L’androgino in Parlamento?

di Isabella Peretti

 

 

Mai così tante donne in Parlamento e mai così silente la differenza sessuale come differenza politica? Questo il titolo che con Vittoria Tola* abbiamo voluto dare all’incontro con alcune parlamentari svoltosi il 13 aprile alla sala del Refettorio della Camera dei deputati, dando seguito alla pubblicazione del libro L’androgino tra noi, curato da Barbara Mapelli, nella cui terza parte su questa domanda di fondo abbiamo intervistato le parlamentari Emma Fattorini, Valeria Fedeli, Pia Locatelli, Giovanna Martelli, Michela Marzano, Delia Murer, Marisa Nicchi, e in cui abbiamo chiesto una riflessione a Maria Luisa Boccia, Elettra Deiana, Francesca Koch, Anna Simone.

Introducendo il dibattito, innanzitutto abbiamo voluto spiegare il titolo dato all’ iniziativa.

Cosa significa differenza sessuale come differenza politica? Se così tante donne in Parlamento esprimono una valorizzazione della femminilità , ma al contempo ricadono in una omologazione politica e partitica di donne e uomini, che ha il segno della cooptazione, della compatibilità con il sistema, di una normalità che non innova – “l’ inclusione non produce pensiero”, ha detto la sociologa Anna Simone nel suo intervento - allora la differenza sessuale è silente come differenza politica.

Se avviene nella politica quanto avviene nell’economia, in cui il fattore D sta a significare i vantaggi per il mercato, per il sistema economico, per le politiche neoliberiste, dell’inclusione delle donne, se la stessa cosa avviene in una politica che con le donne si rifà solo il look, allora la differenza sessuale è silente come differenza politica.

E’questo ciò che accade oggi?, questa la domanda con cui abbiamo aperto la discussione, questa la spiegazione del punto interrogativo posto nel titolo dell’iniziativa.

Pensavamo che se il numero di per sé non fa la differenza , superare la soglia critica oltre il 30% poteva significare se non una rivoluzione certamente una possibilità di voci e politiche diverse, e non invece una mera inclusione paritaria, una valorizzazione asessuata delle capacità femminili. Ed è questo un pensiero diffuso nel mondo femminista , in associazioni come l’UDI – che, come ci ricorda Vittoria Tola, ha combattuto contro le quote rosa e il monosessualismo nella rappresentanza con la legge di iniziativa popolare 50E50 Ovunque si decide e ha partecipato alle battaglie che hanno reso possibile questa stessa significativa presenza di donne in Parlamento -, come le Case e i Centri delle donne, i Centri antiviolenza, in diversi ambienti universitari e lavorativi.

Ma non potevamo limitarci alla critica, ne abbiamo voluto discutere con le dirette interessate.

Abbiamo chiesto loro quanta elaborazione femminista – per esempio sulla riproduzione, sulle nuove tecnologie riproduttive, sul corpo, sul rapporto con la scienza e la medicina, sulla prostituzione, sul lavoro, sulla gestazione per altri/e – si ritrova nelle iniziative delle singole parlamentari e nelle relazioni tra loro, quanto e come ne discutono come donne, quando ci sembra che ancora i poteri istituzionali ed economici e gli uomini che li rappresentano parlino per noi, o comunque prevalga la logica degli schieramenti sul libero e approfondito confronto tra donne.

Abbiamo chiesto loro quanto ognuna riesca a parlare anche in Parlamento con un pensiero autonomo a partire da sé, quanto ciò si traduca in relazioni produttive di differenza politica, appunto.

Innanzitutto bisogna distinguere – ha detto Valeria Fedeli - tra la rappresentatività dei due generi nelle istituzioni che attiene al piano della democrazia e dell’antidiscriminazione, e le culture femministe, che attengono a un piano ben diverso. Sbagliato continuare a confondere i due piani. Con le elezioni del 2013 si è avuto un aumento della rappresentanza femminile in Parlamento, ma non si trattava di espressione di culture femministe.

D’accordo, è stato detto nel dibattito, ma le domande restano tutte aperte: anche se sono poche le parlamentari che si dichiarano femministe, qual è la loro iniziativa soggettiva? Perché c’è assenza di relazione tra loro e soprattutto con le parlamentari delle nuove generazioni?

Alcune risposte emerse nella discussione.

Anna Simone ha sostenuto che, come accade in vari ambienti lavorativi, anche in Parlamento le donne hanno una doppia partitura, quella per sé, e quella corrispondente al proprio ruolo politico, altrimenti, come accade per esempio all’università, il rischio è quello dell’emarginazione.

Delia Murer, dichiarandosi molto dispiaciuta perché abbiamo perso l’occasione data da un’importante presenza di donne in Parlamento, soprattutto giovani donne, occasione mancata in termini di elaborazione politica e culturale, di relazione tra donne, di spazi di confronto, ha individuato tra le cause lo svuotamento, il congelamento della Conferenza delle donne del Pd, la scelta di fatto del Governo di non dare spazio alle tematiche femminili - non è stata infatti rinominata una Ministra per le pari opportunità. Ci sono provvedimenti su cui confliggere con il Governo, come per esempio sulla applicazione della 194, oppure grandi questioni su cui discutere, come la gestazione per altri/e, ma mancano spazi di confronto. Uno spazio possibile potrebbe essere l’Intergruppo delle Parlamentari, ma finora è soprattutto uno strumento della Presidenza della Camera (Murer).

