simile assemblea gli era ostile. [...] i 197 vescovi presenti approvarono e sottoscrissero la sentenza di condanna di Nestorio. Solo allora Cirillo aggiornò la seduta. Quattro giorni più tardi, quando giunsero, gli antiocheni non poterono far altro che riunirsi in concilio separato. Il 29 giugno un rescritto di Teodosio annullava le decisioni di entrambe le assemblee. Le riunioni furono riprese solo dopo il 10 luglio, quando erano sopraggiunti anche i legati romani. Questi appoggiarono incondizionatamente Cirillo e la condanna di Nestorio [...] Il concilio si concluse alla fine di luglio [...] Cirillo riuscì abilmente a rientrare ad Alessandria; Nestorio, deposto, ritornò al monastero di provenienza. Ancora una volta fu Cirillo a prendere l’iniziativa di cercare un’intesa con il gruppo più moderato dei suoi avversari, i vescovi antiocheni. Ciò fu possibile [...] nel 433, intorno ad una ‘formula d’unione’. In essa [...] si confessava Gesù Cristo come ‘perfetto Dio e perfetto uomo [...] generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, nato alla fine dei tempi dalla vergine Maria secondo l’umanità; consustanziale al Padre secondo la divinità e consustanziale a noi secondo l’umanità’ e che ‘la vergine santa è madre di Dio (cioè theotókos)’. Si realizzava così una convergenza che [...] isolava Nestorio, il quale dal 436 fu esiliato sino alla morte (451). La ritrovata concordia fu sanzionata dall’adesione di Sisto III, vescovo di Roma, il quale in questa circostanza fece costruire la grande basilica di Santa Maria Maggiore e volle che fosse decorata con mosaici che celebravano la Vergine madre di Dio” (p. 21-23). Da evidenziare che questa basilica accoglie l’icona di Maria Salus Populi Romani attribuita a Luca, il santo cui furono ascritti molti dipinti di Madonne Nere.

38. La festa - che inizialmente veniva celebrata il 26 dicembre - venne istituita da Pio XI proprio per commemorare il 1500° anniversario del Concilio di Efeso. L’Enciclica emanata per l’occasione fu la Lux Veritatis del 25 dicembre 1931.

39. Efeso, in Lidia, fu fondata secondo la leggenda verso il I millennio a.C. Aveva un porto commerciale di rilievo e nel mondo antico era considerata una città d’impareggiabile splendore.

40. È peraltro nella Lettera agli Efesini (5, 22-24) che Paolo di Tarso rivela la sua eccezionale attitudine maschilista, così esortando: “Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto”.

41. Fondato nel 560 e distrutto nel 356 a.C. da un incendio doloso il tempio fu ricostruito a spese degli efesini e delle efesine (le donne erano impegnate nel culto di Artemide). Interessante un collegamento leggendario - quasi metaforico in questo nostro percorso - fra la Dea di Efeso e il fondatore di Alessandria. Scrive infatti Cicerone nel suo De natura deorum (II, 27, 69): Timeo dopo aver narrato “che Alessandro era nato nella stessa notte in cui era bruciato il tempio di Diana Efesia aggiunge che questo fatto non è per nulla strano, perché Diana”, ossia Artemide, “era lontana dalla sua residenza volendo essere presente al parto di Olimpiade”, madre appunto del macedone.

42. Anna Caterina Emmerich, che viveva - si racconta - senza cibarsi e le cui rivelazioni furono raccolte dal celebre poeta Clemente Brentano, sostenne che Giovanni avrebbe costruito a Efeso per Maria una casetta in pietra su una montagna a poca distanza dalla città. La suora descrisse nei minimi particolari quest’edificio, dietro il quale la Vergine avrebbe eretto una Via Crucis, poi effettivamente rinvenuta insieme alla casa. Secondo Emmerich la Madonna morì lì, ma il suo corpo - che era stato avvolto in un sudario e deposto in una grotta - scomparve misteriosamente, suscitando scalpore tra gli apostoli presenti, uno dei quali era Tommaso. Della tomba di Maria si occupò anche un’altra veggente stimmatizzata, suor Rosalia Put (1868-1919, belga), che rimase 25 anni paralizzata a letto e di cui si dice possedesse la facoltà di bilocazione. La tomba, da lei indicata con tanta precisione, non è stata comunque ritrovata.

