Uomini non educano uomini*

Barbara Mapelli

 

Ci sono pochi uomini – e in alcuni casi non ci sono proprio – nelle professioni educative e di cura. Questa assenza maschile l’ho spesso definita un’evidenza invisibile, per sottolineare come la sua permanenza abbia sempre rischiato di opacizzarla, renderla invisibile appunto come un fenomeno così naturale, così sotto gli occhi di tutti da non riuscire più a essere visto.

Ma se la si fa uscire dall’invisibilità questa assenza maschile ci interroga a fondo, appare come generatrice e conseguenza di molte e profonde  contraddizioni, silenzi nel mondo delle relazioni tra i due sessi, nel mondo della formazione ed educazione, tra gli streotipi di genere e nella divisione dei compiti e dei ruoli tra donne e uomini.
Crea contraddizioni e paradossi che dovrebbero farci pensare e  pensare contro, contro il sentire comune, che si accontenta di affermare è sempre stato così, è naturale quindi che sia così.

Eppure vi è in questi ultimi anni un cambiamento facilmente avvertibile nei desideri, propensioni degli uomni, che – a seguito anche dei mutamenti avviati dai movimenti delle donne – ambiscono a vivere in modo diverso le forme dell’affettività e dell’intimità che le norme di genere hanno loro precluso.
I cosiddetti nuovi padri ne sono l’esempio più evidente, ma allora, evitando o cercando di evitare i pericoli di nuovi stereotipi (il padre buono e accudente sta divenendo personaggio della pubblicità e delle copertine patinate), se gli uomini esprimono desideri legati alla sfera del prendersi cura, perché tutto questo non si traduce (ancora) in un accesso a tali professioni? Perché le pratiche educative e di orientamento di genere – in realtà assai scarse ed episodiche nelle scuole italiane – non si occupano di una segregazione formativa e lavorativa che non relega solo le donne in certi percorsi, prima formativi e poi professionali, ma anche gli uomini, indirizzati da un curricolo nascosto, ma proprio per questo tanto più potente, verso lavori ‘virili’, meglio retribuiti e di maggiore visibilità sociale?

Non credo che quello economico sia del tutto il fattore determinante queste scelte o non scelte degli studenti maschi, ma anche se così fosse indicherebbe una mentalità che ancora attribuisce il compito di breadwinner all’uomo, mentre la realtà non appare così univoca, in particolare tra la popolazione di lavoratori e lavoratrici giovani. Ma c’è indubbiamente un legame forte tra scelte stereotipate per genere, retribuzioni, valore sociale delle professioni e loro identificazione per sesso. Vi sono reciproche influenze di un fattore sull’altro, in un quadro di complessità che, comunque lo si osservi, deriva da culture diffuse, da simbolici radicati che guidano le opzioni individuali di donne e uomini, ne limitano le libertà.

Ma tornando al tema del rapporto uomini ed educazione, sintomo preciso di quanto dicevo in precedenza, occorre porsi ulteriori domande. Queste assenze o scarse presenze maschili  hanno e avranno conseguenze sul futuro di tutte e tutti e, in particolare, di chi verrà dopo di noi, che si troverà immerso e imersa in una realtà in cui vedrà – ancora - le donne prendersi cura, nelle case e nei lavori professionali, e gli uomini occuparsi d’altro, spesso invisibili o poco presenti agli occhi di chi è piccolo e piccola o di chi, a diverso titolo, ha bisogno maggiormente di cura, apparendo incapaci di fare ciò che le donne fanno da sempre. Immerse e immersi, bambine e bambini, adulte e adulti del futuro in un mondo ancora popolato di divisioni, stereotipi vincolanti, norme assai poco e insufficientemente criticate, che assegnano diversi compiti e competenze, ma anche vocazioni all’uno e all’altro sesso.

E’ una responsabilità che intendiamo assumerci davanti alle nuove generazioni?
Che relazione  tra educazione e cura, come è cambiata nel tempo questa relazione e come si propone, si rende visibile o meno nelle scelte o non scelte degli uomini?
E’ vero che gli uomini non hanno mai imparato, o è stata un’esperienza loro negata, e quindi non sanno, non possono, non vogliono prendersi cura degli altri e delle altre?

Non esiste dunque una cultura e una pratica di cura maschile? Una tradizione e un sapere da riconoscere e ritrovare, forse sommerso, nelle storie maschili, da altre norme, da saperi considerati di maggior valore, per cui la cultura di cura è apparsa negazione della virilità stessa, non desiderabile quindi, non praticabile se non a costo di un impietoso giudizio sociale.
E se è così, sanno, vogliono gli uomini ritrovarla o reinventarla?
E questa scoperta o riscoperta potrà mutare le immagini, anche interiorizzate dagli stessi soggetti, di ciò che sono, possono rappresentare le diverse forme di mascolinità? E cambiare le relazioni tra i due sessi, separare o avvicinare i differenti modi, di donne e uomini, di prendersi cura?

E infine – e la domanda è centrale a tutto quanto detto, poiché tocca per la sua drammaticità un problema che dilaga e opprime la vita condivisa di donne e uomini nel mondo, nel lavoro e nell’intimità delle case – l’avvicinarsi maschile alle culture di cura, la possibilità di nuove elaborazioni e pratiche, di cura e di relazioni pedagogiche, rinnovate, moltiplicate tra generazioni di uomini, le proposte e la vicinanza con modelli positivi del maschile non sono forse l’unica forma di prevenzione e contrasto efficaci alla violenza sulle donne? Un maschile disorientato, fragile, vulnerabile, ha bisogno di ‘maestri’ del proprio sesso, per imparare che si può essere uomini diversi, che il mutamento delle donne non deve spaventare, non è necessariamente una perdita, anzi apre varchi anche a nuove libertà maschili, a possibilità di rapporti pià armonici tra i sessi.

Questo discorso non può che riguardare una riflessione complessiva sul significato del divenire donne e uomini nella contemporaneità, un divenire che si misura innanzitutto con le offerte e le capacità di un contesto sociale e culturale che sa dare occasioni, strumenti critici, parole adeguate, costruire sensibilità e competenze per discutere delle questioni che ho posto in precedenza e delle altre che da quelle si generano.
La proposta dunque di un’educazione di genere come contrasto e argine alla violenza, e la sua pratica condivisa, occorre divenga un’alleanza e un contratto di nuova vita tra donne e uomini, per noi, per chi verrà dopo.

 

*Questo testo è una rielaborazione e sintesi della mia Introduzione al volume, Uomini in educazione, ed Stripes, curato da me e Stefania Ulivieri Stiozzi

 

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