Maria Rosa Cutrufelli, Il giudice delle donne

Barbara Mapelli

 

Scrive Maria Rosa, nel postscritto al suo romanzo,

Questo romanzo è, per l’appunto, un ‘romanzo’, opera di finzione, e tuttavia è anche un intreccio, una tessitura di storie e spunti narrativi pescati durante il lavoro di documentazione: gli scrittori, ha detto qualcuno, sono come gazze ladre che rubano tutto ciò che luccica…E la realtà, i fatti, le cose realmente accadute, sono molto luccicanti (p.250)

L’autrice dunque intreccia nella sua opera i diversi registri della conteuse, la narratrice di storie, e della ricercatrice dentro LA storia, mantiene assieme rigore e leggerezza, la curiosità della lettrice e del lettore per ciò che è accaduto realmente e l’emozione empatica nei confronti dei personaggi, che si alternano nelle pagine come voci narranti. Ed è, quest’ultima, un’ulteriore prova difficile e complessa per la scrittrice – ma non è la prima volta per Maria Rosa - che intreccia non solo storia e storie, ma linguaggi, punti di vista differenti secondo chi, tra i protagonisti, prende parola in prima persona.

Innanzitutto lei, Alessandra, la ‘maestrina’ – un diminutivo che si fa spesso spregiativo a partire dal primo incontro sul treno, durante il viaggio con la mamma verso la destinazione di lavoro, con un giovane ufficiale di marina – maestrina, maestrine, viene ripetuto spesso nelle pagine che seguono, e quasi mai con tono benevolo o neutro. Maestrine sono state invece quelle donne, perlopiù giovani, che all’inizio del Novecento si sono mosse, col loro titolo di studio, verso luoghi lontani da casa, spesso impervi, per lavorare, circondate dalla riprovazione generale e dai giudizi di scarsa moralità. La storia ci ha raccontato di molte di loro, molestate, isolate, rese disperate dalla solitudine e dalla riprovazione sociale. Non sono stati pochi i casi di suicidio.

Anche Alessandra non si sottrae al pregiudizio, pronunciato ancor prima che si insedi nel suo luogo di lavoro,

maestre che ormai sono un diluvio e tolgono il pane di bocca al loro colleghi maschi. Almeno fossero del posto! Invece vengono de fòra, insomma da fuori, nessuno le conosce e per di più cambiano in continuazione per via dei trasferimenti: oggi sono di qua, domani di là. Peggio delle zingare (p.18).

Eppure la giovanissima Alessandra parteciperà all’avventura straordinaria che dieci maestre, un po’ più grandi di lei, avviano, ottenendo, e superando vari gradi di giudizio, il diritto al voto,

secondo la vigente legge elettorale politica, le donne che possiedono gli altri requisiti di capacità, hanno diritto di essere iscritte nelle liste elettorali. Hanno diritto…hanno diritto! (…) ‘Dio mio!, ho detto, Hai attraversato l’arcobaleno’ (pp.153,54)

Ma dopo l’ennesimo ricorso, il ‘diritto’ viene cancellato.

Abbiamo perso. Il tempo dei miracoli è finito. Ero appena arrivata a questa conclusione, quando un signore in sala ha gridato: ‘Bene, bravo!’ e una delle signore col cappello fiorito gli ha fatto eco. Ha ripetuto anche lei bene! Bravo! E, mentre io mi irrigidivo dal collo alla pianta dei piedi, Olga ha sbuffato: ‘Eccola qua! Ecco la serva sciocca’(p.244)

La vicenda delle ‘maestrine’ disegna il quadro dei contrasti dell’Italia inizio Novecento. Donne che reclamano i loro diritti – e la presenza di figure autorevoli come Maria Montessori, qui presentata in una luce meno nota – e ‘serve sciocche’, gli incontri del ‘Comitato permanente per il suffragio’, “Sembrava di essere in una biblioteca, però più scompigliata, come percorsa da un fremito. Da un’urgenza di vita” (p.118), con tocchi di attenzioni e raffinatezze femminili – biscotti e biscottini, servizio d’argento di thè e caffè – in contrasto con la necessità della firma del marito che autorizzi l’inziativa della moglie, “ha preparato i documenti da far firmare a suo marito? Senza l’autorizzazione del marito, nessuna di voi potrà presentarsi in tribunale” (p.120).

