Birmania: violenza contro le donne Karen


ragazze Karen

 

In un documento diffuso dal Karen Women's Organization, gruppo umanitario con sede in Thailandia, l'esercito birmano viene esplicitamente accusato di perpetrare stupri di massa nei confronti delle donne appartenenti all'etnia Karen, minoranza etnica stanziata nel sud della Birmania.

Intervistata dalla Associated Press, la portavoce del Karen Women's Organization, Naw Zipporah Sein, ha affermato: "Come possiamo credere che il governo birmano si stia prodigando per l'affermazione della pace e della democrazia nel paese, quando le truppe dell'esercito continuano a compiere stupri impunemente?".

Nel rapporto emerge come almeno 125 donne di etnia Karen sarebbero state stuprate dai soldati dell'esercito birmano tra l'ottobre del 2002 e il marzo di quest'anno. Gli episodi si sarebbero verificati, dunque, anche nel periodo in cui alcuni delegati Karen discutevano l'accordo di cessate il fuoco con la giunta birmana, negoziazioni che si sono svolte a partire dallo scorso dicembre.

Questi stupri, secondo quanto affermato dalla portavoce del Karen Women's Organization, farebbero parte di una più ampia strategia delineata dalla giunta birmana con il fine di terrorizzare e soggiogare la minoranza Karen, distruggendone cultura ed identità.

Le vittime degli stupri oggi risiedono in alcuni campi profughi nei pressi del confine con la Thailandia, ma finora avevano rifiutato di raccontare le proprie terribili esperienze per paura di ritorsioni da parte dei soldati birmani.

Il documento denuncia come quasi la metà dei casi riportati siano stati degli stupri di gruppo, mentre almeno 40 donne sono state uccise dopo aver subito violenza sessuale. In numerose circostanze la vittima veniva anche ridotta in schiavitù e sottoposta quotidianamente a stupri e maltrattamenti.
 

dal sito WarNews, 6 aprile 2004

Chi è Naw Zipporah Sein


donne Karen

 Il sogno di una vita senza guerra

Sono cresciuta in Birmania, la cosiddetta Myanmar, un paese guidato da uno dei più crudeli regimi dittatoriali. Sono Karen, l'etnia che è seconda come numero di popolazione in Birmania, contando da 8 a 10 milioni di persone. Come gli altri gruppi etnici della Birmania, i Karen da più di 50 anni combattono per i loro diritti, la libertà, l' autodeterminazione e la democrazia

Per la maggior parte vivono nelle zone di montagna al confine orientale e in quelle centrali del delta. Siamo gente semplice, con forti legami familiari, diamo molto valore all'ospitalità e al desiderio di vivere in pace. Ma abbiamo sofferto una persecuzione sistematica, torture, sfruttamento, deportazione e morte, compreso la morte della nostra cultura, la nostra parte più vitale.  Le nostre scuole sono state occupate e distrutte e non ci è consentito imparare la nostra lingua nelle scuole birmane, a causa della politica di "Birmanizzazione".

L'esercito birmano controlla le nostre regioni attraverso il lavoro forzato, rapimenti, torture, uccisioni e distruzione dei nostri beni. Vengono distrutti campi, risaie e interi villaggi. I contadini vengono picchiati con sistematicità e le donne rapite e uccise impunemente. I rapimenti da parte dei soldati birmani è un'arma tanto popolare in questi attacchi violenti che, come donne, siamo diventate l'obiettivo della guerra.

Noi donne Karen abbiamo perso tutti i nostri diritti: il diritto all'educazione, alla salute al cibo, perfino il diritto di vivere. I nostri figli sono nati sotto attacco; i bambini piccoli non hanno il diritto di piangere perché rivelerebbero la presenza della loro famiglia.

