La sordità di Bice

di Vanda Cimolin

 

La conoscenza di Bice Azzali è nata in modo abbastanza singolare durante uno dei corsi organizzati dall’Università delle Donne in zona 9 a Milano.

Nel corso del 1995 Rosanna Bernardini presentò in un suo scritto il ricordo di una collega molto particolare. “Era sorda, molto sorda, ma proprio sorda”.

Era la Bice scampata alla deportazione nel campo di concentramento nazista Konighutte-Kroleuska uno dei 40 sottocampi di Auschwitz.
 

Dal suo paese natale San Martino all’Argine in provincia di Mantova venne a Milano a cercare lavoro. Trovò un lavoro stagionale nella famosa industria dolciaria milanese Alemagna e poi finalmente venne assunta all’Ufficio di Igiene del Comune di Milano. Fu così che divenne collega di Rosanna Bernardini.
 

La ricorda piccola, non bella ma con un sorriso accattivante che facilitava l’istaurarsi di calda amicizia. Scrive Rosanna: “un giorno durante l’intervallo del pasto osai chiedere com’era diventata così sorda. Bice fu titubante all’inizio, rispose: è una storia lunga e dolorosa.” Solo l’insistenza di Rosanna la vinse e iniziò:
 

 “Racconto una giornata tipo nel campo: al mattino presto al comando di un bastone dovevamo recarci in fabbrica, la più importante della Germania la Farben Fabrik che produceva polvere per esplosivo, ma prima dovevamo passare sotto una doccia calda poi fredda con la scusa che non prendessimo pulci e pidocchi. Le nostre mani e il nostro viso sembravano ricoperti da squame: fu così che persi l’udito e anche la ragione. Dovetti stare in ospedale più di un anno dopo la liberazione per poter riacquistare me stessa e ritornare in famiglia.”

 

Dopo la sua morte avvenuta il 13 gennaio 2000 apparve sul giornalino della zona dove ultimamente abitava e precisamente l’attuale “giornale di Zona 9” la sua storia tratta da un’intervista fattale in occasione di una festa dell’8 marzo del 1996.
 

 

Il contributo alla Resistenza era iniziato nel 1943.  Svolgeva attività di staffetta da S. Martino a Milano dove lavorava la sorella Maria, più anziana, che condizionò le sue scelte politiche.  La sua casa divenne ritrovo di giovani che dovevano raggiungere i partigiani in montagna.


Vi passarono giovani antifascisti che avevano diverse idee politiche, ebrei e anche due sacerdoti: uno di loro era don Primo Mazzolari. Le attività erano dirette ad aiutare i partigiani nascosti in campagna, a sabotare i mezzi di trasporto tedeschi, ad affiggere manifesti di propaganda.


Un giorno mentre le due sorelle Maria, Bice ed altri erano in ascolto di Radio Londra furono scoperti dalla moglie di un gerarca fascista e denunciati. Fu un grave colpo che condizionò le attività di tutto il gruppo infatti una mattina, erano i  primi  giorni del giugno 1944, una squadra delle SS tedesche piombò in casa cercando la maestra Maria Azzali, la sorella, la più indagata.


Perquisirono la casa: nei cassetti della camera di Bice trovarono copie dei manifesti distribuiti in paese e Bice fu portata al comando tedesco di Bozzolo. Volevano sapere dove era la sorella, seduta su un seggiolone legata e con una pistola puntata alla tempia da un SS resistette alle minacce, la trasferirono alle carceri di Mantova in isolamento.

Dopo un mese con una camionetta fu portata a Verona alla fortezza di S. Leonardo e S. Sofia. Era luglio, il caldo soffocava ed erano 10 donne in una cella tra il morso delle cimici e la puzza del boiolo. Fu poi chiusa in uno sgabuzzino di due metri quadrati, cadde svenuta perché vide due compagni, Arini e Accorsi, coperti di sangue torturati. Seppe poi dal cappellano del carcere, una mattina in occasione dell’ora d’aria, che erano stati fucilati. Gridò ad alta voce ‘assassini’ ma una frustata le paralizzò le gambe.


