Stefania Bartoloni, Donne di fronte alla guerra

Liliana Moro

 

 

Sappiamo bene che oggi il femminismo non è uno solo e opportunamente usiamo il plurale, parlando di femminismi. Ma non è altrettanto scontato che questo sia vero anche per il passato e che il femminismo abbia una storia lunga e diversificata, anche in Italia. Una storia che risale alla formazione stessa dello stato italiano nella seconda metà dell'800. Già allora molte donne si attivarono e si organizzarono per rivedicare i diritti civili e per migliorare la loro condizione nella società e nel privato.

 

Stefania Bartoloni ha l'indiscusso merito di fornirci una informazione ampia e puntuale delle molte realtà femminili e femministe che agirono negli ultimi anni del XIX e nei primi del XX secolo, fino alla conclusione della prima guerra mondiale.

 

Il fulcro della sua indagine è proprio l'atteggiamento delle donne nei confronti della guerra, prima in generale, poi rispetto all'invasione della Libia (già da allora!) e infine durante il primo conflitto mondiale, la cosiddetta 'grande guerra'. La necessità di misurarsi con eventi tanto violenti e traumatici si presentò mentre “era in atto un processo di ridefinizione dell'identità femminile”.

Il diffondersi, seppur con restrizioni, dell'istruzione e l'apertura del mercato del lavoro portarono le donne italiane a sentirsi in vista di grandi novità: si parlava diffusamente della “donna nuova”. Fiorivano i periodici -Bartoloni ne conta una trentina- animati e sovente diretti da donne; si moltiplicavano le associazioni, che formarono aggregazioni a livello nazionale e internazionale.

 

Insomma le donne, molte donne, erano uscite di casa ed entrate nella società come soggetti.

Per fare che cosa? Molte cose, naturalmente, in varie direzioni e a partire da diversi presupposti.

Bartoloni propone 3 filoni: il femminismo legato al movimento socialista, esponente più prestigiosa Anna Kuliscioff (1855-1925), il femminismo “egualitario”, che vedeva in Anna Maria Mozzoni (1837-1920) la pensatrice di spicco, e il femminismo pratico rappresentato dalle donne dell'Unione Femminile: Ersilia Majno (1859-1933), Alessandrina Ravizza (1846-1915) Paola Schiff (1841-1926) e altre.

Come si vede Milano era al centro di questa prima fase del movimento femminista o femminile, presto diffusosi in tutto il paese. Frutto dell'attività incessante compiuta attraverso molteplici iniziative di propaganda e di aggregazione, la fondazione di numerose Leghe, Associazioni, l'organizzazione di Congressi nazionali e internazionali. (Ad esempio dal 1868 era attiva l'Associazione internazionale delle donne (IAW) promossa da Maria Goegg). Pur senza mezzi di comunicazione di massa, queste donne erano instancabili, attivissime nella tessitura di reti amicali e solidali.

Subito si pose il problema dei diritti civili e politici negati alle donne, in primis il voto, per cui le suffragiste inglesi si stavano battendo con ogni mezzo. Nel 1880 si giunse a fondare una “Lega promotrice degli interessi femminili” ne fecero parte donne di orientamento anche diverso: Anna Maria Mozzoni, Paolina Schiff, Cristina Lazzati, Giuseppina Pozzi, Nerina Bruzzesi e si noti che queste due ultime sono definite 'operaie' nei documenti. A testimonianza del fatto che si mossero donne di differenti ceti sociali, non fu un movimento solo d'elite intellettuali. Erano molto attive le maestre, come Linda Malnati (1855-1921), Emilia Mariani (1854-1917), Nella Giacomelli (1873-1949); una delle attività consisteva nella diffusione dell'istruzione anche alle molte che non avevano potuto seguire gli studi di base. Rebecca Calderini (1847-1926) e Laura Solera Mantegazza (1813-1873) organizzarono proprio scuole per le operaie.