Sono cresciuta in una zona rurale, in area di guerra e non mi sono mai sentita sicura. Per tutta la vita sono stata interiormente disturbata; anche ora che vivo in un campo per rifugiati, non mi sento sicura. La mia famiglia ha sempre dovuto spostarsi da un luogo all'altro e non abbiamo mai potuto fermarci per più di due anni. Questo finché non siamo arrivato al campo rifugio al confina tra Birmania e Tailandia nel febbraio del 1995

Mia madre era responsabile della sopravvivenza dei suoi 8 figli, mentre mio padre agiva nella lotta per la libertà. Mia madre è una donna forte. Ci ha tenuti in vita con la sua scienza delle medicine tradizionali erboristiche, dato che non avevamo né ospedali, né medici o levatrici, nemmeno medicine. Siamo stati fortunati che mia madre avesse tante conoscenze che ci hanno preservato dalla morte; molti bambini sono morti.

Mia madre ci spiegava sempre il motivo per cui dovevamo vivere nel terrore. Diceva che sarebbe venuto il giorno della "Pace e Giustizia" e da allora in poi avremmo vissuto sempre nella pace e nella felicità. Noi bambini lo credevamo con forza; attendevamo il giorno in cui "Pace e Giustizia" sarebbero giunte nel nostro paese. E lo stiamo ancora aspettando.

Sono nata nella zona dei conflitti armati più violenti, una zona dove migliaia di persone soffrono ancora ogni giorno. Ho insegnato in questa zona di guerra per 20 anni e come insegnate trovavo molto difficile parlare di pace e di sicurezza con i miei studenti. Suonava poco realistico alle loro e anche alle mie orecchie, dal momento che la guerra era l'unica realtà conosciuta. Nel bel mezzo di quasi ogni periodo accademico dovemmo chiudere la scuola perché il governo birmano mandava le truppe ad attaccarci. i miei studenti dovevano andare al fronte per difendere donne, vecchi e bambini. Non solo dovetti assistere alla guerra contro i civili, ma come insegnante vi ho anche perso molti studenti.

Per tutti quegli anni ho sognato una vita senza guerra, una vita sicura e serena. Penso che sarebbe molto bello. Ho già cercato di nascondere molte ferite dentro di me e ora penso solo al futuro più prossimo. Il mio desiderio sincero e profondo è che il mio popolo ed io possiamo vivere senza guerra in pace e sicurezza. Ma abbiamo ancora molta strada davanti; la pace è un sogno ancora lontano per noi.

Il concetto di pace per le donne va oltre la pura e semplice fine della guerra e dei combattimenti: Vogliamo una vera pace, pace con giustizia, senza violenza né violenza nelle famiglie. Anche se finisce la guerra, se vi è permanere della violenza tra le mura di casa, le donne non potranno essere felici.

Credo che se non aumenteremo la partecipazione delle nostre donne nei movimenti politici al livello delle responsabilità decisionali, non saremo in grado di apportare il nostro contributo al processo di costruzione della pace, Perché per tutti questi lunghi anni di guerra civile, noi siamo state vulnerabili, abbiamo sofferto e non siamo mai state motivo di guerra. Noi donne abbiamo l'obiettivo di lavorare con gli uomini per la pace e di fare progetti per arrivarci.

Io personalmente credo che tutte le parti coinvolte hanno la responsabilità di por fine al terrore con il perdono. Sono profondamente d'accordo con Desmond Tutu, che ha vinto il Nobel per la pace nel 1984 e che ha affermato che "non vi può essere futuro senza perdono." Potere, orgoglio e odio non potranno mai creare un mondo di pace e di giustizia. Abbiamo bisogno della solidarietà di tutte le nostre sorelle nel mondo; abbiamo bisogno di sostegno ai nostri sforzi di cooperazione, riconciliazione e costruzione della pace.


traduzione di Liliana Moro

A Dream of a Life without War

I grew up in Burma, so-called Myanmar, a country ruled by one of the world's cruelest and longest–lasting dictatorships. I am Karen, the second largest ethnic nationality in Burma with a population of about 8 to 10 million. Like other ethnic nationalities in Burma, the Karen have been fighting for their rights, freedom, self-determination, and democracy for more than fifty years.