Il cappellano, don Carlo Signorato, la riportò in cella e le disse che sarebbe stata deportata in Germania. Il cappellano aiutava i prigionieri, prima che iniziasse la Messa per i detenuti distribuiva un  libretto ai presenti per meglio seguire, diceva lui, la liturgia. Alla fine della Messa quando i libretti venivano raccolti contenevano della corrispondenza infilata tra le pagine, che veniva spedita ai familiari. 


Bice venne poi  trasferita a Peschiera sul Garda, una fortezza nella quale raccoglievano i gruppi di prigionieri politici da mandare in Germania e in Polonia. Si ritrovò con diverse ragazze provenienti dal campo di Fossoli con le quali trascorse il tempo della prigionia. Furono caricate su carri bestiame e dopo 20 giorni arrivarono al campo di Kroleuska-Huta. La vista del campo fu sconvolgente, una ventina di  letti a castello con materassi di paglia che pungeva le carni come chiodi.

Rimase lì fino al febbraio del 1945 quando, dopo una violenta battaglia, la porta del campo fu sfondata e apparve il generale russo Timocenko che liberò i prigionieri. Dopo 8 mesi furono caricati su un treno per un viaggio che durò per un intero mese, conobbe Primo Levi che proprio sul ritorno scrisse “La tregua”.

 

Nella piazza di Bozzolo è stato fatto un monumento dedicato ai martiri della Resistenza Arini e Accorsi, alla Bice solo un articolo su un giornalino di Zona dopo la morte.

Un suo pensiero:
 “Noi sopravvissuti avevamo creduto che le sofferenze di milioni di persone avessero insegnato all’umanità l’orrore della dittatura e della guerra, purtroppo invece stragi e guerre dilaniano ancora l’umanità, ogni volta che vedo il monumento mi rivedo in carcere con loro e mi assale la rabbia.”


 

Nel 1996 mi scrisse questa lettera in occasione dell'8 marzo

"Sono un'anziana donna e, in questa festa, mi tornano alla mente esperienze e ricordi di una vita vissuta nella lotta.

Rivedo l'esistenza grama delle donne di città e di campagna, lavoro e sottomissione a mariti e padroni. Poi la guerra fascista con i suoi disastri e fame, fame per tutti.

Molte donne, come me, pagarono l'antifascismo col carcere e la deportazione.
E vi ricordo tutte care compagne abbracciate piene di terrore su quel treno piombato che ci portava al K2 concentramento:
(la grafia di questa parola è tremante) in Polonia.

Le nostre sofferenze talvolta ci erano insopportabili.
Ci salvammo non tutte, quando da parte dell'armata Rossa arrivò la liberazione.

Tornai al mio paese ma, dopo poco tempo mi recai a Milano per trovarmi un lavoro.
Che bella la libertà che non avevo mai provata!

Trovai un posto alla fabbrica Alemagna. Con le mie compagne di lavoro c'era grande solidarietà e lottammo per la legge sulla maternità come ce l'aveva indicata Teresa Noce: fu una grande conquista.

Il lavoro stagionale all'Alemagna era finito, ero preoccupata ma riuscii ad entrare al Municipio di Milano. E qui ricordo la collega Malvicini che con costanza ferrea ci portava tutte a Palazzo Marino per la parità salariale con gli uomini e l'ottenemmo.
E quante altre rivendicazioni importanti come il voto alle donne.

Ora, vi ripeto, sono anziana e voglio dire a tutte le giovani donne: che molte sono ancora le rivendicazioni da realizzare.

Noi anziane compagne vi abbiamo preparato la democrazia lottando nella Resistenza, ora voi sappiate usarla bene, per voi e per l'avvenire pacifico dei vostri figli.

E ricordate che senza impegno di lotta non si otterrà mai nulla.
Vi abbraccio tutte

Bice Azzali
partigiana ex deportata