E i contrasti generazionali,

‘Mi piacerebbe, cosa credi: una manciata di nomi femminili in aggiunta alle liste elettorali ed ecco spuntare un mondo tutto nuovo! Come no. Solo mia madre e le sue amiche sono tanto romantiche da crederci, beate loro’. Ha scosso il capo con rassegnazione e il mio pensiero è corso alla mamma, che questi discorsi non se li immagina nemmeno. Per lei il mondo è più che altro un disturbo alla quiete familiare (p.122)

E figlia e vittima dei contrasti, spesso drammatici, che vivono le donne all’inizio del secolo scorso, è l’altra protagonista, la piccola Teresa, la cui madre è morta cercando di procurarsi da sola un aborto. E la narrazione della scoperta da parte della figlia del corpo della madre apre con due straordinarie e tragiche pagine l’avvio del romanzo stesso. Teresa è muta a causa del trauma, ma l’ospitalità a casa del nonno che danno alla ‘maestrina’ le apre un nuovo mondo di affetti e di esperienze, che a poco a poco apprende a vivere e comprendere. Intorno a lei alcune figure semplici, dal nonno stagnaio ad Albina, che lava e lavora senza tregua e sembra sfruttare il lavoro stesso della bambina, ma ama la sua ‘ciuchina’.

Le figure maschili sono spesso tratteggiate come negative, o perlomeno a loro volta prigioniere di pregiudizi. L’abilità della narratrice affida ai diversi personaggi, al profilo che ne disegna, la pluralità del quadro della mascolinità dell’epoca: da Don Peppo, campione di pregiudizio, a Raniero il ‘falco’, il tombeur che mette incinta l’ingenua Lisetta, al professore che ignaro la sposa, occupato solo dai suoi irrilevanti studi storici, al direttore del giornale, abile equilibrista tra i contrasti sociali e politici che sa sfruttare per le sue pagine e che deve però sottoporsi abbastanza spesso a duelli a causa di quanto sul giornale si scrive. Infine anche un rapido accenno a Turati che così si pronuncia sull’Avanti, con tante questioni gravi e serie da affrontare, non è il momento di discutere di suffragio femminile…” (p.104). E inevitabilmente a noi che leggiamo il pensiero corre a quante volte abbiamo sentito questa frase, in tempi certamente non lontani. Ma a Turati questa posizione costò un litigio gravissimo, al limite della rottura, con la compagna di vita Anna Kuliscioff.

Figura machile è anche l’altro protagonista, Adelmo, giornalista che segue tutta la vicenda delle ‘maestrine’ e si innamora di Alessandra. E’ una figura positiva, un uomo intelligente e curioso, che a poco a poco comprende il senso dell’iniziativa elettorale femminile e moltiplica le sue attenzioni tra l’amore per la ‘maestrina’, le corse per il giornale, l’affetto per la madre signora Eufemia, anche lei campionessa di pregiudizio, e la sorella Lisetta, vittima del ‘falco’. L’amore tra Alessandra e Adelmo contribuisce a completare l’affresco del romanzo e non intralcia, né offusca o banalizza la complessità dell’architettura e, al contempo, la leggerezza della narrazione, l’apparente semplicità del linguaggio.

L’ultima scena è dedicata a Teresa, che aspetta la nave che la porterà al di là dell’oceano, dal padre. Anche in questa caso la simbologia non appesantisce il racconto, gli offre anzi la levità di un commiato col lettore o la lettrice.

Accucciandosi contro una gomena, le braccia serrate al petto, guarda la luce del giorno che cresce dinanzi a lei, impercettibilmente, assieme alla marea (p.248).

Ma quel mare è lo stesso che il padre di Teresa ha attraversato prima di lei come emigrato, è il mare che ha visto innumerevoli partenze, di tanti come lui, e molte morti cui l’autrice dedica una pagina e crea un legame con morti simili che avvengono ai giorni nostri.

La colpa è della nave, perché correva a tutto vapore e le caldaie sono scoppiate nel bel mezzo dell’oceano, dove nessuno ha potuto aiutare quei meschinelli chiusi dentro una pancia di legno (p.66)

Ancora una realtà di contrasti e un raccontare che si sviluppa all’interno del registro dell’ambivalenza, virtù a mio parere necessaria di ogni scrittura e narrazione che voglia essere fedele al dipanarsi della storia e alla finzione che alla storia offre volti, parole, esperienze. I libri di Maria Rosa Cutrufelli sono l’esempio di un sapere che si fa vero non perché si distacca dalla vita, ma perché alla vita fa continuo riferimento e le biografie dei personaggi inventati di un romanzo sono il tramite per conoscere ed entrare nelle vite vissute che compongono la Storia.

 

Maria Rosa Cutrufelli, Il giudice delle donne,
Frassinelli 2016 – euro 18, p.252

22 marzo 2016

 

Home