The Karen live mostly in the mountainous eastern border region of Burma and the central delta areas. We are simple people, with strong families, who place a high value on hospitality and desire to live peacefully. But we have suffered systematic persecution, torture, exploitation, displacement, and death, including the death of our culture, the most vital part of our daily lives. Our Karen schools have been taken from us, controlled by force and destroyed, and we are not allowed to learn our own language in Burmese schools, because of the national policy of "Burmanisation."

The Burmese army is present throughout our land and controls our people though forced labor, forced relocation, rape, torture, killing, looting, and destruction of property. Our fields, crops, and rice barns are burned down and our villages as well. Our villagers are deliberately starved and regularly beaten, and the women raped and killed with impunity. Rape by the Burmese army, or SPDC (State Peace and Development council) officers and troops is such a popular weapon in these violent encounters that, as women, we have become the target of the war

We Karen women have lost all our rights—the right to an education, the right to health and food, even the right to live. Our children are born under attack; small babies do not have the right to cry, because they might reveal the whereabouts of their family

I grew up in a rural area, a war zone, and I have never felt secure. All my life I have been an internally displaced person; even now, living in a refugee camp, I still don’t feel safe. My family had to move from place to place all the time; we could not settle anywhere for more than two years .We had to keep moving until finally we got to the refugee camp on the Thai–Burma border in February 1995.

My mother was responsible for the survival of her eight children, while my father traveled in the struggle for freedom. My mother is a strong woman. She kept us alive through her knowledge of traditional herbal medicines, because we had no clinic or hospital, health workers, doctors or nurses, even medicines. We were lucky that my mother knew so much, for her skill prevented us from dying; many other children did die.

My mother always explained why we had to live a life of terror and fear. She said the day would come when "Peace and Justice" would be achieved and we would live peacefully and happily ever after. We children strongly believed this; we waited for the day when "Peace and Justice" would come to our country. And we are still longing and waiting for it.

I was born in the area of the widest and most serious armed conflicts, an area where thousands of women still suffer everyday. I was a schoolteacher in this war zone for twenty years. As a schoolteacher, what I found most difficult to talk about with my students was peace and security. It sounded unrealistic to them as well as to me, when war was all we knew. In the middle of almost every academic term, we had to close down the school when the Burmese government sent its troops to attack our areas. My schoolboys had to go to the front lines to defend the women, children, and elderly in the villages. Not only have I witnessed war against civilians, but, as a teacher, I lost many students to it.

All these years I have dreamed about a life without war, a life that would be secure and safe. I think this must be very pleasant. I have already tried to bury many wounds inside me and I now look forward only to what may happen next. It is my sincere and heartfelt wish that my people and I will be able to live a life without war, a life of peace and security. I feel we have a long way to go; peace is still a very distant dream for us.

Women’s definition of peace goes beyond the mere end of war and fighting. We want a genuine peace, a peace with justice, a peace where there is no violence or domestic violence. Even if there is no war, if there is still domestic violence, women cannot be happy with this kind of peace.

I believe that unless we can increase the participation of our women in the current political movement at the decision making level, we will not be able to contribute our best capabilities toward our peace building process. Because during all these long years of civil war, we have been vulnerable, we have suffered, and we have never been the cause of war. We women have the skills to work with men for peace and to make plans to bring it about.

I personally believe that all parties involved are responsible to bring the terror in to an end through forgiveness. I strongly support the words of Desmond Tutu, a Nobel Peace Prize winner in 1984, who said there can be "No future without forgiveness." Power, pride, and hatred will never create a world or a country that lives in peace and justice. We need solidarity from all our sisters in the world; we need support for our women’s efforts at co-operation, reconciliation, and peace building.


 

Naw Zipporah Sein vive dal 1995 in un campo di rifugiati in Tailandia, dove lavora come segretaria generale per la Karen Women's Organization

dal sito women'sworld