Compagne di parola. Storie di donne del collettivo femminista di Via Donizetti Cagliari
Barbara Mapelli


Nel 1972 nasce a Cagliari il collettivo femminista di Via Donizetti, a distanza di quattro decenni alcune donne che ne hanno fatto parte si ritrovano e scrivono, di sé e di quell’esperienza, o forse è meglio dire di ciò che  anche quella esperienza ha insegnato per conoscersi meglio, pensarsi e narrarsi.
Le storie si intrecciano, trovano  alcuni percorsi, crucialità comuni, mantengono però la loro caratteristica individuale: una qualità che deriva direttamente dal sapere e dalla pratica femministe, la capacità di preservare l’unicità dei soggetti pur nell’appartenenza a una realtà collettiva, con obiettivi, modi di condivisione scelti insieme.
Parole, come è detto nel titolo, che sono la trama di quel viaggio di scrittura che ciascuna col suo racconto offre alle altre e a noi.
Si tratta di storie autobiografiche che non si propongono in una sequenza temporale scandita dal succedersi dei tempi di vita, ma che aprono squarci narrativi sul passato rivisto con lo sguardo del presente, reso sapiente dall’esperienza di ognuna, dall’esperienza soggettiva nel collettivo che ha cambiato l’esistenza di tutte e ha trasformato i vissuti in pensieri di sé e sulle altre.

L’infanzia. Dominano le figure delle nonne, austere e solenni, le sempre vestite di nero. “La prima mattina mia nonna Luigina, alta, magra, gli occhi celesti e tutta vestita di nero per la vedovanza, mi preparò il caffelatte col latte della capra e mi chiese ‘ti piace?’. Sì, le risposi e lei sorrise di soddisfazione vedendomi svuotare la scodella”. “Nonna era l’autorità massima e indiscussa nell’ambito familiare allargato, la sua giurisdizione e consulenza, mai imposta e sempre ricercata, si esercitava negli ambiti e sui problemi ritenuti importanti”.
Le nonne, come gli altri ricordi d’infanzia, tracciano le mappe di molti io che inevitabilmente si incontrano con le figure di adulti e dipingono gli anni del dopoguerra, visto con occhi di bambina. Madri amate e odiate, “ho amato mia madre con tutto il cuore e con la medesima intensità l’ho odiata”. Madri che raccontano della gravidanza, vissuta tra i rumori inquietanti dei bombardamenti, “uaaaa, uaaaa, ratata, ratata, buuum, buuum, che sono rispettivamente i suoni dell’allarme, delle mitraglie  della contraerei, e delle bombe che venivano lanciate dagli inglesi sulla città di Cagliari il settembre del 1942 (…) quando, per effetto dgli spostamenti d’aria derivanti dalle bombe, ruzzolava, con me dentro il pancione, nelle scale di casa o davanti al mercato rionale di Santa Chiara o del Largo Carlo Felice”.
Ma anche padri: “io mi ricordo la luce gialla dei lampioni di viale Poetto quando, a sera inoltrata, tornavo a casa sulla 500 color crema di mio padre, io e lui soli”, “mio padre tornava dal lavoro con la vespa da Pimentel alle tre del pomeriggio. Mangiava da solo. Non parlava. Io stavo in cucina e non sapevo cosa dire. Il silenzio mi pesava, si sentiva solo il cucchiaio nel piatto”.

La maternità.
Le storie raccontano quello che ogni vita di donna incontra: sia che si scelga di essere madri, sia che si scelga di non esserlo, la maternità è un passaggio inevitabile per ognuna, un pensiero col quale occorre fare i conti, cruciale per comprendersi e comprendere il proprio progetto biografico.”Scegliere di vivere senza legami di sangue significa assumersi la totale responsabilità della valenza morale della propria vita. Niente ti aiuta nel conferirle nobiltà. Solo tu puoi renderla abietta o sublime”, “non esiste nessuna esperienza, ritengo, complessa e profonda come la maternità. Nessuna che duri, come questa, tutta la vita (e anche oltre la morte di uno dei due soggetti, e anche prima della vita, anche se a noi non ne resta memoria)”, “ho imparato presto cosa significasse ‘il pancione’: era l’impedimento e la sottrazione di giochi e attività gradevoli. La mia percezione negativa trovava riscontro nei commenti delle donne, sempre accompagnati da un sospiro di compassione (…): mischina, mancat ancora po s’allebiai (meschina, poveretta, ne deve passare ancora di tempo prima che possa alleggerirsi)”. Ma la maternità si trasforma nel passare degli anni, diviene ancora più difficile viverla nel rispetto di chi si è messo al mondo, “un figlio, una figlia sono parti di te che prendono un’altra strada, talvolta così distante dalla tua che non riusciresti a seguirla se non perdendo te stessa. E’ possibile uno sguardo amoroso a distanza? Poiché è necessario, è necessariamente possibile”.

Il collettivo
. “Ci si incontrava il martedì, giorno e ora delle riunioni sono stati da subito ‘blindati’, pubblicizzati e rimasti sempre inalterati (…) nasce omogeneo, formato da giovani donne guerriere che avevano alle spalle una lunga lotta individuale , condotta in solitudine (…) energie di rivolta che dalla passione di una di noi passava al piccolo gruppo, poi al collettivo tutto e finalmente all’esterno”. E colpisce il significato che si offre alla parola rivoluzionario, qualcosa che segna la differenza, profonda, del femminismo rispetto a ogni altro impegno politico e civile. “Vi era, finalmente,il gusto del superfluo. Ed era proprio questo, proprio il gusto per ciò che, comunemente, viene detto superfluo, che io trovavo rivoluzionario (…) perché esprimeva la consapevolezza che un essere umano non è fatto di mere funzioni biologiche, ma gli occorre, gli spetta lo slancio verso la realizzazione di tutta la completezza possibile, di tutta la complessità necessaria”.
Ma il collettivo di Via Donizetti vive anch’esso le contraddizioni e le difficoltà che incontra tutto il Movimento, in particolare la fatica di declinare e mantenere quella sorellanza così dichiarata e ricercata. Le differenze tra donne, i percorsi diversi segnano anche rotture, dispersioni, quella lontananza per alcuni decenni, che ora il lavoro di scrittura ha ricucito, cui ora ognuna ha portato la sua esperienza, tra distanza e un ricordare comune.

Resta in queste donne – e in noi come loro – forse la nostalgia o meglio la consapevolezza che questa sorellanza, rispettosa dell’unicità di ognuna e di tutte, permane come valore, come richiamo profondo in ognuna, al di là di delusioni inevitabili, del sapore acido di abbandoni e tradimenti. Sorre sorria - sorella, sorellanza.


Testi di Silvia Ambu, Maria Antonietta Calledda, Mariella Cao, M. Nella Caredda, Afra Carubelli, Lulli Castaldi,  Lella Lallai, Maria Grazia Longhi, M. Gabriella Mereu, Luisa Milia, Anna Rita Oppo, Luisa Salis.
Riuniti e presentati da Maria Grazia Longhi e Luisa Milia.

 

 

Compagne di parola.
Storie di donne del collettivo femminista di Via Donizetti Cagliari

Ed Aipsa, Cagliari 2013, euro 18

9-09-2013

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