Se la comunicazione del governo è volta a rassicurare, prescindendo da una situazione sociale in sofferenza, si tratta di una comunicazione che annulla la possibilità della differenza, di una logica dialogica e dialettica. L’omologazione in atto pregiudica l’emergere di una nostra voce autonoma. In Parlamento il peso della tecnica parlamentare soffoca la differenza, e comunque si cerca sempre il consenso dei parlamentari maschi. (Giovanna Martelli).

Sulla gestazione per altre/i, sulle unioni civili non c’è stato in Parlamento pensiero di donne, presenza, dibattito, eppure erano temi in qualche modo ‘nostri’. Sulle unioni civili sono stati presenti nel dibattito solo le associazioni gay. L’indifferenziazione dei diritti umani ha penalizzato il pensiero della differenza. La scissione di cui parlava Anna Simone non viene affatto sentita dalle giovani parlamentari, ma neppure da molte della sua generazione che sono con lei al Senato. Sono tutte generazioni femminili arrivate in Parlamento con le quote e la logica dei diritti (Emma Fattorini). Tra le iniziative esterne delle donne e il Parlamento c’è un abisso.

Proprio di questo rapporto con l’esterno, tra parlamentari e associazionismo femminile e femminista, hanno discusso Valeria Fedeli e Vittoria Tola, concordando sul fatto che l’interruzione dell’interlocuzione e delle relazioni risale alle diverse posizioni sull’applicazione della Convenzione di Istanbul, posizioni divergenti in termini culturali, politici e legislativi. Vittoria Tola ha ricostruito la vicenda, il cui sbocco è stato una legge securitaria lesiva della soggettività delle donne e del ruolo dell’associazionismo politico delle donne e delle loro proposte (Convenzione NoMORE) a significare ancora una volta che misure legislative in favore di donne ritenute solo come vittime da tutelare è cosa ben diversa da una politica agita dalle soggettività politiche delle donne in prima persona. In quell’occasione il testo del Governo è stato anche migliorato ma è diventata plateale la logica che esprimevano la maggior parte delle parlamentari, di rifiuto del conflitto politico. Così poi anche per altre questioni relative al lavoro,alla 194 e alla salute riproduttiva, alla scuola ecc., è emerso il fatto che molte parlamentari considerano accessoria la relazione con le donne fuori del Parlamento.

Ma le domande politiche e le risposte – spesso in termini di sconforto e delusione o di realismo senza prospettive -, le narrazioni di vicende ed esperienze personali, vanno tutte inquadrate in un contesto più generale. Lo hanno fatto Maria Luisa Boccia, Anna Simone, Elettra Deiana.

Siamo in presenza di un passaggio dal patriarcato al paternalismo, che dobbiamo costantemente decodificare , ma in cui emergono le politiche neoliberiste di inclusione delle donne nel sistema. Non è più il tempo della discriminazione, ma quello dell’inclusione, un’inclusione che, come possiamo constatare, non produce pensiero. (Anna Simone)

Maria Luisa Boccia: diceva Maryl Streep nel film Suffragette: noi non vogliamo violare la legge, noi vogliamo fare la legge .La partecipazione delle donne oggi nel “fare” la legge è un fatto normale per il potere, funzionale al potere. Questo cambia tutto. Come si fa allora a significare la differenza? Per alcune non serve significarla, ormai l’elite al potere è fatta di donne e uomini. Ma allora si può ancora “fare” la legge significando la differenza? Si può esprimere un pensiero che viene dalla differenza femminile? Il paternalismo non cancella la storia del rapporto tra i sessi. Un pensiero di donne differente potrebbe esistere anche in parlamento sulla riforma della Costituzione, sulla legge elettorale, sulla relazione tra potere e società, su quel dispositivo di neutralizzazione, di svuotamento in atto della e delle differenze. Ma quale differenza è riconoscibile nel lavoro sulla modifica della Costituzione messo in atto dalla Ministra Boschi o dalla presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, Anna Finocchiaro?! O sulle proposte legislative rispetto alla gestazione per altre/i in cui addirittura si torna al penale?! Sono proposte repressive con le quali si rifiutano le scelte di altre donne; è il contrario della relazione tra donne; ci si identifica col potere, e non con le relazioni tra donne.

Elettra Deiana: siamo passati dal radicalismo del femminismo dei decenni trascorsi alla sua funzionalità al sistema. Quel taglio radicale non è più recuperabile, era il portato di tutt’altro contesto storico, era il portato di una rivolta femminile, ora è tutto incorporato e neutralizzato. Nessuna meraviglia quindi se oggi le parlamentari fanno politica come gli uomini. Dice Butler: le donne dovrebbero farsi carico dei dolori del mondo: questo forse potrebbe oggi fare la differenza? O è un’utopia?

Ci auguriamo che la discussione continui!.



Isabella Peretti, curatrice della collana sessismoerazzismo, Ediesse; Vittoria Tola, responsabile nazionale Udi. La ricostruzione del dibattito si basa esclusivamente sui nostri appunti. Ci scusiamo per eventuali incomprensioni o omissioni.

L’androgino tra noi a cura di Barbara Mapelli, collana sessismoerazzismo, Ediesse, 2015 Parte terza, La scomparsa della differenza… nella politica istituzionale

Home