Annamaria Rivera, La Bella, la Bestia e l’Umano

di Imma Barbarossa


La scelta di inaugurare una collana denominata “sessismoerazzismo” della casa editrice Ediesse (in collaborazione con il CRS e curata da Lea Melandri, Isabella Peretti, Ambra Pirri e Stefania Vulterini) con l’ultima ricerca di Annamaria Rivera appare davvero opportuna e utile. Si tratta del libro “La Bella,la Bestia e l’Umano” (sottotitolo “Sessismo e razzismo senza escludere lo specismo) che mette a valore in maniera sintetica e, a volte, utilmente pedagogica, decenni di studi, ricerche, riflessioni sia pubblicate sia comunicate in incontri, convegni, seminari anche internazionali.

Il merito principale di questa ricerca,a mio avviso, sta nell’intreccio di punti di vista e nella non semplificazione dei parametri interpretativi e delle angolazioni di letture, sì che l’acuta e ‘puntuta’ esemplificazione di fatti, episodi, fenomeni si intreccia con la formulazione, di volta in volta, di approdi teorici, di definizioni consapevolmente e dichiaratamente parziali e ‘relative’.
L’approccio antropologico viene rigorosamente fondato storicamente, contestualizzato: se c’è un parametro di lettura permanente che attraversa tutta la ricerca è la critica alla naturalizzazione delle differenze, delle soggettività, delle situazioni di potere. Il nesso tra razzismo e sessismo non è automatico, meccanico, deterministico (qui Rivera si pone in problematica attenzione nei confronti di certo femminismo francese che considera l’oppressione delle donne come conseguenza dell’oppressione di classe),ma va costruito e indagato; la lettura del sessismo come fenomeno coloniale (come negli studi postcoloniali), se parte da una giusta critica dell’universalismo del femminismo bianco eurocentrico, rischia però di non leggere il sessismo patriarcale all’interno delle comunità immigrate.

Rivera analizza gli aspetti del neorazzismo in Italia, dalla esclusione alla espulsione o segregazione permanente alla, infine, inclusione differenziata e strumentale (per badanti e nuovi schiavi in lavori rifiutati dagli italiani e sottopagati), per stigmatizzare il fenomeno della paura dell’Altro/a, in una sorta di identitarismo che cerca sicurezza in un ‘noi’ corporativo e situato nell’ideologia delle piccole patrie ormai tanto diffusa in Europa.

Insomma, sessismo e razzismo si fondano sulla naturalizzazione della presunta inferiorità, sulla svalorizzazione, su elementi pretestuosamente biologici, su gerarchie e su relazioni di potere. Questo rende possibile all’autrice una breve ma acuta lettura del dominio del vivente umano sulla natura e sui viventi non umani, che spiega, a mio avviso, le torture sugli animali e lo scempio dell’ambiente, ossia la riduzione del circostante a strumento degli individui dominanti (al di là persino di generi e classi, come dimostrano alcuni esempi acutamente forniti nel libro).
Il dominato viene reificato, disumanizzato, strumentalizzato, ridotto a nuda vita, come direbbe Agamben, e possiamo ricordare a questo proposito la dissacrante lettura arendtiana dei campi di sterminio.

L’ultima parte del libro ci conduce verso impostazioni critiche già note dell’autrice, sia nei confronti di un pezzo del pensiero della differenza di tipo essenziali sta (esemplare la citazione dei noti articoli di Luisa Muraro sul razzismo da umanizzare e comprendere,ma anche la concezione del patriarcato come reazione al ‘potere generante materno’ e quindi la lettura del superamento del patriarcato in virtù della presa di parola femminile) sia nei confronti di certo femminismo francese e anche italiano che condanna le usanze ‘islamiche’ alla luce di una emancipazione occidentale e che,di fatto,chiede alle immigrate una integrazione a un Occidente pensato come universale.
Se, infatti, Rivera problematizza la lettura delle mutilazioni genitali femminili che vanno abolite,secondo lei,in accordo con le donne che le hanno finora praticate,e non demonizzate dall’esterno,esprime invece una dura critica nei confronti delle leggi contro il velo (e delle loro sostenitrici) che vengono considerate  come l’esempio più lampante della introiezione di una pretesa superiorità eurocentrica e occidentale.

Il volume, infine, nel criticare l’universalismo, ci suggerisce la categoria dell’universalità e si chiude con un riferimento a Fanon che subordinava la possibilità di un confronto alla pari tra differenze alla abolizione dei colonialismi, dello statuto coloniale, ossia delle gerarchie di potere.

Il mio accordo con l’autrice è totale quando mette in evidenza l’aspetto culturale e simbolico dell’intreccio tra sessismo e razzismo, ossia la pretesa del dominante di ritenersi modello e canone di lettura del mondo: questo in particolare ha permesso al genere maschile  di fondare l’universalismo astratto e di considerarsi il soggetto neutro assoluto.

 

Annamaria Rivera, La bella, la bestia e l’umano
Ediesse, ottobre 2010, pag.196, € 12

28-10-2010