Per amore della città
di Gisella Bassanini


 

Le città sono come le persone. Ci sono quelle che amiamo appena le vediamo (un vero colpo di fulmine), quelle che apprezziamo soltanto nel tempo, attraverso la lenta frequentazione quotidiana, e quelle da cui volentieri giriamo alla larga. Con alcune entriamo subito in relazione, quasi empaticamente, con altre il contatto rimane in superficie, oppure segue un andamento ondivago che dipende strettamente dalle circostanze o dalle fasi della vita in cui ci troviamo (o in cui si trova la città stessa). Ci sono città che nonostante tutto ci rendono felici, altre che ci procurano più problemi che gioie. Nel libro Le città invisibili (un testo che andrebbe rimesso in bibliografia nelle scuole di architettura e di urbanistica, come succedeva più frequentemente in passato) Italo Calvino scrive come le città siano simili ai sogni: rebus che nascondono desideri e paure. «Di una città – annota – non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda».

La città è per molte donne un oggetto (o sarebbe meglio dire un soggetto) d’amore, anche se spesso, troppo spesso, si tratta di un sentimento non corrisposto. Di un amore contrastato, come cerco di dimostrare nel mio libro Per amore della città (donne, partecipazione, progetto, FrancoAngeli, 2008). Non sempre in grado di ospitare adeguatamente le nostre esistente, il nostro modo di abitare, dai tratti così differenti da quello degli uomini. Basterebbe soltanto leggere la storia dell’abitare femminile per averne conferma. Spesso la città ci trattano da estranee. Anche quando percorriamo le sue strade o piazze raramente troviamo sulle targhe nomi di donne, e quando ci capita di incontrarli è perché siamo in spazi urbani marginali o collocati in periferia. C’è una herstory (storia di lei) che a fatica riesce ad emergere sotto il peso della più consolidata e potente history (storia di lui), come ci ha insegnato alcuni anni fa l’esperienza di Boston.

Le donne, molte donne, amano la dimensione urbana, nonostante, e forse proprio perché, ad un certo punto della storia ci è stata sottratta, dopo averci attribuito per ruolo e destino lo spazio domestico di cui siamo state elette “regine”, anche se spesso senza corona. La “città dalle sfere separate”, che trova compimento nell’Ottocento, consegna alle donne la casa, lo spazio privato, agli uomini la città, lo spazio pubblico. Solo le prostitute e le donne della classe lavoratrice potevano muoversi nello spazio urbano con relativa libertà ma proprio per questo divengono agli occhi della morale del tempo simboli di corruzione. Comunemente si riteneva “virtuosa” quella donna che non si adattava alla città, al contrario, ne stava lontana, si definiva per differenza. La città è dunque per le donne una questione controversa, da sempre. Luogo che accoglie e rifiuta, radica e crea spaesamento. Occasione di libertà e sofferenza, spazio dell’invisibilità e di affermazione di sé, essa rappresenta nella storia (e nel presente) anche un infallibile dispositivo di controllo che si può praticare sui corpi femminili e i loro movimenti.

Milano è tutto questo insieme. Città fragile e resistente al tempo stesso, su di lei si potrebbero dire molte storie. Penso ai dati e le storie raccolte nella mostra “La città fragile”, curata da Aldo Bonomi (La Triennale di Milano, 19.11.2009-10. 01.2010, catalogo della mostra Communitas, n.37/38, 2009) dove gli effetti della modernità sulle forme di convivenza sono stati rappresentati seguendo le tre categorie della “comunità di cura”, della “comunità operosa”, della “comunità del rancore”. Fragilità e paure, disagio e vulnerabilità investono sempre più le persone e la comunità (giovani, anziani, immigrati, donne, soggetti del disagio psichico, etc.). Ma questa città è anche un luogo che ospita una serie di soggetti della cura (istituzionali, del terzo settore, dell’associazionismo, etc.) che si interfacciano con le fragilità e che si occupano della prevenzione e delle conseguenze del rancore. Che tessono legami e relazioni, praticano l’antica e sapiente arte della cura (sulla quale le donne hanno tanto da dire), tenendo insieme ciò che molti vorrebbero separare e opporre. Milano ha un potere di automedicazione che a volte mi sorprende. Anche per questo la amo.

Come tutte le realtà urbane e non, può essere raccontata a partire dall’esperienza che di essa facciamo ogni giorno e ogni notte. Quando utilizziamo i suoi beni e servizi, il cui grado di accessibilità molto dipende da chi siamo (donne o uomini, giovani e meno giovani, diversamente abili, italiane/i o straniere/i, residenti o temporaneamente presenti). Quando cerchiamo di conciliare i suoi tempi e orari con gli orari di lavoro e i tempi individuali e familiari (è del 1990 il Piano Regolatore degli Orari della città di Milano di cui rimangono solo flebili tracce). Quando portiamo i nostri figli a scuola a piedi o in bicicletta, oppure spingendo un passeggino (quante cose si potrebbero dire su questa città che non è ancora stata capace di prendere le misure dei suoi più piccoli abitanti...). Quando viviamo lo spazio pubblico o le aree verdi alla ricerca, sempre più pressante, di una confortevole panchina e di luoghi liberi dal vincolo del consumo obbligato. Quando ci occupiamo (o vorremmo farlo) delle scelte che riguardano il suo progetto e governo. Insomma, quando mettiamo Milano alla prova, nel tentativo − a volte riuscito, altre disatteso − di ottenere da lei risposta a quelle domande di cui parla Calvino.

Molte donne su questi temi da tempo ragionano, scrivono, progettano. È un pensiero maturo quello che stanno elaborando sulla città, in Italia come nel resto del mondo, con il desiderio di renderla più ospitale, bella, amorevole. Perché non ascoltarlo?

 

Gisella Bassanini
architetta, dottore di ricerca, saggista. Collabora alle attività di ricerca del Consorzio A.Aster di Milano diretto da Aldo Bonomi ed è docente a contratto al Politecnico di Milano. Esperta di storia e culture dell’abitare femminile è impegnata nella diffusione in Italia della pianificazione urbanistica e territoriale di genere.
Tra le sue pubblicazioni: Tracce silenziose dell’abitare. La donna e la casa (1990) e Per amore della città. Donne, partecipazione, progetto (2008), editi da FrancoAngeli.

 

14-12-2010

 

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