Rashida Bee e Champa Devi Shukla |
pubblicato in "il
manifesto" del
19 giugno 2004 Per Rashida Bee, la notte in cui esplose lo stabilimento della Union Carbide segna uno spartiacque personale: «Prima, non ero mai uscita di casa». Viveva a Jaiprakash Nagar, una grande borgata operaia che sta proprio di fronte ai cancelli della fabbrica, e suo marito faceva il sarto. Quella notte però nello stabilimento qualcosa andò storto, i macchinari si surriscaldarono e una cisterna esplose, lasciando uscire 40 tonnellate di un gas letale: isocianato di metile con cianuro idrogeno, mono metil-ammine e altre sostanze, ma questo si seppe solo parecchi giorni più tardi. Quella notte tutti furono presi di sorpresa. Portata dal vento, la nuvola di gas investì in pieno proprio Jaiprakash Nagar e gli altri poverissimi quartieri che costeggiano la fabbrica a nord: mezzo milione di persone la respirarono. Fu uno dei peggiori incidenti industriali della storia umana, migliaia di persone morirono soffocate quella stessa notte: 1.600, disse il governo - forse 6.000, sostengono le organizzazioni che da allora si occupano delle vittime e dei sopravvissuti. Molti di più sono morti in modo lento nei mesi e anni seguenti, di tumore ai polmoni e di altre malattie: il bilancio sfiora ormai le 20mila vittime. Ormai il nome di Bhopal, capitale dello stato del Madhya Pradesh, India centrale, sta all'industria chimica come quello di Hiroshima sta all'olocausto atomico. Rashida Bee è sopravvissuta a quella notte, sia pure con problemi respiratori e alla vista, ma la gas tragedy ha lasciato suo marito incapace di lavorare. «D'improvviso, non avevamo più un reddito. Tutti gli uomini della famiglia erano malati, nessuno guadagnava». Sei dei suoi parenti sono in seguito morti di tumori provocati dal gas. Dunque, a lei non è rimasta scelta: ha dovuto cercare qualcosa da fare per vivere. «Così sono uscita. Avevo saputo che c'era qualche possibilità nei programmi di riabilitazione del governo». Già, i programmi di «riabilitazione economica, sociale e ambientale»: programmi di formazione professionale per qualche centinaio di persone dei quartieri investiti dalla tragedia - per lo più donne rimaste sole a mandare avanti la famiglia. Quaderni per vivere
Rashida Bee, che aveva allora 28 anni, si è
ritrovata con un centinaio di donne in un corso di
formazione-lavoro di cartoleria. «Avevano preso un centinaio
di donne, metà hindu e metà musulmane. Lavoravamo, il governo
commercializzava i nostri quaderni, avevamo un piccolo
stipendio», racconta. «Finché il governo ha detto che ormai
potevamo cercarci un lavoro. Ma chi ci avrebbe dato lavoro?
D'altra parte noi continuavamo a produrre. Insomma, abbiamo
protestato». Ritorno a New Delhi
Il punto è che il lavoro e il salario erano
solo parte del problema. Nel 2002 le «donne della cartoleria»
sono tornate a New Delhi, dove hanno organizzato uno sciopero
della fame durato 19 giorni, questa volta con una piattaforma
più ampia. Chiedevano l'estradizione in India di Warren
Anderson, amministratore delegato della Union Carbide
all'epoca dela tragedia, perché fosse processato a Bhopal (la
realtà è che il governo indiano, parte civile in
rappresentanza delle vittime, aveva accettato nel 1989 un
patteggiamento extragiudiziario con l'azienda chimica
americana, che ha versato 470 milioni di dollari di
risarcimento e chiuso così la sua
responsabilità). «Cosa ho
perso con il purdah» Rashida Bee insiste. «Prima
non sapevo nulla su come i problemi ambientali rovinano la
salute delle donne e anche dei bambini non ancora nati. Ora so
queste cose. E siamo noi che andiamo in giro a dirlo alle
altre». Soprattutto, dice, «quando sono stata costretta a
uscire di casa, dopo la tragedia, ho capito cosa avevo perso a
stare in purdah», il regime di segregazione osservato
dalle famiglie musulmane più tradizionali, con le donne sempre
chiuse in casa. «Ho capito che le donne possono fare cose
importanti fuori casa. Quando noi parliamo e facciamo sentire
la nostra voce, anche l'impensabile diventa vero. Così ora
quando discuto ho un argomento pratico contro la tradizione di
tenere le donne chiuse in
casa». Rashida Bee e Champa Devi Shukla hanno vinto il premio Goldman per il 2004
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