L’immagine e l’emozione

di Donatella Bassanesi

All’immagine attesa corrisponde un’emozione che precede l’immagine stessa che perciò può risultare ‘viva’ oppure anche al disotto delle aspettative, deludente incomprensibile ‘morta’, per comprenderla bisogna procedere, conoscerla meglio. Quando l’immagine non è preceduta da alcuna attesa allora o passa inosservata oppure ‘colpisce’ per qualcosa e ci rimanda a qualcosa d’altro che potremmo conoscere o no.

La forza emotiva dell’immagine è la stessa forza (emotiva) della notizia. E l’esaltazione dell’emozione chiude nell’emozione stessa come un ineluttabile. Non solo il fatto non può che essere avvenuto ma anche la sua spiegazione risulta già scritta (e ha un senso unico, è a senso unico), è quella che non ammette conoscenza ulteriore dei motivi (le ragioni) e dei moventi (ciò che mette materialmente in moto le azioni).
Sono le seduzioni mediatiche innanzitutto a far concentrare l’attenzione sulla notizia colta catturata svelata a produrre emozioni più che conoscenza, perciò riflessione e giudizio. Mettono nella condizione impotente dell’essere sommersi dall’emozione, immersi nell’estetica dell’immagine, sottoposti alla sua forza, al suo inganno, complici della sua menzogna.

Dunque all’immagine, come alla notizia, per il legame della realtà con la valenza evocativa, corrisponde un aspetto emotivo rilevante.
È necessario un momento conoscitivo più profondo.
Ma momenti conoscitivi sono ostacolati dai fenomeni di massa (della produzione di massa, dei consumi di massa, dei mezzi di comunicazione di massa) che sono il groviglio intrecciato a forme di violenza, il tempo disancorato dalle forme di natura, nei campi di battaglia (“nella poltiglia delle trincee i corpi individuali dei ‘soldati-massa’ tendevano a diventare indistinguibili” (G. De Luna, Il corpo del nemico ucciso – Violenza e morte nella guerra contemporanea, Torino, Einaudi, 2006, p. 44) come in tutte le altre forme della massificazione.

Tra il 1900 e il 1993 ci sono state 54 guerre, i numeri dei morti ipotizzati sono impressionanti. Morti della prima Guerra mondiale 9-12 milioni, seconda Guerra mondiale 30-50 milioni. Morti 29 milioni in conflitti internazionali, 6 milioni in guerre civili. Per violenze perpetrata da Governi contro i propri cittadini 119 milioni di morti. Nel secolo successivo “gli ‘orrori’” si sono ripercorsi con “una compiaciuta narrazione di efferatezze isolate dai loro contesti di provenienza, quasi arrendendosi al gusto estetizzante della rappresentazione del Male” (G. De Luna, cit., p. XIX).

Nel Medioevo si distingueva tra bellum hostile (guerra tra occidentali cristiani e cavalieri), e bellum romanum (contro infedeli, barbari, contadini, rivoltosi). Nel primo caso si seguivano le regole delle forme cortesi, nel secondo no (senza regole si potevano avere massacri di intere popolazioni, distruzioni e saccheggi).
Nel ‘900 si è pensato a una specie di traduzione (che servì anche a legittimare forme di razzismo), c’erano guerre tra pari  che si potevano chiamare simmetriche, e guerre tra impari che vollero chiamare asimmetriche.

Oggi potremmo dire che le guerre condotte dall’Occidente tecnicamente avanzato contro le popolazioni povere sono profondamente ingiuste e mostrano l’ingiustizia che è interna alla guerra stessa come soluzione di un conflitto.

Potremmo anche dire che la guerra essendo esibizione dell’orrore è il potere esercitato attraverso la paura, il potere della paura. Perché il corpo del nemico è quasi sempre profanato, per esercitare il potere si costruiscono nemici, si creano situazioni di paura, capri espiatori, individuali e anche di interi gruppi sociali.
E vorrei ricordare in particolare il popolo Rom, l’unico popolo che non ha mai rivendicato per sé una terra, non ha mai alzato muri, non ha mai fatto guerre, e tuttavia per le violenze subite e che continua a subire da rappresentanti delle istituzioni non ha mai avuto risarcimenti.

Giovanni De Luna,
Il corpo del nemico ucciso
Violenza e morte nella guerra contemporanea

Torino, Einaudi, 2006

 

20-04-2009

 

home