Storia di una parola e di una traccia
a margine delle lezioni su Simone Weil

di Donatella Bassanesi


 

Arrischiando terreni, e un gioco

Sono riflessioni in quel varco che tenta la realtà. Pensieri diversi si aggirano intorno alla parola ri-nascita, intendono determinarla, si rivelano insieme lettura del mondo e domanda al mondo. Tra interpretazione e interrogazione si formano aspetti variabili del pensiero che sono-non-sono tradimento, mettersi tra il tempo e le cose. Abbiamo proceduto sapendo che l’atto del negare è positivo (come il dolore). Si tratta del legame tra dolore e rinascita, il dolore del ri-vedere, consapevolezza che ha a che vedere con la responsabilità, come si vede dai corrispondenti termini negativi in-consapevolezza e ir-responsabilità (in ambedue c’è una mancanza di presenza, anche se irresponsabile è più pesante rispetto a inconsapevole, perché è la negazione di assumere il peso della realtà res-ponsabilità, il peso della cosa, occupa un vuoto più negativo rispetto alla mancanza di conoscenza).
Il gioco della discussione suscitata dalla parola ri-nascere traccia fine e inizio. Si interrompe qualcosa iniziando nuovamente. Si tratta di attraversare una porta seconda, quella di una nuova conoscenza di sé, che in quanto ri-nascita pone in gioco ciò che fino ad un certo punto si era, pone i termini di un gioco.
È il coraggio di vederti.
 Ti domandi “Cosa posso perdere? Mi piacerà la persona che incontrerò, la persona che scoprirò di essere?’. Si tratta di affrontare il passaggio tra chi credo di essere e chi in realtà sono. Accettare con onestà la persona che incontri dentro di te e insieme la perdita di una parte di te, è un modo di rinascere” (Giuliana). “Il dolore sta nella ri-conoscenza di sé, che non ha il carattere del riconoscimento dato dall’esterno, una gratificazione, al contrario è conoscenza come pensiero critico, che scava ” (Donatella).
“Non apro le porte al dolore. Resisto con la rigidità. Mi faccio rigida, una corazza. E invece: ascoltare il dolore, spalancare le porte al dolore” (Rosaura).
“Cosa si ha paura di perdere?” (Annamaria)… “L’immagine che gli altri hanno di te” (Rosaura)… “L’immagine è una trappola” (Annamaria)…
“Non accettare la morte” (Emy)… “Fingere per non voler vedere il dolore, fino al crollo fisico…per non voler avere coscienza di un fatto e di conseguenza fissarsi a un tempo che non passa” (Nori).
“Le persone ti imprigionano” (Rosaura)… “Lasciarsi andare per un grande dolore alla pazzia” (Mireille)… “Uscendo da un’esperienza molto dolorosa distaccarsi per non farsi sopraffare dal dolore, esserne squassata” (Rosy)… “Cosa rischi?” (Annamaria) … “Ciò che hai paura di perdere è la tua immagine, vederti come una ‘poverella’, rischi la vita” (Rosaura).
“Si tratta di continuare a rinascere attraversando il dolore e prendendo un certo distacco” (Rosy)… “Posso cercare di proteggere gli altri dal dolore e così nasconderlo, per amore” (Rosanna)… “Sei con te in quel momento, perché non sei più te in quel momento” (Ilaria).
“Importante è la consapevolezza, non la sicurezza” (Giuliana), “che è la trappola della rassicurazione, che nasconde la realtà e perciò toglie il coraggio di affrontarla” (Donatella)… “mentre esprimere al meglio qualche cosa ti fa venire al mondo, ti può far andare avanti, verso l’altro che ti ha dato fiducia” (Mireille).
“Importante è arrivare alla consapevolezza” (Giuliana).
“Consapevolezza che riguarda il soggetto e la realtà nella quale si situa, è relazione tra il soggetto e il mondo, tra il soggetto e le cose (l’oggetto). Chi è consapevole guarda sé e la realtà come possibilità, c’è un indirizzo all’agire. Opposta alla consapevolezza (che, rispetto alla sapienza più astratta e al sapere, si riferisce direttamente alla persona che la possiede) c’è l’inconsapevolezza che la definisce in negativo e in qualche modo ne segna i confini. Una cosa si può fare, un pensiero può uscire, consapevolmente o inconsapevolmente: si tratta dell’opposizione tra presenza e assenza, e delle sue implicazioni.
Si tratta della relazione tra il soggetto e il mondo, sta tra il soggetto e le cose” (Donatella).

