Alle donne scienziate il Nobel resta proibito
La scopritrice delle pulsar accusa i camici bianche


Intervista a Jocelyn Bell-Burnell di Gabriele Beccaria




Jocelyn Bell-Burnell da studentessa

 

«Essere una donna scienziato è come vivere da mancini in un mondo di gente che scrive con la destra».

Siamo noi occidentali i veri talebani. Un trentennio dopo il mancato Nobel, Jocelyn Bell-Burnell, 64 anni, continua a incarnare l'esempio più clamoroso di discriminazione e di vero e proprio razzismo contro le donne. E' lei che ha scoperto le stelle pulsar, ma nel 1974 l'Accademia di Stoccolma la ignorò, premiando invece il supervisore della sua portentosa tesi, Anthony Hewish. E ancora più stupefacente è il fatto che nel 2007 non è cambiato molto. «Essere donne resta comunque uno svantaggio anche nei laboratori - spiega l'astrofisica britannica, oggi visiting professor all'Università di Oxford -. La società non è organizzata per rispondere alle loro esigenze e tante discipline, dalla fisica alla chimica, sono da sempre dominate dagli uomini e rischiano di esserlo per sempre».

Professoressa, lei sarà alla Triennale di Milano la prossima settimana e parlerà in occasione dell'evento “Nobel negati alle donne di scienza”. Ha in mente una strategia per rimediare a un'ingiustizia tanto plateale? 
«A Oxford ci stiamo impegnando molto per trovare studentesse brillanti e poi per trattenerle in facoltà come ricercatrici. Ma non è semplice. Mi permetta di fare un semplice esempio: anche da noi, come in tutte le università, si organizzano molti convegni e seminari. E sa quando si tengono?. Quasi sempre nel tardo pomeriggio, proprio quando una mamma deve passare all'asilo o a scuola per prendere i figli».

Adesso, però, anche da voi, come in tutte le scuole, il rapporto maschi e femmine è 50-50. Anzi, in molti casi sui banchi ci sono più ragazze che ragazzi. Non è così?
«E' vero, ma al vertice le donne restano poche. In media in Gran Bretagna chi di noi occupa le posizioni "senior" non supera il 13%. E i "panel", vale a dire i consigli che selezionano i giovani, continuano a essere segnati da stereotipi sottili».

Che tipo di stereotipi?
«C'è una ricerca psicologica che considero significativa. E' stata sottoposta agli esaminatori una serie di curriculum di ragazze e poi sugli stessi fogli è stato sostituito il nome, mettendo quello di un ragazzo. Si è osservato che i professori selezionavano più volentieri e più spesso i candidati maschi, mentre con le femmine erano assurdamente severi».

Si comportavano allo stesso modo anche le professoresse? «Sì».

Lei ha annunciato la scoperta delle pulsar nel '68 e sei anni dopo si è vista scippata il Nobel: quanta rabbia ha ancora?
«Non l'ho vinto, è vero. In com­penso ho avuto tanti altri pre­mi e in fondo è stato molto più divertente: il Nobel significa una settimana davvero fantastica a Stoccolma e poi più niente, perché nessuno osa da­re un riconoscimento a qualcuno che è salito così in alto».

Che suggerimenti darà a Milano alle ragazze che vogliono diven­tare camici bianchi?
«Quando seleziono qualcuno, voglio capire quanto è motivato e se un individuo è abile nell'affrontare i problemi, oltre che nel comunicare con i colle­ghi. L'astrofisica, in particola­re, è un settore altamente com­petitivo e chi lo sceglie può ave­re molte opportunità, anche al di fuori dell'università, perché richiede competenze diverse e tante qualità».

Lei è credente e quacchera. Che cosa pensa delle interferenze della Chiesa cattolica e delle al­tre religioni nella vita pubblica e nelle questioni scientifiche
 «Quella dei quaccheri è una chiesa ottima per gli scienziati: non ha dogmi e sostiene che ciascuno deve capire che cosa Dio vuole da lui. E' quindi un  percorso in continua evoluzione. I fondamentalisti, dai cattolici ai musulmani, vogliono invece certezze. Alla Royal Society stiamo parlando molto di  questo problema, ma non abbiamo ancora deciso ci di risposta organizzare»

Da Tutto Scienze, La stampa, 14-03-07