Il testo che segue si propone come base per una discussione franca e senza reticenze sulle domande aperte dalla PMA, tanto più urgente alla luce dell'approvazione della legge 147 che dovrebbe regolare la materia. A tal fine fra gennaio e febbraio sarà organizzato un seminario di confronto fra donne che si sono occupate dell'argomento a partire dalle diverse competenze ed esperienze. Lo sviluppo delle biotecnologie procreative e delle loro "ricadute" richiede infatti un supplemento di analisi rispetto a qualche anno fa mentre la previsione di pubbliche iniziative di opposizione a questa legge impone l'assunzione in proprio delle molte domande che la legge in oggetto si sforza di censurare.

Proposta per una discussione intorno alla PMA

di Maddalena Gasparini e Anna Rollier

 


Frida Kahlo

 

E' fatta, il testo che regolamenta l'accesso alle e l'applicazione delle tecniche di procreazione assistita è quasi legge (dovrà passare di nuovo alla Camera per la copertura economica, ridicolmente bassa, e la pubblicazione sulla G.U.).Al di là delle beghe politiche e dello scontro Chiesa/resto del mondo dove la prima sembra per ora avere la meglio, non sembra esservi opinione o movimento pubblico intorno ad essa; sembra che la metà della popolazione semplicemente non sappia di cosa si stia parlando e probabilmente la maggioranza considera la PMA una questione che riguarda pochi, per l'appunto le coppie infertili cui la legge sembra destinata (vedi art 1).
I mezzi di comunicazione prediligono le polemiche interne agli schieramenti politici e la riproposizione dello scontro laici-cattolici, contribuendo a censurare le reali linee di conflitto che riguardano il rapporto privato e pubblico fra le donne e gli uomini e la pretesa dello stato di farsene regolatore. Ne deriva l'impressione di una distanza dalle tematiche poste dalla PMA e dalle risposte che questa legge intende dare. Chi di noi più a lungo si è occupata di queste vicende, fra cui chi scrive, non può negare il disagio che ha accompagnato il percorso di riflessione e comprensione di quanto andava avvenendo; e forse qualcosa di simile accade a chi appare indifferente.
Certamente colpisce l'assenza di interesse pubblico per il mutamento di posizione dell'embrione, organismo che fino a pochi decenni fa ha goduto della protezione del corpo femminile, qualunque poi ne fosse l'esito, di rifiuto o di figlio. Con le tecniche di PA gli embrioni prodotti in vitro e poi congelati, possono infatti essere mantenuti in uno stato di sospensione vitale di lunga durata (la "scadenza" a 5 anni è relativamente arbitraria) per successivi trasferimenti in utero. La disponibilità poi di embrioni residuali, non più richiesti per il trasferimento in utero, ha messo a disposizione della ricerca scientifica il materiale per lo studio dello sviluppo e della differenziazione cellulare (detto in breve di come succede che da un'unica cellula -l'ovocita fecondato- si sviluppino le diverse cellule che a loro volta costituiscono i tessuti e gli organi del corpo umano) e reso pensabile l'uso di cellule derivate da essi (le cellule staminali embrionali) per riparare organi e tessuti irrimediabilmente malati.
La regolamentazione sadico-coercitiva dell'applicazione delle tecniche al corpo femminile deriva proprio dall'attribuzione all'embrione creato in vitro di un'autonomia che non ha. Si può naturalmente giudicare questa premessa puramente strumentale al controllo dei corpi femminili, ma essa affonda le sue radici in quell'idea di sacralità della vita che appartiene alla nostra storia e per abbandonare la quale è necessario un percorso non facile. Pensiamo che da qui si debba ripartire per disarticolare gli aspetti più feroci della legge: la produzione limitata di embrioni, il divieto del congelamento, l'obbligo di trasferirli tutti, il divieto di diagnosi pre-impianto.,