Le domande

Il dolore nel ri-nascere sta nella ri-conoscenza verso te stessa, doversi nuovamente conoscere ossia s-coprire, togliersi la copertura che è anche corazza, difende? Il dolore sta nel distacco-allontanamento-solitudine? Ad ogni nuova svolta si deve avere il coraggio di ri-conoscersi altra? Nascendo si viene alla luce. L’oscurità da cui si proviene è luogo del caos o del pensiero? è il crinale tra ignoranza e sapienza? Il pensiero è cieco-vedente, illumina l’oscurità, ne è partecipe?

Un commento

Interroghiamo “ogni eredità ed ogni memoria”, “c’è una storia dell’interrogazione”. Essa “deve essere conservata”. “Non si manifesta mai immediatamente come tale”. È “dialogo dell’interrogazione su di sé e con sé” (J. Derrida, L’écriture et la différence, Ed. du Seuil, 1967, tr. it. La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino, 1990, pp. 100, 101). Si proietta tra le macerie l’ombra della domanda che mostra ed è incrinatura, interstizi. Sono non-luoghi, spazi invisibili che stanno ai ‘limiti del mondo’, possibilità intransitabili.
Domanda chi sa, ossia chi si dispone costantemente ad affrontare l’avventura del sapere, che è silenzio, costantemente mostra la prossimità della fine. (“Nous ne comprenons la route qu’au terme de notre chemin” sono le parole diJeanne D’arc alla sua morte (nel film Vivre sa vie di Jean-Luc Godard).
L’obbiettivo rimane oscuro, ma c’è motore che spinge un percorso che va facendosi. C’è provenienza e orizzonte dell’origine (l’inizio-l’iniziare), sta lungo la linea del passo, corrisponde all’andare. Così passato e futuro, come tempo-misura della vita individuale, si definiscono tra l’iniziare e l’andare. La fine ridice l’inizio, ma non mostra un cerchio, non c’è ricongiungimento né conclusione, c’è strada spezzata, rottura dovuta a un tempo naturale e a un tempo non-naturale, una catastrofe, “un accidente, un eccedente, che non sarebbe dovuto sopraggiungere” (J. Derrida, Marges- de la philosophie, Minuit, Paris, 1972, tr. it. Margini- della filosofia, Einaudi, Torino, 1997, p. 200).
Il percorso si fa in un certo senso leggibile per differenza e nel singolare. Singolare è il motore che rende a ciascuno un tratto, porta l’individuo a ritrarsi nella la sua indivisibilità (che è non-divisibilità, ed è guardare nella divisibilità), perché una forza (la vita) lo spinge.
La vita animando pone e sposta, de-centra, qualcosa che non avevamo previsto è avvenuto, qualcosa si mostra diversamente. Ciò che è cambiato ha portato altrove, ha reso altro (per l’altrui a cui si ridice, che è un dire diversamente). Inizio e fine, differenti per il movimento (che è contenuto dal tempo, è contenuto del tempo, è frammento di tempo), costituiscono l’orma (che è frammento traccia differenza), si svolgono nell’orizzonte doppio dell’uscire e dell’entrare, dell’essere introdotti e dell’essere espulsi. L’orma segnata dal peso del passo, della cosa che è passata, si è posata, è tesa per il movimento dell’arrivo e della partenza, della vita e della morte.

 

26-11-2008

 

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