Batteri ‘buoni’ e crescita delle piante: uno stretto legame di reciproca utilità


di Valeria Fieramonte

 

Già sapevamo - dalle lezioni della biologa americana Lynn Margulis - che i batteri sono, nella loro larga maggioranza, microbi operai amici, fondamentali per produrre molte delle sostanze chimiche necessarie alla vita. Quello che non si sapeva - perché ci arrivano più veloci le informazioni dagli USA che dal nostro stesso paese - è che all’Università degli Studi di Milano c’è chi, ormai da tempo, coltiva e studia i batteri per migliorare la resa e il rigoglio delle piante, con risultati più che incoraggianti.

Sara Borin
, una bella giovane donna fin troppo seria e concentrata sul suo lavoro, fa la ricercatrice al DISTAM (dipartimento di scienze e tecnologie alimentari e microbiologiche, o per dirla in modo meno paludato e più comprensibile, alla facoltà di agraria). Si è laureata nel ’94 con Claudia Sorlini, attuale preside di facoltà, con una tesi sui ’sistemi di identificazione di un batterio, il ‘bacillus cereus’, che provoca tossinfezioni alimentari, per fortuna curabili. ( E’ presente in principal modo nel riso e nei vegetali, nella pasta è più difficile perché viene trattata termicamente). Ora studia il comportamento dei batteri per così dire buoni - in natura l’assoluta maggioranza - con lo scopo di migliorare l’agricoltura in modo biologico e di aiutarla a svilupparsi anche in ambienti ’estremi’, dove le condizioni di vita possono essere proibitive persino per le piante.

La Borin ha raccolto col suo gruppo di ricerca una collezione di oltre 2000 batteri preselezionati in test di laboratorio e che sono ora sperimentati sulle piante di peperoni, pomodoro e sulla vite per rinforzarne la resistenza a stress e malattie. Si è notato infatti che le piante ‘batterizzate’ hanno un vigore vegetativo più elevato. Da tempo si sa che specie vegetali diverse hanno comunità microbiche diverse, senza le quali non potrebbero vivere o vivrebbero molto stentatamente, almeno nell’87% dei ceppi isolati ed esaminati.

Sono state fatte sperimentazioni in serra a Milano sottoponendo piante di pomodori a ‘stress idrico’ ( ovvero bagnandole pochissimo), e si è visto che i pomodori colonizzati con batteri estremofili, ovvero abituati a vivere in condizioni di estrema siccità, soffrivano molto meno degli altri. Gli ambienti estremi - come per esempio i deserti, hanno microbi inesplorati e per questo li si è andati a cercare su piante che crescono ai margini del deserto o in suoli ipersalini.

L’area delle piante che sta a meno di tre millimetri dalle radici si chiama rizosfera: in questa area si sono isolati 44 ceppi da usare poi negli esperimenti di laboratorio. Ma si è cercato anche tra le piante che crescono alle pendici dei vulcani ( alcuni batteri isolati sulle radici resistono anche a temperature di oltre 50 gradi), e tra le piante che possono avere una funzione di risanamento dei suoli inquinati.

Come funziona il - diciamo così - legame affettivo tra piante e batteri? Le piante rilasciano nella rizosfera sostanze nutritive per i batteri attraverso i loro ’essudati radicali’, che sono delle sostanze organiche di cui i batteri si nutrono, e i batteri a loro volta le ringraziano facendo la sintesi metabolica di nutrienti come ferro, azoto e fosforo, - che sono presenti nei suoli sotto forma di sali non solubili che le piante non sono in grado di sintetizzare da sole.

Il tutto viene chiamato dagli esperti ’principio di associazione mutualistica’ ed è una sorta di molto utilitaristico ’do ut des’ che intercorre tra specie diverse in cooperazione tra di loro per migliorarsi a vicenda la vita. E’ importante sapere che nella rizosfera ci sono 100 volte più batteri che nel suolo ’libero’ o vuoto di piante. E attenzione: noi umani al solito non ci facciamo bella figura: secondo l’indice di Shannon sembrerebbe che …la ricchezza specifica di un suolo sale di più laddove maggiore è l’ abbandono …

Per consolarci possiamo dire che, a pensarci bene, l’utilizzo dei batteri data da epoche lontanissime: l’uomo fa lo yogurt da sempre e si tratta della prima biotecnologia che usa cellule viventi, i fermenti lattici, per ottenere cibo. Attenzione: non si tratta di OGM perché non è una manipolazione genetica. Nei laboratori della facoltà di Agraria a scopo di studio si può ovviamente comunque fare anche quella. Per esempio si possono rendere fluorescenti i batteri legati alle piante per osservarne meglio il comportamento.

Il primo requisito per promuovere la crescita delle piante è la colonizzazione delle radici: al microscopio si è visto che alcuni batteri aderiscono alle radici in modo per così dire totale, formando una sorta di biofilm, un tappeto di cellule ricoprenti che rende l’insieme molto più resistente alle aggressione ambientali. Il guaio è che hanno questa abitudine purtroppo anche i batteri dei cateteri ospedalieri, e quindi si sviluppano nella forma di un biofilm molto più difficile da pulire… Comunque sia - i batteri sono conservati in un ultrafreezer a meno 80 gradi sotto lo zero.

Tra i batteri più importanti si segnalano gli ‘azotofissatori’ utili nelle colture agrarie: la loro capacità di fissare l’azoto dell’aria nei suoli li rende più fertili. L’atmosfera infatti è composta per l’80% di azoto allo stato gassoso, ma solo i batteri riescono a trasformarlo in ammoniaca , cioè azoto ammoniacale usabile anche dalle piante. Viceversa altri batteri sono in grado di riportare allo stato gassoso l’azoto ammoniacale, ma questi utlimi sono dannosi alla fertilità dei suoli …

Come si vede, il ciclo della natura è molto complesso ma basato su una fondamentale reciprocità.

 

20-06-10

 

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