43. Il nome Ipazia deriva da un aggettivo che significa “somma, incomparabile, eccelsa”.

44. Come Arete (370-340 a.C.), che guidò alla morte del padre Aristippo la scuola cirenaica di filosofia, o Asclepigenia, che diresse la cattedra filosofica di Atene insieme al padre Plutarco (morto verso il 430).

45. Margaret Alic. L’eredità di Ipazia, Editori Riuniti, 1989, p. 65.

46. La Biblioteca decadde durante l’Impero romano (l’Egitto divenne colonia romana nel 30 a.C.). La sua distruzione a causa di un incendio, invece, è probabilmente leggendaria.

47. L’identificazione con il prototipo della Vergine in chiave politico-regale fu un tratto caratteristico - ma con ben altro spessore - anche di Elisabetta I d’Inghilterra, come dimostra la Yates nel suo citato saggio Astrea (vedi nota 17). Sulla regina e su questo particolare aspetto cfr. anche il finale del film Elizabeth di Shekhar Kapur (1998).

48. Gemma Beretta. Ipazia d’Alessandria, Editori Riuniti, 1993, p. 221.

49. Prima lettera a Timoteo 2, 11-15: “La donna ascolti l’istruzione in silenzio, con piena sottomissione. [...] non permetto alla donna di insegnare né di dettar legge all’uomo, ma se ne stia in pace. Prima, infatti, fu formato Adamo e solo dopo Eva; e non fu Adamo il primo a essere sedotto, ma fu la donna che si lasciò sedurre, tanto che giunse fino alla trasgressione”.

50. Alic. L’eredità di Ipazia, cit., p. 65-66.

 

Selene Ballerini (akkpan@alice.it)

Segretaria nazionale dell’associazione culturale “Akkademia PanSophica”, già partecipe di Progetto Elissa per lo studio sulle tradizioni sibilline (con una speciale attenzione alla Sibilla Appenninica), ma soprattutto Magista appassionata, si occupa da moltissimi anni di tematiche connesse alla Sacralità Femminile per contribuire a una riformulazione della coscienza individuale e collettiva. Ha partecipato a quasi tutte le riviste esoteriche e ufologiche italiane a partire dal 1979 (oggi è presente con assiduità su Re Nudo. La rivista per la rivoluzione dell’essere), ha scritto racconti fantastici, fantascientifici e horror - in buona parte editi – e sceneggiato l’opera teatrale Crezia, accusata di stregherie nella Lucca di quattro secoli fa (2002), interpretata da Ottavia Piccolo e Marco Messeri. Ha secreto le didascalie “magiche” del catalogo d’arte Icone, voci e sentieri della Dea Primordiale della pittrice e illustratrice Octavia Monaco (Cervino 2007), curato e prefato numerose opere - di cui l’ultima è La Stregoneria oggi (Venexia ’07) di Gerald Gardner, “fondatore” della Neo-Stregoneria Wicca – e tradotto il testo cult di Marija Gimbutas Il linguaggio della Dea (Venexia 2008).
È autrice dei libri Il Corpo della Dea. Giochi e Misteri della Sapienza Femminile (Atanòr 2002) - da cui ha elaborato l’evento multimediale Nelle Spire della Draco. Voci, cuori e memorie di antiche e nuove Streghe, messo in scena con la sua Compagnia teatrale PanSophica - e, pubblicati dall’editrice Akkuaria, I 7 Veli di Iside la Nera (2004), Danzare tra i Mondi (’07) e La Danzatrice del Futuro. Isadora Duncan alias Lavinia King (’07), usciti nella serie da lei curata: Le Spirali di Iside. La sua ultima opera, edita nel 2009 da Venexia, s’intitola I Ching, l’Arte del Mutamento. Applicazioni e Magie ed è appunto un’esplorazione di quest’arcaico Oracolo cinese magico, metamatematico e sapienziale.

tratto da Atti del Convegno "Dopo la Dea", Bologna, febbraio 2004.

18-04-2010

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