Ma la soluzione non è penale

Intervista di Ida Dominijanni a Maria Luisa Boccia


Il governo promette di intervenire sulla violenza contro le donne con una legge. Ieri l'altro Barbara Pollastrini, ministra ai diritti e alle pari opportunità, ha frenato sui tempi: le prime anticipazioni del ddl avevano incontrato molte critiche da parte del femminismo e dei centri antiviolenza. Fra le prime a criticarlo, Maria Luisa Boccia, senatrice del Prc.
 

Che cosa non ti convince?

Fondamentalmente, il fatto che si rimetta mano alle norme del codice penale, in una logica ancora una volta puramente repressiva. Nella prima bozza c'erano forti inasprimenti delle pene, che nel frattempo sembrano rientrati, e nuove fattispecie di reato: «comportamenti molesti o minacciosi che turbano le condizioni di vita delle donne», una definizione troppo ampia e generica che vorrebbe avere un'intenzione preventiva, ma finirebbe col configurare come emergenza criminale la normalità - purtroppo - di comportamenti maschili legati al mutamento delle relazioni fra i sessi.
A questo stesso abuso del linguaggio penale è riconducibile l'altro e connesso aspetto che non mi convince, ossia la vittimizzazione delle donne. Le donne vengono configurate solo come vittime, e come oggetto di tutela e di assistenza.


Siamo alle solite: è almeno la quarta legge «per le donne» - aborto, stupro, legge 40, e ora questa - che da femministe critichiamo in questa chiave: abuso del penale e vittimizzazione femminile. C'è proprio un problema culturale, nella sinistra?

In questo momento c'è anche dell'altro, l'internità a una tendenza più generale, che traduce tutte le questioni legate alla crisi e al mutamento sociale in una logica securitaria e repressiva, nel tentativo illusorio di ripristinare un ordine sociale ormai saltato, invece di affrontare le ragioni del mutamento facendo leva sui suoi aspetti positivi. Le turbolenze nel rapporto fra i sesi, violenza compresa, sono l'effetto di una maggiore libertà femminile.
Noi donne non stiamo più nel posto che ci era stato assegnato nell'ordine familiare e sociale tradizionale. Il che ci espone di più al rischio, ma è anche una risorsa. Il cambiamento sociale porta sempre con sé un elemento di imprevedibilità: la politica dovrebbe saperlo interpretare; capire e sostenere gli elementi positivi, invece di limitarsi a reprimere quelli negativi. Invece, che fa la politica per sostenere il cambiamento femminile? Preferirei meno ricorso al penale, e più risorse a sostegno della sfera pubblica femminile.

Ma secondo contro la violenza sulle donne te ci vuole una nuova legge?
No, almeno non una legge penale. Le leggi per perseguire e punire i reati di violenza, come ovviamente va fatto, ci sono già. Si può fare dell'altro. Come senatrici di Rifondazione abbiamo proposto un emendamento alla finanziaria che destina una parte delle risorse assegnate al ministero delle pari opportunità alla creazione di un osservatorio nazionale sulla violenza e di un piano di sostegno ai centri antiviolenza.
Poi ci vorrebbe un bilancio della legge sulla violenza sessuale, che non c'è perché diversamente dalla 194 la legge antistupro non è monitorata. I dati che abbiamo dicono che gli stupri diminuiscono, mentre cresce la visibilità del reato, effetto di una maggiore sensibilità sociale e delle campagne mediatiche. Le quali però puntano i riflettori su alcune tipologie del reato - stupri metropolitani, stupri giovanili, stupri «culturali» - configurando di conseguenza gli autori e le vittime secondo una precisa tipologia sociologica: i giovani metropolitani, gli immigrati etc.
Con l'effetto di separare la violenza dalla sua connotazione principale, che è quella di essere violenza sessuata, legata alla sessualità maschile. E di occultare le storiedi ordinaria violenza che si consumano nel perimetro domestico: le botte, gli oltraggi, gli assassini di donne comuni da parte di uomini comuni, all'interno di comuni relazioni d'amore, o di comuni legami familiari.

Tu come ti spieghi questa escalation?
E' un misto di persistenze e novità, di cause antiche e recenti. Per un verso si ripete l'antica tendenza maschile all'appropriazione della donna, a possedere una donna immaginaria, che lo rispecchi e lo confermi, a costo di portarla a sé violentemente.
Per l'altro verso, come dicevo prima, è la reazione al fatto che le donne sempre meno corrispondono a questo immaginario. Il che produce nuova aggressività maschile.

Oggi ancora una volta, contro la violenza sulle donne, manifestano le donne. Va bene, ma la mobilitazione femminile non rischia di coprire, o dare un alibi, al silenzio maschile?
Il coordinamento delle parlamentari del Prc ha organizzato per oggi una serie di incontri su questa domanda: «uomini, perché picchiate, violentate, uccidete le donne?», coinvolgendo in primo luogo i nostri compagni di partito e della sinistra.
Sono ancora troppo pochi quelli che prendono parola, circondati dal silenzio dei più. E finché questo silenzio continuerà a prevalere, non c'è modo di contrastare efficacemente il dispositivo sessuale che produce violenza.
Noi donne abbiamo fatto e continuiamo a fare i conti sia con la paura della sia con la complicità con la sessualità maschile. Ma senza risposte da parte maschile, noi stesse non possiamo procedere oltre.

 

 questo articolo è apparso su il manifesto del 25 novembre 2006