Gli embrioni congelati e conservati nelle apposite strutture sono portatori di un progetto di vita solo agli occhi di chi ne ha permesso la creazione e fintanto che il desiderio di maternità e paternità ha potuto realizzarsi, per questa o un'altra strada. Fuori da questa progettualità essi sono "non-vita" ma possono creare disagio non solo perché figli immaginari, ma per l'uso arbitrario che ne può essere fatto. Cosa sono per noi gli embrioni quando non li portiamo in grembo? Siamo indifferenti alla considerazione che "essere un embrione" appartiene alla preistoria di ciascuna?
I mutamenti della relazione fra l'embrione creato in vitro e il corpo femminile hanno per ora il segno prevalente di una recrudescenza dei meccanismi di controllo estrinseco della procreazione. Qual è la nostra rappresentazione di questo cambiamento?
Gli embrioni residui possono avere diversi destini: la distruzione, la donazione a una donna o coppia sterili, la ricerca scientifica. Quali usi pensiamo leciti per embrioni e ovociti residui? Pensiamo sia lecita la creazione di embrioni ad hoc per la ricerca scientifica (come in Gran Bretagna)? Chi pensiamo debba avere la responsabilità dell'uso che ne può essere fatto?
La possibilità di utilizzare gli embrioni per scopi diversi da quello per cui sono stati creati in vitro dipende dal consenso di chi li ha voluti; esso dovrebbe includere tutte le opzione e avere precise articolazioni (per esempio, in caso di uso per la ricerca scientifica, con quali fini, fino a quando, se è prevista la brevettabilità e la commercializzazione dei prodotti finali); in questo modo il consenso diventa un'estensione del principio di autonomia e amplia la responsabilità delle persone coinvolte. Questa procedura (peraltro prevista dalla "Convenzione di Oviedo", ratificata dall'Italia) è sufficiente a proteggere ovociti ed embrioni da possibili abusi? La legge in approvazione prevede che in caso di rinuncia al trasferimento in utero per gli embrioni esistenti, circa 30.000, sia lo stato a decidere oggi per la "adozione"; domani?.
L'embrione in biologia è l'organismo che si sviluppa a partire da un ovocita fecondato. Altre tecniche permettono oggi di produrre, seppure con difficoltà, organismi del tutto simili: per esempio il trasferimento nucleare somatico (il processo che ha portato alla nascita della pecora Dolly), la partenogenesi a partire dagli ovociti etc. In molti paesi europei l'embrione è ormai definito per legge e la ricerca (o la proibizione della ricerca) è regolamentata sulla base di definizioni giuridiche. Alcuni istituti scientifici stanno cercando di ottenere ovociti e spermatozoi a partire da cellule dell'adulto, per farne uso con maggiore libertà. Una lettura delle varie leggi (o di alcune) in questa ottica può fornirci elementi di riflessione: esse sembrano oggi l'unico strumento che restituisce una dimensione sociale e collettiva a ciò che le tecnologie tendono ad appiattire e privare di senso negando lo spessore della storia dell'umanità intera.

La fecondazione in vitro, grazie allo sviluppo della genomica, permette l'esame del DNA dell'embrione e quindi la diagnosi pre-impianto (DPI) di malattie geneticamente determinate (come la mucoviscidosi o la Corea di Huntington) della predisposizione genetica a malattie varie e naturalmente del sesso. Con la stessa tecnica è anche possibile selezionare un embrione per le caratteristiche genetiche del sistema immunologico (il sistema HLA) sulla base della compatibilità con un fratello vivente e malato; le cellule prelevate dal cordone ombelicale possono essere utilizzate a scopo terapeutico. La legge 147 non proibisce la DPI ma il ricorso alla PMA per le coppie a rischio di malattie geneticamente determinate giungendo con furiosa coerenza a obbligare il trasferimento in utero anche se l'embrione è portatore di gene patogeno . Sarà poi la donna a decidere se abortire (art 13 e 14)
La contiguità fra l'analisi genetica finalizzata a una diagnosi predittiva e l'eugenetica è intuitiva. La DPI rientra nelle tecniche di PMA (si esercita sull'embrione, a differenza della diagnosi prenatale effettuata sul feto in utero) e la sua diffusione e applicazione è stata esponenziale. In molti paesi l'accesso alla DPI è regolamentata per legge (solo per certe malattie, solo in presenza di esame del DNA dei genitori o della malattia nell'albero genealogico etc). In Gran Bretagna è in corso una discussione sulla legittimità di ricorrere ad essa per selezionare il sesso di chi deve nascere. Per conciliare legittime esigenze (evitare un aborto o un figlio malato) con il rifiuto di una logica eugenetica è necessario contestualizzare il ricorso alla DPI, immaginando strumenti che permettono il riconoscimento della "singolarità" di ogni caso.

La frammentazione nel tempo e nello spazio del processo procreativo (messo a punto formalmente per dare la possibilità di avere un figlio a coppie infertili) ha aperto la strada a un nuovo modo di procreare e legittimato pubblicamente la realizzazione di fantasie un tempo destinate a restare tali. Caratteristica comune degli usi previsti e non della PMA ci sembra in special modo il rimodellamento delle figure "terze" rispetto a gravidanza e maternità. Ingigantisce il ruolo di medici e biologi (già rilevante nella gravidanza medicalizzata) con le regole dettate ai corpi e alla sessualità perché la PMA sia possibile e perché funzioni mentre può essere radicalmente ridimensionata (se non espulsa) la figura del padre biologico. Chi occupa questo spazio: il padre "adottivo"? un'altra donna? una collettività? un fantasma? Può restare "vuoto"? Le caratteristiche che secondo la legge devono avere le donne (e le coppie) per accedere alla PMA non solo eludono le domande rendendone più faticosa l'elaborazione, ma soprattutto cercano di costringere al silenzio e al segreto le coppie e le donne che si rivolgeranno altrove per accedere alla PMA

Come speriamo di avere documentato il ricorso alle biotecnologie (ma anche la loro semplice esistenza) comporta un'assunzione di responsabilità molto più ampia che decidere se portare a termine una gravidanza e che riguarda non solo chi si rivolge ad esse ma la collettività di donne e uomini.

11 dicembre 2003