Cito solo una piccola parte delle figure ricordate dall'autrice per dare conto della vastità e della ricchezza del fenomeno. Solo alcune di queste figure, comunque notevoli, sono note e ricordate dalla storia. Come accade tipicamente, anche le donne che hanno operato sulla scena della storia, non vi sono tramandate.

Grande delusione quando, nel 1912, venne infine allargato il suffragio, togliendo i limiti di reddito e d'istruzione, ma solo per gli uomini, evento che sui libri di storia viene per lo più ricordato come il raggiungimento del suffragio universale!

 

Bartoloni è molto accurata nel riferire nomi e iniziative del variegato e vivace movimento che possiamo ben dire femminista, anche se non tutte si riconoscevano in questa definizione. Grande suo merito l'aver riportato in questo testo ampi stralci dei documenti originali che ha potuto consultare nella sua ricerca, così che possiamo apprezzare le parole di queste donne, anche nella lontananza del linguaggio ottocentesco.

“La patria! Come spiegare a te con parole che tu possa capire e che tocchino a te e ai tuoi interessi, che cosa è questa terribile patria che incorona, strappandoti i figli, l'immane edificio dei tuoi dolori? [...] per l'uomo di qualunque classe la patria è il paese nel quale egli può dare il suo voto per eleggere quelli che amministrano e che governano, è la legge che gli garantisce la padronanza della sua propria persona e della sua casa, che lo fa padrone dei tuoi figli e lo garantisce della tua stessa servitù ed assicura nelle sue mani la tua catena.

Per te, o donna del popolo, che cosa è la patria? È il gendarme che viene a prendere tuo figlio per farlo soldato -è l'esattore che estorce la tassa del fuocatico dal tuo focolare quasi sempre spento -è la guardia daziaria che ti fruga indosso per assicurarsi che tu non abbi risparmiato qualche soldo sul pane sudato per i tuoi figli -è il lenone e la megera che, protetti dal governo, inseguono tua figlia per trarla nelle loro reti ...”

Così Anna Maria Mozzoni nel 1885

 

“La donna, quale membro del consorzio umano; parte attiva ed intellettiva, come essa è, né più, né meno del suo compagno di vita, vuol sapere perché si fanno le guerre; e siccome questo è vero perché è facile penetrarlo anche sotto i sofismi delle storie ad usum Delphini ed i brogli dei gabinetti imperialisti, così la donna femminista dichiara che la guerra è un'iniquità perpetrata dagli imperialisti e dai fabbricanti di polveri e di cannoni: i primi per sete di ambizioni e d'invidia, i secondi per fame di milioni.”

Così Carmela Baricelli nel 1908. Baricelli (1861-1946) fu un'insegnante di scuola superiore, attivista socialista e femminista, fondò e diresse il settimanale L'alleanza di Cremona.

 

Interessante notare che all'avvicinarsi del conflitto generale europeo, con l'intensificarsi della propaganda militarista, le posizioni delle donne impegnate socialmente, che erano state tutte nettamente contrarie alla guerra, vanno diversificandosi. Occorre tener presente che idea di forza ampiamente condivisa era l'esaltazione del ruolo materno, che giustificava l'impegno politico come allargamento all'intera società di una propensione, una dedizione alla cura e al benessere dei figli. Proprio in quanto madri le donne sarebbero state in grado di occuparsi efficacemente della cosa pubblica, meglio di quanto non davano prova di saper fare gli uomini. Ma a un certo punto vi fu una torsione tragica.

“Attraverso la funzione materna si era assolto il compito di formare la gioventù agli ideali di pace, ma a partire da un certo momento quel compito era stato stravolto: incoraggiare i giovani uomini a combattere e a sacrificarsi eroicamente per la patria, era questa ora la missione delle madri, delle mogli e delle sorelle italiane”

Interessante notare che a questo si giunse a partire dall'abbandono dell'internazionalismo, forte negli anni a cavallo dei due secoli, sostituito dall'ostilità verso le donne di altra nazionalità.

Risuona triste l'eco del presente.

 

Stefania Bartoloni, Donne di fronte alla guerra. Pace, diritti, democrazia,
Laterza, 2017, pagg.256, € 24

 

31-12-2017

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