L’asimmetria della libertà femminile rispetto al patriarcato


di Imma Barbarossa


La prima parola e l’ultima:  abbiamo scelto di intitolare la nostra partecipazione alla manifestazione del 14 gennaio a Milano, promosso dall’Assemblea “Usciamo dal silenzio”, con uno slogan antico che titolava un appello con cui tante migliaia di donne rispondevano a chi - anche nella sinistra - tentava di porre sottotutela la libertà femminile: sottotutela del patriarcato, dello stato, delle alleanze di partiti, di una politica intesa come bilancino delle compatibilità, come una “ragionevolezza” che da sempre chiama le donne a responsabilità e interessi “generali” che altro non sono se non patteggiamenti tra fratelli e sodali di genere maschile.

A chi ricorda - e ci ricorda - che è assurdo che dopo tanti di anni di lotte le donne debbano ancora impegnarsi (“mobilitarsi”) a difendere la legge sull’aborto, già verificata da un referendum popolare, vorrei ricordare che tutte le questioni che riguardano le donne non sono mai acquisite una volta per sempre, che il patriarcato - come il capitalismo - si ristruttura e si modifica, ma è sempre in agguato.

E che la libertà femminile è davvero asimmetrica rispetto all’ordine patriarcale; asimmetrica e per certi versi irriducibile, perché comporta una radicale modifica degli assetti sociali, politici, culturali, simbolici.

E d’altronde qui non si tratta davvero soltanto di aborto e nemmeno di una questione di donne. Si tratta innanzitutto di difendere l’autodeterminazione, la libertà di orientamento sessuale, il diritto di scegliere forme e modalità di relazioni affettive, sessuali, interpersonali. E questo riguarda perciò le relazioni tra i sessi, gli uomini e le donne etero e omosessuali, i/le transgender.

E questa è la ragione per cui la “piazza” di Milano dialogherà e si intreccerà con la “piazza” di Roma dedicata ai Pacs.

Ma si tratta anche di affermare parole forti che provino a bloccare le ipocrite invadenze delle gerarchie cattoliche, il fondamentalismo inaccettabile di Benedetto XVI e della sua corte. A bloccarle tra le donne, cosa che già avviene, a bloccarle tra gli uomini anche di sinistra, a bloccarle in un senso comune allargato. A bloccarle tra i giovani e le giovani, che, pur non avendo memoria diretta delle lotte femministe “antiche”, hanno - mi pare - un grande senso di sé e della loro libertà individuale e collettiva. Le compagne e i compagni di Rifondazione comunista saranno presenti a Roma e a Milano con grande convinzione, nella certezza che - come si diceva una volta - non passeranno.

Ma occorre fare oggi qualche passo in più: occorre decostruire culturalmente e simbolicamente il potere del sacro, il potere temporale del sacro, che nella crisi della politica tende ad occupare gli spazi dell’etica pubblica e ancor più nella crisi dell’egemonia maschile tende a presentarsi come un potente surrogato ai fini antichi di legiferare sul corpo delle donne e di normarne (assoggettarne) i comportamenti.

Si tratta di una decostruzione che non può ridursi a rivendicazioni e parole d’ordine, ma domanda ricerca, pratica, approfondimento. Ed è una ricerca davvero utile a tutte e a tutti. Possiamo oggi davvero riprendere tutti i nostri fili e tutte le nostre relazioni.  

 questo articolo è apparso su Liberazione del 11 gennaio 2006